"Fine" si accorda o no?
Moderatore: Cruscanti
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"Fine" si accorda o no?
Secondo un linguista di un giornale il linea l'espressione "fine a sé stesso" si può considerare una sola parola; "fine", quindi, resta invariato. È corretto dunque, secondo voi, dire o scrivere "sono discorsi fine a sé stessi"?
Io credo sia "piú corretto" accordare fine con il sostantivo cui si riferisce: "sono discorsi fini a sé stessi".
Io credo sia "piú corretto" accordare fine con il sostantivo cui si riferisce: "sono discorsi fini a sé stessi".
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Secondo me è invariabile. Si sottintende un: sono discorsi [che sono un] fine a sé stessi. Impressione, la mia, epidermica, ma vedrò di controllare sui sacri testi appena possibile.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
La sua epidermide non sbagliava.
Il GRADIT riporta:
Il GRADIT riporta:
~ fine a se stesso loc.agg.inv. CO [1870–72] non subordinato ad altri scopi: tentativo f. a se stesso, la virtù è f. a se stessa.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
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Si può sostenere, quindi, che "sono discorsi fini a sé stessi" è "molto piú corretto" di "discorsi fine a sé stessi".Marco1971 ha scritto:Non è tuttavia completamente invariabile, visto che stesso muta desinenza.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Le confesso che al mio orecchio pur non digiuno di lettere questo plurale stride piú della vampa zingaresca.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Vedo che la questione era già stata proposta.
Sarebbe interessante capire quale sia la tendenza attuale: sembrerebbe che sia diffuso l'uso plurale di fine (fini) in concordanza col sostantivo, mentre la concordanza completa (del genere fina a sé stessa) resta fortunatamente limitata alla satira di Guzzanti ecc.
Sarebbe interessante capire quale sia la tendenza attuale: sembrerebbe che sia diffuso l'uso plurale di fine (fini) in concordanza col sostantivo, mentre la concordanza completa (del genere fina a sé stessa) resta fortunatamente limitata alla satira di Guzzanti ecc.
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Se ho visto bene non ha avuto una risposta. O sbaglio?Federico ha scritto:Vedo che la questione era già stata proposta.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
No, non sbaglia.Fausto Raso ha scritto:Se ho visto bene non ha avuto una risposta. O sbaglio?Federico ha scritto:Vedo che la questione era già stata proposta.
Perché fine a sé stesso vuol dire «non subordinato ad altri scopi», e quindi che ne ha uno solo. Se poi la locuzione è registrata come invariabile nel GRADIT, non vedo perché cominciare a arzigogolare: si potrebbe fare lo stesso discorso per altre locuzioni invariabili, ma l’uso ha stabilito (e in questo caso approvo) che è, appunto, invariabile.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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