«tiè, tie’»

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bubu7
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«tiè, tie’»

Intervento di bubu7 »

Sono intervenuto nella discussione, aperta su un forum di WordReference, sulla forma grafica preferibile per tiè.
Mi piacerebbe conoscere il vostro parere su questo argomento. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Decimo
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Re: «tiè, tie'»

Intervento di Decimo »

Non dimentichi della norma che prescrive l'accento sulle apocopi sillabiche che causano raddoppiamento fonosintattico (unica eccezione mo' nella locuzione a mo' di), abbiamo da interrogarci, prim'ancora che sul piú opportuno segno grafico, sul potenziale di cogeminazione di questo troncamento.

Osservando poi che tutte le apocopi cogeminanti* sono nate dalla caduta dell'elemento sillabico [dV], per «aplologia prodottasi [...] in sintagmi in cui il sostantivo era seguito dalla preposizione di» (Serianni, I.78a), non parrebbe corretta, nel caso di tie[ni], la scelta dell'accento, che marcherebbe un RF filologicamente ingiustificato. (A mio avviso, in conclusione, la forma piú consigliabile è proprio quella coll'apostrofo).

PS: Noto con piacere che il DOP alla voce tenere riporta, come variante dell'imperativo tieni, la forma propria dell'uso antico te', oggi rimasta con valore di esclamazione.

*Ovviamente non possono essere considerati propriamente apocopi gl'imperativi (alla seconda persona) dei verbi andare, dare, dire, fare, cogeminanti fino all'Ottocento perché residui etimologici delle forme latine vade, dic, fac, da; solo in séguito questi furono sostituiti dalle rispettive voci dell'indicativo presente, il cui troncamento vocalico, non producendo geminazione (sia in dizione tradizionale sia in dizione moderna), è giustamente contrassegnato da apostrofo.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Propenderei per la grafia apostrofata, che è anche quella registrata nel DiPI.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Incarcato ha scritto:... che è anche quella registrata nel DiPI.
Il DiPI registra ancora la voce alla grafia tie' ma l'entrata verrà cambiata dando la preferenza alla grafia tiè (sul grado di accettabilità delle altre grafie [tie', tié] la discussione col Canepari è ancora aperta).
Forse la grafia tie' potrebbe essere indicata come tradizionale e l'altra (tié) come meno raccomandabile. In passato era più avvertita la derivazione, per apocope, da tieni ma, oggi, è più avvertito il suo stato di semplice interiezione che giustificherebbe, a mio avviso, la preferenza per la più immediata versione tiè.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Come per piè/pie'...
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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Intervento di bubu7 »

Incarcato ha scritto:Come per piè/pie'...
Esatto. :wink:
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Decimo
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Intervento di Decimo »

bubu7 ha scritto:In passato era più avvertita la derivazione, per apocope, da tieni ma, oggi, è più avvertito il suo stato di semplice interiezione che giustificherebbe, a mio avviso, la preferenza per la più immediata versione tiè.
A dire il vero, passando in rassegna le forme interiettive analoghe, in cui pure non è avvertita la derivazione dagl'imperativi apocopati (to'/toh, va'/vah, ve'/veh) o dall'avverbio (be'/beh), è evidente la tendenza dell'italiano moderno a preferire l'apostrofo o il grafema h, quest'ultimo «diventato ormai un marchio distintivo dei monosillabi esclamativi» (Serianni, X.5). In nessun caso è possibile la variante con accento, la quale, di conseguenza, è assolutamente ingiustificata.

Inoltre... mi pare tutt'altro che pertinente l'esempio di piè/pie'...
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Intervento di bubu7 »

Decimo ha scritto: ... la quale, di conseguenza, è assolutamente ingiustificata.
È sicuro? Eppure dalla sua esemplificazione appare ancor più chiara la giustificazione. Ci pensi ancora un po'. :wink:
Decimo ha scritto:Inoltre... mi pare tutt'altro che pertinente l'esempio di piè/pie'...
Invece è pertinente. :)
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Intervento di Decimo »

bubu7 ha scritto:È sicuro? Eppure dalla sua esemplificazione appare ancora più chiara la giustificazione. Ci pensi ancora un po'. :wink:
Non la seguo. A meno che lei non abbia voglia di dileggiarmi ancora, lasciando implicite le sue osservazioni, la prego di renderle note. Io, per me, posso limitarmi a congetturarne il contenuto: forse ha immaginato l'improbabile rischio di confusione nella pronuncia. Dunque, se cosí fosse, dovremmo ritenere preferibile la rimozione dell'apostrofo da mie' (apocope di miei) e l'illogica sostituzione di questo con un accento.
bubu7 ha scritto:
Decimo ha scritto:Inoltre... mi pare tutt'altro che pertinente l'esempio di piè/pie'...
Invece è pertinente. :)
Non s'è capito che il problema è anche di natura fonologica... Un monosillabo ageminante contrassegnato da accento è semplicemente inaccettabile.
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Intervento di bubu7 »

Decimo ha scritto: A meno che lei non abbia voglia di dileggiarmi ancora...
Non mi è mai passata per la mente l'idea di prenderla in giro. :)

Trattare con un po' di leggerezza le questioni non vuol dire non prendere seriamente l'interlocutore.

Per ora lascio la parola al Sommo Poeta e le auguro di cuore un buon fine settimana. :)

Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fe' le gambe e 'l ciglio.

(Purg. I 49-51)
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Forse la grafia tie' potrebbe essere indicata come tradizionale…
Decimo ha scritto:Un monosillabo ageminante contrassegnato da accento è semplicemente inaccettabile.
È forse forviante parlare di «pronuncia tradizionale» [o «normativa»] per una parola quale tie’/tiè, entrata nella lingua nazionale —c’informa il GRADIT— solo nel XX secolo.

In toscano [solo moderno], tiè ricorre solo in posizione prepausale: non si danno casi come tiè qua o tiè questo, possibili, invece, e.g., in romanesco (l’imperativo tiemmi non fa testo, ché si tratta di assimilazione regressiva nm > mm, non di raddoppiamento fonosintattico: cfr., e.g., tienlo).

È quindi forse opportuno accogliere la pronuncia romana /'tjE*/ e, con essa, la grafia tiè (cosí fa, ad esempio, il GRADIT) visto che è dalla varietà romana che questa interiezione è probabilmente filtrata in italiano o, perlomeno, la romana rappresenta la varietà regionale piú consistente in cui tiè è originario (già il Belli scrive tiè e coerentemente segna il raddoppiamento fonosintattico da esso innescato).
Decimo ha scritto:Osservando poi che tutte le apocopi cogeminanti sono nate dalla caduta dell'elemento sillabico [dV], per «aplologia prodottasi [...] in sintagmi in cui il sostantivo era seguito dalla preposizione di» (Serianni, I.78a)…
Questo è sostanzialmente vero, ma sarebbe sbagliato erigerlo a regola assoluta: [anche in toscano, persasi la percezione del troncamento] una parola «[fonologicamente] accentata» (ovvero «potenzialmente accentabile») tende ad acquistare potere cogeminante [a meno che non ricorra esclusivamente in posizione protonica].
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:È forse forviante parlare di «pronuncia tradizionale» [o «normativa»] per una parola quale tie’/tiè, entrata nella lingua nazionale —c’informa il GRADIT— solo nel XX secolo.
Grazie della risposta, Infarinato.
Ma è l'indicazione del Gradit a essere incompleta: non è segnalata la variante tie' attestata, seppur sporadicamente, nella nostra letteratura (LIZ 4.0).
Abbiamo il senese Filippo Degli Agazzari (XV sec.), Ruzante (che non fa testo), Carlo Dossi e Pirandello.
Sul resto, naturalmente, sono d'accordo con lei ma mi riservo, tra poco, un intervento più articolato.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Ma è l'indicazione del Gradit a essere incompleta: non è segnalata la variante tie' attestata, seppur sporadicamente, nella nostra letteratura (LIZ 4.0).
Abbiamo il senese Filippo Degli Agazzari (XV sec.), Ruzante (che non fa testo), Carlo Dossi e Pirandello.
Interessante… anche se l’unico che farebbe testo [per una pronuncia normativa] sarebbe qui il Degli Agazzari (che, linguisticamente, è piú XIV che XV secolo) —mi piacerebbe sapere però registro, contesto e cotesto: poesia [non credo] o prosa? contesto esclusivamente prepausale? (sennò, RF notato graficamente?) 2ª imperativo o 3ª indicativo? Grazie.
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Intervento di bubu7 »

Correggo parzialmente la mia precedente affermazione specificando che gli autori che ho nominato vanno presi in considerazione solo per l'uso della forma apocopata e non per la variante grafica adottata la quale dipenderà anche da scelte editoriali.
Il Degli Agazzari scriveva prima della sistemazione grafica dei segni d'interpunzione ad opera della coppia Bembo-Manuzio. Solo una verifica sulle più antiche copie dell'opera può darci informazioni più approfondite.
Ecco la citazione tratta dagli Assempri (Esempi).
...almeno voglio che tu pruovi loro che amore eglino ànno a tte, e tie’ questo modo: chiama uno de’ tuoi figluoli da tte…
L'esempio sembrerebbe contraddire la sua ipotesi della sola posizione prepausale della forma tronca in toscano. L'autore esprime graficamente il raddoppiamento e, come si vede, non lo specifica dopo tie' in quanto l'apocope era ben avvertita.
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Intervento di bubu7 »

Esistono due fattori concorrenti che spingono a preferire la forma accentata.
Il primo, l’abbiamo già ricordato, è il fatto che nell’interiezione si avverte sempre meno la derivazione per apocope dalla forma intera. Ci troviamo di fronte a un monosillabo forte; l’uso di accentare i monosillabi forti è in espansione nell’italiano moderno, anche a danno dell’apostrofo (Paolo D’Achille, L’italiano contemporaneo, il Mulino, 2003).
Il secondo, è che la forma apocopata è un dittongo ascendente che, a differenza di mie’ (apocope di miei), si ritrova (come ricordava Infarinato) anche in posizione prepausale. I dittonghi ascendenti di questo tipo (di monosillabi forti) vogliono a maggior ragione l’accento per evitare ambiguità di pronuncia, come riportato chiaramente da tutte le grammatiche.

Miei, è un monosillabo debole che non può trovarsi troncato in posizione prepausale. Cioè la forma troncata non può mai ricevere l’accento fonico. Esso [anda]va sempre segnato con l’apostrofo. Come sono segnati, di regola, con l’apostrofo quelle forme derivate da troncamento in cui il troncamento è ancora avvertito. È da notare che molti di questi monosillabi deboli (non mie’) tendono a passare tra i monosillabi forti con conseguente raddoppiamento fonosintattico. (cfr. Camilli-Fiorelli, Pronuncia e grafia dell’italiano, III edizione, pag. 136 e segg.).

P.s.
La sola forma accentata tiè è riportata anche dal Battaglia. Il Gabrielli bivolume si spinge a proporre la forma "tè!".
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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