Marco1971 ha scritto: Fa bene a dirlo chiaramente, perché si ha talvolta l’impressione che appena c’è in atto un cambiamento linguistico lei lo voglia incoraggiare a ogni costo. È rassicurante sapere che non è cosí.
Certo, caro Marco, è sempre meglio ripeterlo.
Però il fatto che in tutti questi anni che discutiamo non sia ancora riuscito a farglielo capire non depone a favore delle mie doti di comunicatore...
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati. V. M. Illič-Svitič
Mi è capitato di leggere anche il contrario, e cioè un c'entra al posto di centra, in un'espressione del tipo «centrare l'obiettivo» (se serve posso cercare la frase precisa).
Mamma mia! Scusate lo sfogo, ma so che almeno qui potrò trovare comprensione!!!
Due persone, entrambe laureate, durante un lavoro di gruppo con dei ragazzi, stanno trascrivendo una discussione. Nello scrivere "... cose che devono centrare con..." una delle due si pone il dubbio che non sia corretto e chiede il mio parere. Le rispondo che semmai si dice "entrarci" e che "centrare" è un verbo che ha un altro significato. L'altra sostiene che sia corretto scrivere "centrare", tutto attaccato. Le dico di non scherzare che magari i ragazzi la prendono sul serio e lei insorge e vuole a tutti i costi convincermi che il termine giusto è "centrare" e che si scrive proprio tutto attaccato!!! Mi sono trattenuta per la presenza dei ragazzini...
Meno male che l'altra ha saggiamente deciso di scrivere "...cose che devono riguardare..." ma è mai possibile???
Gentile Chiara, io penso che in casi simili sia piú efficace mettere un vocabolario sotto il naso del contestatore (o piú vocabolari).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Nella risposta ufficiale di Vera Gheno, per fortuna, le forme errate sono asteriscate e non v’è traccia d’incoraggiamento a tralignare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.