Forme di cortesia
Moderatore: Dialettanti
Buonasera a tutti.
Nella Puglia settentrionale si usano le forme segnerì e vesserì, con eventuali relative dittongazioni secondo la località (segnerèi, vesseròie ecc.), che significano "vossignoria", però i verbi vengono coniugati alla seconda persona singolare, senza alcuna differenza con le forme confidenziali.
Nel dialetto più "evoluto", meno arcaico e tipico delle persone nate dopo l'ultima guerra, si usa invece il "voi", in dialetto vu (o vèu, vìu, vöu...), con i verbi regolarmente coniugati alla seconda plurale, come d'altronde nell'italiano regionale, dove il "lei" si usa solo in contesti comunicativi caratterizzati da un'impronta regionale minima ed è raro fuori da capoluogo.
Nella Puglia settentrionale si usano le forme segnerì e vesserì, con eventuali relative dittongazioni secondo la località (segnerèi, vesseròie ecc.), che significano "vossignoria", però i verbi vengono coniugati alla seconda persona singolare, senza alcuna differenza con le forme confidenziali.
Nel dialetto più "evoluto", meno arcaico e tipico delle persone nate dopo l'ultima guerra, si usa invece il "voi", in dialetto vu (o vèu, vìu, vöu...), con i verbi regolarmente coniugati alla seconda plurale, come d'altronde nell'italiano regionale, dove il "lei" si usa solo in contesti comunicativi caratterizzati da un'impronta regionale minima ed è raro fuori da capoluogo.
Forme di cortesia
Innanzitutto, occorre apprezzare chi, davvero molto giovane, dimostra interesse e motivazione anche nei confronti del genovese, meritando sinceri complimenti.
Mi auguro, inoltre, che nessuno me ne voglia troppo se mi permetterò di proporre alcuni chiarimenti, rifacendomi ad alcuni interventi e raggruppando qui le relative osservazioni - il tema unificante è il genovese - .
Infatti, per amore della verità, ci terrei a precisare che la forma di cortesia genovese è Vuscià. La vocale non ha durata lunga, ma è breve
- come risulta immediato dalla consultazione di qualsiasi buon lessico genovese - e, come tale, è pronunciata in quasi tutta la regione, non solamente nel centro urbano.
Anche il sostantivo macramè termina con vocale - aperta - breve e, quindi, proprio come nel caso di Vuscià, non va grafato col circonflesso che, pur nella molteplicità e disparità delle grafie, denota sempre vocale lunga. La pronuncia, ovviamente, risulterebbe difforme e, dato che è assai poco probabile che il lettore medio possa conoscere il genovese, potrebbe risultare utile proporre le citazioni in modo conforme all'effettiva pronuncia.
Il genovese oppone vocali brevi e lunghe, presenti non solo in tonia, ma anche nelle sillabe dotate di accento secondario.
In realtà, si tratta di dittonghi ristretti (v. Canepari), ma ho volutamente mantenuto la definizione tradizionale - sia pure pesantemente "dalfonica" - per non appesantire ulteriormente il livello delle osservazioni.
Per altro, macramè - tradizionalmente così trascritto - andrebbe grafato come maccramè - sulla prima a - breve - cade l'accento secondario e maccramè pronunciavano i locutori genuini - quelli, per intenderci, che, data l'epoca, non avevano appreso dalla grafia, ma direttamente dall'ambiente familiare -.
Transeamus ...
Ho quasi finito ...
I tre verbi asmurta^ = spengere, ammuca^ = smoccolare e sciua^ ('Swa:) = raffreddarsi non sono affatto sinonimi.
Ma, relativamente a sciua^ , mi pare ci siano stati interventi che hanno rimesso a posto le cose e chiarito anche l'etimo.
Chiaramente, ammuca^ e operazioni simili non appartengono più alla quotidianità della nostra cultura materiale.
Come dicevano i miei vecchi docenti del liceo: " ... magis amica veritas" !
Mi auguro, inoltre, che nessuno me ne voglia troppo se mi permetterò di proporre alcuni chiarimenti, rifacendomi ad alcuni interventi e raggruppando qui le relative osservazioni - il tema unificante è il genovese - .
Infatti, per amore della verità, ci terrei a precisare che la forma di cortesia genovese è Vuscià. La vocale non ha durata lunga, ma è breve
- come risulta immediato dalla consultazione di qualsiasi buon lessico genovese - e, come tale, è pronunciata in quasi tutta la regione, non solamente nel centro urbano.
Anche il sostantivo macramè termina con vocale - aperta - breve e, quindi, proprio come nel caso di Vuscià, non va grafato col circonflesso che, pur nella molteplicità e disparità delle grafie, denota sempre vocale lunga. La pronuncia, ovviamente, risulterebbe difforme e, dato che è assai poco probabile che il lettore medio possa conoscere il genovese, potrebbe risultare utile proporre le citazioni in modo conforme all'effettiva pronuncia.
Il genovese oppone vocali brevi e lunghe, presenti non solo in tonia, ma anche nelle sillabe dotate di accento secondario.
In realtà, si tratta di dittonghi ristretti (v. Canepari), ma ho volutamente mantenuto la definizione tradizionale - sia pure pesantemente "dalfonica" - per non appesantire ulteriormente il livello delle osservazioni.
Per altro, macramè - tradizionalmente così trascritto - andrebbe grafato come maccramè - sulla prima a - breve - cade l'accento secondario e maccramè pronunciavano i locutori genuini - quelli, per intenderci, che, data l'epoca, non avevano appreso dalla grafia, ma direttamente dall'ambiente familiare -.
Transeamus ...
Ho quasi finito ...
I tre verbi asmurta^ = spengere, ammuca^ = smoccolare e sciua^ ('Swa:) = raffreddarsi non sono affatto sinonimi.
Ma, relativamente a sciua^ , mi pare ci siano stati interventi che hanno rimesso a posto le cose e chiarito anche l'etimo.
Chiaramente, ammuca^ e operazioni simili non appartengono più alla quotidianità della nostra cultura materiale.
Come dicevano i miei vecchi docenti del liceo: " ... magis amica veritas" !
- u merlu rucà
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saluti genovesi
A parte l'intrinseca inaffidabilità delle grafie in "o" per il genovese - si scrive "o" sia per ciò che, nella maggioranza delle occorrenze, è /u/ sia per ciò che è davvero /o/ - , il saluto andrebbe rivolto correttamente.
Il saluto "sarebbe" - chi saluta, ormai, in genovese col "Vuscià" o altrimenti nel centro urbano? - "u saly^u" o, in grafia tradizionale in "o" , "o salu^o" - sempre, ovviamente, pronunciato /u sa'ly:u/. Un' /y/ lunga e due (2) /u/ egualmente brevi. E' tanto scorretto porre il circonflesso - che denota durata lunga - sul pronome - che è breve - quanto non indicare il circonflesso sulla vocale tonica del verbo - che è, in questo specifico caso, un' /y:/ - cioè, lunga! - .
D'altronde, è del tutto normale ritrovare incertezze di pronuncia e di resa grafica in linguaggi che, come il genovese urbano, si stanno rapidamente avvicinando al "punto zero" - forse, l'hanno davvero raggiunto - e che, attualmente, annoverano certamente più "cultori" che "locutori" autentici.
Segnalo - per chi sia dotato di pazienza - due ulteriori aspetti:
1) l' /u/ di "u" - pronome (che ha, per altro, la stessa origine di "u" articolo maschile singolare e la sua stessa pronuncia - ) è, molto probabilmente, "u" da sempre - (il)lu(m)>lu>- per effetti di fonosintassi - >(r)u>u e non si capisce proprio perché non si possa grafare "u" in precisa corrispondenza alla sua esatta pronuncia;
2) in realtà , anche "saly^u /sa'ly:u/" = saluto (forma verb.) è, in qualche modo, un "italianismo". Infatti, fino a non molti anni fa, si poteva ancora ascoltare la pronuncia /'sajju/ = saluto (forma verb.), di derivazione totalmente "regolare" - ovviamente, secondo l'evoluzione linguistica del genovese -, ma fortemente stigmatizzata a livello sociale.
Il saluto "sarebbe" - chi saluta, ormai, in genovese col "Vuscià" o altrimenti nel centro urbano? - "u saly^u" o, in grafia tradizionale in "o" , "o salu^o" - sempre, ovviamente, pronunciato /u sa'ly:u/. Un' /y/ lunga e due (2) /u/ egualmente brevi. E' tanto scorretto porre il circonflesso - che denota durata lunga - sul pronome - che è breve - quanto non indicare il circonflesso sulla vocale tonica del verbo - che è, in questo specifico caso, un' /y:/ - cioè, lunga! - .
D'altronde, è del tutto normale ritrovare incertezze di pronuncia e di resa grafica in linguaggi che, come il genovese urbano, si stanno rapidamente avvicinando al "punto zero" - forse, l'hanno davvero raggiunto - e che, attualmente, annoverano certamente più "cultori" che "locutori" autentici.
Segnalo - per chi sia dotato di pazienza - due ulteriori aspetti:
1) l' /u/ di "u" - pronome (che ha, per altro, la stessa origine di "u" articolo maschile singolare e la sua stessa pronuncia - ) è, molto probabilmente, "u" da sempre - (il)lu(m)>lu>- per effetti di fonosintassi - >(r)u>u e non si capisce proprio perché non si possa grafare "u" in precisa corrispondenza alla sua esatta pronuncia;
2) in realtà , anche "saly^u /sa'ly:u/" = saluto (forma verb.) è, in qualche modo, un "italianismo". Infatti, fino a non molti anni fa, si poteva ancora ascoltare la pronuncia /'sajju/ = saluto (forma verb.), di derivazione totalmente "regolare" - ovviamente, secondo l'evoluzione linguistica del genovese -, ma fortemente stigmatizzata a livello sociale.
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grazie ippogrifo
È vero che, ad esempio, la graffia del Intemelio è in u è sarebbe bello che le graffie Liguri fossero unificate, ma non mi pare poi cosí grave. E poi anche altre lingue come il catalano hanno una graffia in o che non è affatto inaffidabile. Infatti è rispettuosa della diversità fonetica: nelle varietà dell´Ovest e del Sud le o atone non si pronunziano mai u; ed ho l´impressione che sia anche cosí -seppur in minor misura- per le parlate liguri (ho sentito per es. le canzoni di Natalino Otto e lui il pronome o non lo diceva mai u, forse perche i suoi non erano della Liguria, non saprei).
E poi quello zeneise che so l´ho incominciato a imparare a leggere le pagine (e posso dire che le ho lette tutte) d´u Magister (http://www.zeneize.net/ziardua/zeneize.html), lo conosci? Direi di si..
Anche lui distingueva fra cultori e locutori. Ma io credo che in realtà la distinzione sia fra quelli che hanno avuto la fortuna di essere locutori naturali (ma poi no en staeti boin de mostrâ o zeneise ai figgieu) e quelli giovani che tentano di riimparare la lingua, come è forse il caso di quelli che abbiamo su questo foro
Euggio dî che questi giovani faranno sbagli ma pazienza..
(e pazienzia anche con tutti gli sbagli che abbia fatto io che, come avrai/avrete capito, non sono neanche italiano. Mi Son catalan, riso ræo, strenzo i denti..)
È vero che, ad esempio, la graffia del Intemelio è in u è sarebbe bello che le graffie Liguri fossero unificate, ma non mi pare poi cosí grave. E poi anche altre lingue come il catalano hanno una graffia in o che non è affatto inaffidabile. Infatti è rispettuosa della diversità fonetica: nelle varietà dell´Ovest e del Sud le o atone non si pronunziano mai u; ed ho l´impressione che sia anche cosí -seppur in minor misura- per le parlate liguri (ho sentito per es. le canzoni di Natalino Otto e lui il pronome o non lo diceva mai u, forse perche i suoi non erano della Liguria, non saprei).
E poi quello zeneise che so l´ho incominciato a imparare a leggere le pagine (e posso dire che le ho lette tutte) d´u Magister (http://www.zeneize.net/ziardua/zeneize.html), lo conosci? Direi di si..
Anche lui distingueva fra cultori e locutori. Ma io credo che in realtà la distinzione sia fra quelli che hanno avuto la fortuna di essere locutori naturali (ma poi no en staeti boin de mostrâ o zeneise ai figgieu) e quelli giovani che tentano di riimparare la lingua, come è forse il caso di quelli che abbiamo su questo foro
Euggio dî che questi giovani faranno sbagli ma pazienza..
(e pazienzia anche con tutti gli sbagli che abbia fatto io che, come avrai/avrete capito, non sono neanche italiano. Mi Son catalan, riso ræo, strenzo i denti..)
Ultima modifica di cambrilenc in data gio, 28 feb 2013 14:26, modificato 1 volta in totale.
- u merlu rucà
- Moderatore «Dialetti»
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- Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41
Benvingut amic català.
In realtà esiste una grafia comune per i dialetti liguri, ed è quella del VPL (Vocabolario delle Parlate Liguri), anche se è usata pochissimo e ognuno continua a servirsi della grafia tradizionale del proprio dialetto. La grafia del genovese è molto complicata e di difficile comprensione per un non genovese. Io riesco a leggerla bene perché il genovese lo capisco benissimo, in quanto tre nonni su quattro erano genovesi, ma ammetto che avrei qualche problema ad usarla correttamente. La grafia dei dialetti intemeli (intendo quella usata nella rivista A barma grande) è più abbordabile, ma ha il difetto che lo stesso segno grafico può avere pronunce diverse secondo i dialetti.
In realtà esiste una grafia comune per i dialetti liguri, ed è quella del VPL (Vocabolario delle Parlate Liguri), anche se è usata pochissimo e ognuno continua a servirsi della grafia tradizionale del proprio dialetto. La grafia del genovese è molto complicata e di difficile comprensione per un non genovese. Io riesco a leggerla bene perché il genovese lo capisco benissimo, in quanto tre nonni su quattro erano genovesi, ma ammetto che avrei qualche problema ad usarla correttamente. La grafia dei dialetti intemeli (intendo quella usata nella rivista A barma grande) è più abbordabile, ma ha il difetto che lo stesso segno grafico può avere pronunce diverse secondo i dialetti.
re: saluti genovesi
Grazie a cambrilenc per la pacatezza e la lungimiranza che traspare dall'intervento.
Perciò, rispondo, anche rischiando di esulare - e non poco - dal tema del filone.
Grafie? Che dire? Condivido, sostanzialmente, l'opinione che traspare dal sito di Magister. Che senso può avere, oggigiorno, innovare o dibattere sulla grafia del genovese - in un momento storico in cui la sua valenza "comunicativa" è al lumicino - se non su basi scientifiche corrette e adeguate. C'è un sito "ufficiale" in cui si propone, ad es. , la trascrizione di un brano dell'attore Marzari. Chiunque abbia la pazienza di ascoltare la registrazione, si rende immediatamente conto che - solo per proporre un esempio - la resa grafica delle consonanti geminate non è rispettata et c. ... Il tutto in base a regole "cervellotiche" , che non hanno alcuna ragione di esistere né solidità scientifica di alcun tipo ... A che può mai servire tutto ciò? A denotare incompetenza, noncuranza ?
Natalino Otto? Come tutte le persone della sua generazione parlava con garbata naturalezza il dialetto e i "locutori" che l'ascoltavano erano in grado di discriminare il quartiere di provenienza. Pronunciava - in genovese - il pronome /u/ - esatto omofono dell'articolo - come tutti in tutte le varietà di tipo genovese - tralasciamo, per ora, le varietà linguistiche di tipo spezzino - . Pronunciava normalmente "u piggiu"= lo prendo, "u veddu"=lo vedo et c. - come tutti - . Normalissimamente - per quanto concerne il genovese -. La difficoltà può , se mai, consistere nella qualità della registrazione o proprio nell'ascolto. I "fonemi" autentici/genuini del genovese - vedi Canepari, ad es. - non corrispondono esattamente a quelli dell'italiano neutro, anzi ...
Terminata la sciagurata parentesi della seconda guerra mondiale, più nessun genitore - nel centro urbano - osò rivolgersi ai figli in dialetto, anche se, ad es. , continuava a parlarlo col coniuge o colla famiglia di origine. La cesura fu netta. Rivolgersi ai figli in dialetto avrebbe implicato un'immediata riprovazione anche da parte dell'ambiente sociale e sarebbe stato riguardato come atto di rozzezza inammissibile nei confronti dei figli. Nessuno lo faceva. Da allora trascorsero diverse generazioni.
Può, quindi, aver senso - oggi - il "riapprendimento"? O conduce, inevitabilmente, a esiti molto parziali, forzati, caricaturali, velleitari, avvertiti come non autentici dal nostro stesso Io profondo e dagli altri? Per parlare con chi? Non sarebbe già regressivo e velleitario voler "rivivere" - se mai si potesse - la nostra infanzia? E, addirittura, qualcosa che, oggettivamente, nella nostra infanzia non c'è stato? Forse, uno psicologo potrebbe avere alcune idee in merito, ma, forse, gli psicologi non si occupano di codesti aspetti della complessità linguistica ...
Perciò, rispondo, anche rischiando di esulare - e non poco - dal tema del filone.
Grafie? Che dire? Condivido, sostanzialmente, l'opinione che traspare dal sito di Magister. Che senso può avere, oggigiorno, innovare o dibattere sulla grafia del genovese - in un momento storico in cui la sua valenza "comunicativa" è al lumicino - se non su basi scientifiche corrette e adeguate. C'è un sito "ufficiale" in cui si propone, ad es. , la trascrizione di un brano dell'attore Marzari. Chiunque abbia la pazienza di ascoltare la registrazione, si rende immediatamente conto che - solo per proporre un esempio - la resa grafica delle consonanti geminate non è rispettata et c. ... Il tutto in base a regole "cervellotiche" , che non hanno alcuna ragione di esistere né solidità scientifica di alcun tipo ... A che può mai servire tutto ciò? A denotare incompetenza, noncuranza ?
Natalino Otto? Come tutte le persone della sua generazione parlava con garbata naturalezza il dialetto e i "locutori" che l'ascoltavano erano in grado di discriminare il quartiere di provenienza. Pronunciava - in genovese - il pronome /u/ - esatto omofono dell'articolo - come tutti in tutte le varietà di tipo genovese - tralasciamo, per ora, le varietà linguistiche di tipo spezzino - . Pronunciava normalmente "u piggiu"= lo prendo, "u veddu"=lo vedo et c. - come tutti - . Normalissimamente - per quanto concerne il genovese -. La difficoltà può , se mai, consistere nella qualità della registrazione o proprio nell'ascolto. I "fonemi" autentici/genuini del genovese - vedi Canepari, ad es. - non corrispondono esattamente a quelli dell'italiano neutro, anzi ...
Terminata la sciagurata parentesi della seconda guerra mondiale, più nessun genitore - nel centro urbano - osò rivolgersi ai figli in dialetto, anche se, ad es. , continuava a parlarlo col coniuge o colla famiglia di origine. La cesura fu netta. Rivolgersi ai figli in dialetto avrebbe implicato un'immediata riprovazione anche da parte dell'ambiente sociale e sarebbe stato riguardato come atto di rozzezza inammissibile nei confronti dei figli. Nessuno lo faceva. Da allora trascorsero diverse generazioni.
Può, quindi, aver senso - oggi - il "riapprendimento"? O conduce, inevitabilmente, a esiti molto parziali, forzati, caricaturali, velleitari, avvertiti come non autentici dal nostro stesso Io profondo e dagli altri? Per parlare con chi? Non sarebbe già regressivo e velleitario voler "rivivere" - se mai si potesse - la nostra infanzia? E, addirittura, qualcosa che, oggettivamente, nella nostra infanzia non c'è stato? Forse, uno psicologo potrebbe avere alcune idee in merito, ma, forse, gli psicologi non si occupano di codesti aspetti della complessità linguistica ...
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Be, è un piacere leggervi ma credo che io la pianterò qui, perchè stiamo monopolizzando il filone (anche se chi l´ha aperto è propio un zeneise e sono sicuro che non gli dispiace affatto, ma fòscia se porrieiva arvî ina discuscion in sciô zeneise?), ma prima due cose:
merlu: grazie del benvenuto, moltes gràcies. Credo che se sei in grado di leggere e capire il genovese questo è dovuto non solo al fatto che tu abbia nonni/e genovesi, e al fatto che hai una competenza e un interesse linguistico, ma è anche dovuto a che si trata sempre della stessa lingua. Io ho imparato o tentato di imparare la varietà centrale (parlo geograficamente) ma poi ascolto il ventimigliese e non faccio fatica a capirlo, e nello stesso tempo ad accorgermi di alcune differenze (utilizzo dei pronomi clitici di terza personna, del pronome l davanti a vocale -vent. l´arriva; gen. arriva-, vocabulario influenziato dal francese, alcune formi verbali, ai invece di ae..).
Ippogrifo: propio per questo, perchè il ligure è una lingua, alcuni giovani tentano di ridargli la dignità che non avrebbe dovuto mai perdere se non ci fosse stata anni indietro questa percezione di “dialetto rozzo” , e a me pare che non ci sia nienti di caricaturale in questo. Nel paese basco tanti giovani che non erano euskaldunak (bascoparlanti) hanno ricuperato la lingua dei nonni. L´hanno ricuperata forse sensa le sfumatture dialettali di una volta, ma con orgoglio.
Salut
PD. Mi rimane il dubbio sulla pronunzia di Natalino Otto; io direi que le sue “o” sono intermedie tra il suono o e u, ma forse o credeiva che o zeneise parlou cosci o foise ciu bello?
https://www.youtube.com/watch?v=jX2J8Bawi7o
merlu: grazie del benvenuto, moltes gràcies. Credo che se sei in grado di leggere e capire il genovese questo è dovuto non solo al fatto che tu abbia nonni/e genovesi, e al fatto che hai una competenza e un interesse linguistico, ma è anche dovuto a che si trata sempre della stessa lingua. Io ho imparato o tentato di imparare la varietà centrale (parlo geograficamente) ma poi ascolto il ventimigliese e non faccio fatica a capirlo, e nello stesso tempo ad accorgermi di alcune differenze (utilizzo dei pronomi clitici di terza personna, del pronome l davanti a vocale -vent. l´arriva; gen. arriva-, vocabulario influenziato dal francese, alcune formi verbali, ai invece di ae..).
Ippogrifo: propio per questo, perchè il ligure è una lingua, alcuni giovani tentano di ridargli la dignità che non avrebbe dovuto mai perdere se non ci fosse stata anni indietro questa percezione di “dialetto rozzo” , e a me pare che non ci sia nienti di caricaturale in questo. Nel paese basco tanti giovani che non erano euskaldunak (bascoparlanti) hanno ricuperato la lingua dei nonni. L´hanno ricuperata forse sensa le sfumatture dialettali di una volta, ma con orgoglio.
Salut
PD. Mi rimane il dubbio sulla pronunzia di Natalino Otto; io direi que le sue “o” sono intermedie tra il suono o e u, ma forse o credeiva che o zeneise parlou cosci o foise ciu bello?
https://www.youtube.com/watch?v=jX2J8Bawi7o
re: saluti genovesi
Non posso, chiaramente, accertarmi se chi scrive sia catalano o, piuttosto, genovese, ma ciò riveste importanza relativa, perché la pacatezza nel confronto rappresenta un valore e ciò di cui davvero si parla - l'abbandono del dialetto e posteriori tentativi di riappropriamento - hanno connotato non solo Genova, ma, anche in anni precedenti, altre situazioni e città della nostra vecchia Europa e non solo.
Nella cultura non solo europea, ma certamente in quella italiana e genovese, il dialetto, finché è stato vitale, ha sempre rappresentato il "codice materno/paterno". Se siamo vivi - fisicamente e psichicamente - , non è solo perché siamo nati, ma, soprattutto, perché abbiamo ricevuto il nutrimento e l'affetto di una madre (e di un padre). Un bambino, abbandonato, non può sopravvivere. E il dialetto non era altro, per le vecchie generazioni, se non la trasmissione diretta, attraverso un "codice materno" e "locale" , di quella che, all'epoca, era definita la lingua nazionale.
Poi, coll'avvento della "modernità" , la trasmissione diretta in termini dialettali venne stigmatizzata e interrotta. Ma un livello di stigma ancora superiore veniva assegnato a chi tentava un approccio in dialetto non possedendone una conoscenza genuina. Gli si rispondeva unicamente e da parte di tutti "in lingua" . Perché questa persona "infrangeva" - a volte senza rendersene conto, ma in un qualche modo che creava risentimento -il "codice materno", un rapporto considerato intangibilmente sacro - come la vita stessa - . Porre - sia pure inconsapevolmente - "in caricatura" il "codice materno" non veniva consentito a nessuno. La parlata approssimativa o scorretta veniva, inevitabilmente, avvertita come "caricaturale", assegnava chi così pronunciava a un gruppo distinto da quello con cui si provava solidarietà e comunanza di origini e implicava la "commutazione (switching)" al registro linguistico della lingua "nazionale". In questo caso, l'italiano andava benissimo per gli aspetti meramente comunicativi e non si andava, così, a intaccare il mondo intangibile degli affetti familiari e del gruppo solidale di affetti ("in-group") contrapposto all' "out-group". Su questo i "cultori" dovrebbero riuscire a riflettere e provare a capire quelle che possono apparire solo come "ritrosie" degli ultimi "locutori" . Non so se ciò interessi loro né se abbiano l'intenzione e l' "umanità" di farlo davvero. Non c'è solo la "grammatichetta" nel linguaggio umano, ma ci sono profondità psicologiche da comprendere e investigare - con umiltà - . E come un bambino non potrebbe sopravvivere abbandonato, in un "vuoto materno" , così non può sopravvivere una lingua o un dialetto nel vuoto, cioè in assenza di una trasmisione diretta e di un ambiente sociale favorevole, adeguato. Ecco perché molti pensano - e certamente lo pensano gli ultimi "locutori" - che i tentativi di "riapprendimento" possano rischiare di risultare in "solipsistici bamboleggiamenti" ... Ecco perché i vecchi "locutori" preferivano tollerare l'assenza materna - il genovese autentico - piuttosto dell'obbrobrio di una "mamma impagliata" - la caricatura della lingua - .
Non possedevano la patologia del protagonista di "Psycho" ...
Tornando alla "grammatichetta", non si dice - in genovese - "porrieiva" = potrebbe, ma "purieiva" o "porieiva" - se si preferisce ( sempre, comunque, /pu'rjeiva/ ) - , perché non c'è alcuna geminazione dell'"r". Proprio come non c'è alcuna geminazione dell' "r" in "u l'ari^va / u l'a'ri:va/ " = arriva, che richiede, in genovese, il circonflesso sull' "i" - tonica e lunga - e "ben" DUE - 2- "clitici" - "u" & "l'" - .
In una seria discussione scientifica, non ha senso proporre "compromessi" "all'italiana" tra /o/ e /u/ . Dato che - anche in genovese - essi hanno "status" di "fonemi" , ciò implica che essi assolvano a una precisa funzione oppositiva. Una vocale - "vocoide" scriverebbe Canepari - o è /o/ o è /u/ .
Non c'è scampo. Non siamo in politica ... Ad es. , "mottu /'mottu/" vale "grumo" e "muttu / 'muttu/" vale "spuntato" - non so come si potrebbe rappresentare la distinzione con grafie in "o" , se non tramite artifici inutili - . Le conquiste e le certezze delle scienze linguistiche non si basano su compromessi ... E certamente la buon'anima di Natalino Otto - la pace sia con lui! - pronunciava - forse inconsapevolmente - correttissimamente tutte le vocali /u/ e le /o/ che la parlata "materna" gli richiedeva di "contrastare".
Nella cultura non solo europea, ma certamente in quella italiana e genovese, il dialetto, finché è stato vitale, ha sempre rappresentato il "codice materno/paterno". Se siamo vivi - fisicamente e psichicamente - , non è solo perché siamo nati, ma, soprattutto, perché abbiamo ricevuto il nutrimento e l'affetto di una madre (e di un padre). Un bambino, abbandonato, non può sopravvivere. E il dialetto non era altro, per le vecchie generazioni, se non la trasmissione diretta, attraverso un "codice materno" e "locale" , di quella che, all'epoca, era definita la lingua nazionale.
Poi, coll'avvento della "modernità" , la trasmissione diretta in termini dialettali venne stigmatizzata e interrotta. Ma un livello di stigma ancora superiore veniva assegnato a chi tentava un approccio in dialetto non possedendone una conoscenza genuina. Gli si rispondeva unicamente e da parte di tutti "in lingua" . Perché questa persona "infrangeva" - a volte senza rendersene conto, ma in un qualche modo che creava risentimento -il "codice materno", un rapporto considerato intangibilmente sacro - come la vita stessa - . Porre - sia pure inconsapevolmente - "in caricatura" il "codice materno" non veniva consentito a nessuno. La parlata approssimativa o scorretta veniva, inevitabilmente, avvertita come "caricaturale", assegnava chi così pronunciava a un gruppo distinto da quello con cui si provava solidarietà e comunanza di origini e implicava la "commutazione (switching)" al registro linguistico della lingua "nazionale". In questo caso, l'italiano andava benissimo per gli aspetti meramente comunicativi e non si andava, così, a intaccare il mondo intangibile degli affetti familiari e del gruppo solidale di affetti ("in-group") contrapposto all' "out-group". Su questo i "cultori" dovrebbero riuscire a riflettere e provare a capire quelle che possono apparire solo come "ritrosie" degli ultimi "locutori" . Non so se ciò interessi loro né se abbiano l'intenzione e l' "umanità" di farlo davvero. Non c'è solo la "grammatichetta" nel linguaggio umano, ma ci sono profondità psicologiche da comprendere e investigare - con umiltà - . E come un bambino non potrebbe sopravvivere abbandonato, in un "vuoto materno" , così non può sopravvivere una lingua o un dialetto nel vuoto, cioè in assenza di una trasmisione diretta e di un ambiente sociale favorevole, adeguato. Ecco perché molti pensano - e certamente lo pensano gli ultimi "locutori" - che i tentativi di "riapprendimento" possano rischiare di risultare in "solipsistici bamboleggiamenti" ... Ecco perché i vecchi "locutori" preferivano tollerare l'assenza materna - il genovese autentico - piuttosto dell'obbrobrio di una "mamma impagliata" - la caricatura della lingua - .
Non possedevano la patologia del protagonista di "Psycho" ...
Tornando alla "grammatichetta", non si dice - in genovese - "porrieiva" = potrebbe, ma "purieiva" o "porieiva" - se si preferisce ( sempre, comunque, /pu'rjeiva/ ) - , perché non c'è alcuna geminazione dell'"r". Proprio come non c'è alcuna geminazione dell' "r" in "u l'ari^va / u l'a'ri:va/ " = arriva, che richiede, in genovese, il circonflesso sull' "i" - tonica e lunga - e "ben" DUE - 2- "clitici" - "u" & "l'" - .
In una seria discussione scientifica, non ha senso proporre "compromessi" "all'italiana" tra /o/ e /u/ . Dato che - anche in genovese - essi hanno "status" di "fonemi" , ciò implica che essi assolvano a una precisa funzione oppositiva. Una vocale - "vocoide" scriverebbe Canepari - o è /o/ o è /u/ .
Non c'è scampo. Non siamo in politica ... Ad es. , "mottu /'mottu/" vale "grumo" e "muttu / 'muttu/" vale "spuntato" - non so come si potrebbe rappresentare la distinzione con grafie in "o" , se non tramite artifici inutili - . Le conquiste e le certezze delle scienze linguistiche non si basano su compromessi ... E certamente la buon'anima di Natalino Otto - la pace sia con lui! - pronunciava - forse inconsapevolmente - correttissimamente tutte le vocali /u/ e le /o/ che la parlata "materna" gli richiedeva di "contrastare".
- u merlu rucà
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Confermo, anzi la stessa cosa avveniva quando io, a Genova, pur essendo in grado di usare il genovese (e anche bene visto che lo avevo appreso da nonni nati alla fine del XIX sec.), parlavo volutamente nel mio dialetto ligure occidentale (a Genova andavo a trovare i nonni). Alle orecchie genovesi sembrava che io parlassi male il genovese...Ma un livello di stigma ancora superiore veniva assegnato a chi tentava un approccio in dialetto non possedendone una conoscenza genuina. Gli si rispondeva unicamente e da parte di tutti "in lingua" . Perché questa persona "infrangeva" - a volte senza rendersene conto, ma in un qualche modo che creava risentimento -il "codice materno", un rapporto considerato intangibilmente sacro - come la vita stessa - . Porre - sia pure inconsapevolmente - "in caricatura" il "codice materno" non veniva consentito a nessuno. La parlata approssimativa o scorretta veniva, inevitabilmente, avvertita come "caricaturale", assegnava chi così pronunciava a un gruppo distinto da quello con cui si provava solidarietà e comunanza di origini e implicava la "commutazione (switching)" al registro linguistico della lingua "nazionale".
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veramente non ha importanza e non ho asolutamente la voglia di diventare "protagonista", ma siccome non vedo perchè non mi si dovrebbe credere aggiungerò il link al mio blog sul genovese scritto nella mia lingua.. il catalano (per la precisione catalano di Barcellona):Non posso, chiaramente, accertarmi se chi scrive sia catalano o, piuttosto, genovese, ma ciò riveste importanza relativa
http://llengualigur.blogspot.com.es/
qualsiasi commento è benvenuto
si, ma sono gli stessi di cui parlavamo prima: quelli che hanno abbandonato il "dialetto". Non è che li ritenga colpevoli di niente, ma io preferisco riferirmi ai parlanti attuali, o a quelli che vorrebbero diventarlo.Confermo, anzi la stessa cosa avveniva quando io, a Genova, pur essendo in grado di usare il genovese (e anche bene visto che lo avevo appreso da nonni nati alla fine del XIX sec.), parlavo volutamente nel mio dialetto ligure occidentale (a Genova andavo a trovare i nonni). Alle orecchie genovesi sembrava che io parlassi male il genovese...
salutacions a tots dos
re: saluti genovesi & "mamme impagliate"
Concordo su un solo punto. Non ha - davvero - importanza la nostra nazionalità e la nostra origine. Siamo tutti europei, anzi e soprattutto uomini. E, in quanto tali, soggiacciamo tutti a un medesimo destino di nascita, evoluzione e scomparsa, proprio come le lingue e i dialetti e ad esso dobbiamo conformarci se non vogliamo rischiare di risultare disadattati rispetto al nostro ambiente di vita. Nella Sua pregiata risposta riscontro la stessa descrizione dei fatti che mi ero permesso di proporre, ma non ritrovo cenni relativi al "codice materno" o agli aspetti psicologici - fondamentali - . Persone diverse, ma - entrambe - intellettualmente oneste non possono fornire recoconti difformi di uno stesso fenomeno che si è verificato. Possono divergere le interpretrazioni. Così come avviene per la Storia onestamente esposta. La storia dell'allontanamento - ormai, abissale - tra Genova e il genovese è già stata scritta. Non può essere riscritta, se non si vogliono mistificare i dati fattuali. Ci si può interrogare per determinarne - a posteriori - le ragioni sottese, non solo "banalmente" grammaticali, ma anche "profondamente" sociopolitiche e "intimamente" psicologiche. E su ciò noi e, se mi permette, anche Lei potremmo ancora riflettere. Intimamente, nella nostra coscienza, senza doverne rendere conto a nessuno. Come, nella vita, non ci si può aspettare di essere accompagnati fino al transito conclusivo dall'affetto materno - ciò andrebbe contro l'avvicendamento "naturale" delle generazioni - , così gli ultimi veri "locutori" hanno accettato virilmente - anche se donne - di convivere coll' assenza "materna" - intendo l'assenza del genovese - . Non sarà - in definitiva - il peggior problema della loro vecchiaia. Ma non si possono imporre loro - né loro stessi acconsentirebbero - "mamme impagliate" quale quella del personaggio disturbato impersonato da Anthony Perkins. I "locutori" sono stufi, arcistufi di "mamme impagliate" , di sedicenti e "patetici" "esperti" - privi di formazione scientifica adeguata - , che non sanno spiccicare - in dialetto - quattro parole in croce e mirano - non si sa sulla base di quale diritto - a sovvenzioni et c. ... . I vecchi "locutori" non hanno, ormai, più rimpianti nei confronti del dialetto. Il lutto è stato, ormai, elaborato. Ma risentono intimamente rancori sordi se si prospettano e si agitano davanti a loro ignominiose "mamme impagliate". Allora, la ferita, che pareva sanata, si riapre e spero non occorra uno psicologo per poter comprendere l'ovvietà di tutto ciò. I "cultori" , spesso senza rendersene affatto conto, ma, soprattutto, senza aver compreso né aver cercato di capire, si "trastullano" colle cicatrici dei "locutori" . Ma essi, anche se non per molto tempo a venire, sono ancora corpi vivi e non reperti da obitorio o da sala di anatomia e ... si risentono ... Comunque, a breve, se rimarranno "cultori" , essi potranno sbizzarrirsi senza alcun ostacolo di sorta da parte dei "locutori" . Praterie infinite d'inutilità ormai sgombre da pellirosse e bufali ... Minoranza? Di che? Di buon senso? Gli ultimi "locutori" non desiderano affatto che qualche giovane di buona volontà si rivolga loro in un dialetto approssimativo né che impieghi tempo a studiacchiare su qualche testo male impostato e peggio scritto. Altrimenti avrebbero - in primis - insegnato ai loro propri figli. Essi desiderano con tutto il loro cuore che i loro figli e i giovani affrontino al meglio e rimangano adattati alla realtà attuale - che non è e non può essere quella di tempi, ormai, trascorsi - . Nella media, non sono né egoisti né mentecatti, se pure acciaccati. Questa è la realtà. Il resto è costituito da cartoline in policromia per i turisti ... Perché volersi ancora ostinare a parlare - male - la lingua di "altri" - i "locutori" la ritengono "loro propria" e desiderano che ci si rivolga loro in italiano - , mentre non riusciamo a comprenderli o ad accettarli. Allora, si rasenta l'imposizione. Mentre risulta semplicemente "ridicola" la forzata emissione - tra loro - di parole genovesi da parte di "cultori" a proprio agio e "naturali" solo tramite la lingua italiana. E mentre i residui "locutori" hanno anche una buona/ottima padronanza della lingua "nazionale" , tutti gli altri hanno, ormai, ricevuto il "codice materno" esclusivamente "in lingua" e non più in dialetto e non si vede perché dovrebbero sobbarcarsi l'onere "velleitario" e poco realistico di modificare un "codice materno in lingua" perfettamente in grado di esprimere istanze cognitive e affettive e perfettamente adattato all'ambiente - al 99 e passa % "italofono", in cui le minoranze non parlano genovese, bensì il melodioso spagnolo dell'America latina (più di 12.000) , una grande varietà di dialetti arabi e lingue africane, l'albanese, il rumeno et c. ... - .
Queste sono le lingue che si sentono parlare - oggi - nei "caruggi" - vicoli - . Nessuno più parla il genovese, men che meno quello di Marzari ... Né lì né altrove ... Finalmente, dopo più di due secoli dal luminoso progetto rivoluzionario del venerando abbé Grégoire rivolto a "anéantir les patois" , il suo spirito aleggia fiero e pacificato nel terso aere mediterraneo della città superba - è ammessa la lettura con un pizzico d'ironia - ...
Queste sono le lingue che si sentono parlare - oggi - nei "caruggi" - vicoli - . Nessuno più parla il genovese, men che meno quello di Marzari ... Né lì né altrove ... Finalmente, dopo più di due secoli dal luminoso progetto rivoluzionario del venerando abbé Grégoire rivolto a "anéantir les patois" , il suo spirito aleggia fiero e pacificato nel terso aere mediterraneo della città superba - è ammessa la lettura con un pizzico d'ironia - ...
- u merlu rucà
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VPL ? No, grazie!
In un precedente intervento è stato citato il VPL - Vocabolario delle parlate liguri - , opera degli anni '80-'90 del secolo scorso. Segnalo a chiunque possa avere interesse per il genovese la grave inaffidabilità dell'opera stessa. Certamente conclamata per quanto riguarda Genova, ma anche per altre località censite - come mi è stato riferito e ho potuto verificare personalmente - , anche se, ovviamente, non posso avere competenze in merito a tutti i punti trattati. Si tratta di un'opera redatta quando, ormai, il divorzio tra "locutori" e "cultori" era un dato di fatto.
E gli esperti procedevano all' "invenzione" di un nuovo genovese - falso! - .
Mi limiterò a pochi esempi - tre -.
1) Nonostante i "cultori" coltivino in merito "teorie esoteriche" e inconsistenti, il genovese possiede la geminazione consonantica. Oltre ad avere l'opposizione di durata vocalica - vocali brevi e lunghe -. Ad es. , " 'Ri^cu /'ri:ku/" = Enrico e "riccu /'rikku/" = ricco. Gli esempi sarebbero innumerevoli. Esiste una sorta di proporzionalità inversa. Se la vocale tonica è lunga, la consonante successiva è semplice, se, invece, la vocale tonica è breve, la consonante successiva risulta geminata. E così è sempre stato. E alla geminazione sono dovuti esiti assai diversi dell'evoluzione linguistica specifica. La voce di origine non latina "balla" ha dato "balla/'balla/" = "palla" . La voce latina "pala" - non geminata - ha consentito l'evoluzione pa:la>pa:Ra>pa:a>pa: corrispondente all'attuale esito "pa^ /pa:/" = pala a causa della pronuncia come "approssimante" - R - dell' "l" o dell' "r" non geminate etimologiche intervocaliche. Non è, poi, così difficile! Regole molto semplici, facilmente verificabili. ciò nonostante, i redattori del VPL non ci sono riusciti! Il VPL fornisce "bala" = palla per tutta la regione ... ed è una balla! Chiunque abbia soggiornato anche per breve tempo in Liguria ha avuto tranquillamente modo di rendersi conto che non si parla così! Per ballo - sost. - il VPL fornisce "ballu" per Genova e "balu" - chissà se sarà vero? - per altre località. Ma, relativamente a Genova - almeno - , la distinzione tra "bala (forma errata)" = palla e "ballu" = ballo non ha alcuna ragione di esistere. Entrambi i sostantivi implicano la geminazione della consonante "l" . Se l' "l" di "balla" si fosse mai degeminata nel lungo corso dell'evoluzione linguistica, avremmo, oggi, a Genova "ba^/ba:/" = palla, come nel caso di "pa^/'pa:/ = pala. MA COSI' NON E'. E i montanari dell'Appennino - provincia di Genova - che pronunciano ancora con esito "arcaico" "'pa^ra/'pa:Ra/" = pala, dovrebbero altresì pronunciare "ba^ra/'ba:Ra/" per palla. MA COSI' NON E' . Essi pronunciano "balla" = palla, esattamente come i cittadini, perché le loro parlate - sia pure arcaiche - rispettano esattamente il differenziale dovuto alla presenza o assenza della geminazione consonantica. Riconfermando, inoltre, il fatto che il differenziale esisteva anche nelle forme anteriori del dialetto. Non mi avvalgo di ulteriori esempi, ma la dimostrazione mi pare limpida, inconfutabile. Chiunque, inoltre, può facilmente informarsi e verificarla. In genovese possono solo esistere o "ba^" o "balla" . E, di fatto, esiste - solo, evidentemente - "balla" . "Bala" , appunto, è una ... balla!
2) Il VPL dà , per Genova, "bèn" (?) e "fèn" (?) - definita "forma di uso generale" - per, rispettivamente, "bene" e "fieno" . Ma, a Genova, ci sono più di 500.000 persone - cinquecentomila, non cinque! - che pronunciano quotidianamente - nell' "italiano di Genova" - "béne" e "fiéno" , chiaramente influenzati dai termini dialettali genovesi "bén" e "fén" coll' "e" chiusa, non aperta! La pronuncia chiusa, inoltre, va ben oltre la città di Genova ed è riscontrabile - per quanto riguarda i parlanti cittadini - con immediatezza - da chiunque intenda verificarla - in TV, su Internet o - perché no? - direttamente dal vivo. Non è nemmeno necessario chiedere ai dialettofoni ... Anche in questo caso sono riusciti a sbagliare ...
3) E che dire di "rissi de ma^ /'rissi de 'ma:/" "spacciato" per ricci di mare? E' un "italianismo" al cubo! Che nessuno utilizzerebbe parlando in genovese. Gl'interlocutori si metterebbero a ridere. O a piangere. In genovese si dice "zin /'ziN/" , tant'è vero che si tratta di un vocabolo noto e utilizzato anche dai nostri amici còrsi. E, dato che non si tratta di forma toscana, da dove mai sarà pervenuto in Corsica se non dalla Liguria, da Genova? Ce l'avrà, forse, portato Superman in volo?
Non proseguo - mi manca il coraggio - , occorrerebbe più carta per correggere gli errori di quanta ne sia occorsa per diffondere simili scempiaggini! Che razza d'informatori sono stati scelti? Chi ha controllato? Forse, la carta impiegata - che dico? sprecata! - sarebbe stata più utile per stampare gli almanacchi di Chiaravalle! Si dovrà pure, a un certo punto, alzare il velo dell'ipocrisia sociale e del disinteresse! Queste sono opere con validità scientifica? Questo è il livello scientifico che la città di Genova merita? Allora, molto meglio le opere antiche - meno dati, ma affidabilità garantita! - . Che ce ne facciamo di tanti dati, se, poi, sono dati-spazzatura! E questi sarebbero gli esperti? ...
E gli esperti procedevano all' "invenzione" di un nuovo genovese - falso! - .
Mi limiterò a pochi esempi - tre -.
1) Nonostante i "cultori" coltivino in merito "teorie esoteriche" e inconsistenti, il genovese possiede la geminazione consonantica. Oltre ad avere l'opposizione di durata vocalica - vocali brevi e lunghe -. Ad es. , " 'Ri^cu /'ri:ku/" = Enrico e "riccu /'rikku/" = ricco. Gli esempi sarebbero innumerevoli. Esiste una sorta di proporzionalità inversa. Se la vocale tonica è lunga, la consonante successiva è semplice, se, invece, la vocale tonica è breve, la consonante successiva risulta geminata. E così è sempre stato. E alla geminazione sono dovuti esiti assai diversi dell'evoluzione linguistica specifica. La voce di origine non latina "balla" ha dato "balla/'balla/" = "palla" . La voce latina "pala" - non geminata - ha consentito l'evoluzione pa:la>pa:Ra>pa:a>pa: corrispondente all'attuale esito "pa^ /pa:/" = pala a causa della pronuncia come "approssimante" - R - dell' "l" o dell' "r" non geminate etimologiche intervocaliche. Non è, poi, così difficile! Regole molto semplici, facilmente verificabili. ciò nonostante, i redattori del VPL non ci sono riusciti! Il VPL fornisce "bala" = palla per tutta la regione ... ed è una balla! Chiunque abbia soggiornato anche per breve tempo in Liguria ha avuto tranquillamente modo di rendersi conto che non si parla così! Per ballo - sost. - il VPL fornisce "ballu" per Genova e "balu" - chissà se sarà vero? - per altre località. Ma, relativamente a Genova - almeno - , la distinzione tra "bala (forma errata)" = palla e "ballu" = ballo non ha alcuna ragione di esistere. Entrambi i sostantivi implicano la geminazione della consonante "l" . Se l' "l" di "balla" si fosse mai degeminata nel lungo corso dell'evoluzione linguistica, avremmo, oggi, a Genova "ba^/ba:/" = palla, come nel caso di "pa^/'pa:/ = pala. MA COSI' NON E'. E i montanari dell'Appennino - provincia di Genova - che pronunciano ancora con esito "arcaico" "'pa^ra/'pa:Ra/" = pala, dovrebbero altresì pronunciare "ba^ra/'ba:Ra/" per palla. MA COSI' NON E' . Essi pronunciano "balla" = palla, esattamente come i cittadini, perché le loro parlate - sia pure arcaiche - rispettano esattamente il differenziale dovuto alla presenza o assenza della geminazione consonantica. Riconfermando, inoltre, il fatto che il differenziale esisteva anche nelle forme anteriori del dialetto. Non mi avvalgo di ulteriori esempi, ma la dimostrazione mi pare limpida, inconfutabile. Chiunque, inoltre, può facilmente informarsi e verificarla. In genovese possono solo esistere o "ba^" o "balla" . E, di fatto, esiste - solo, evidentemente - "balla" . "Bala" , appunto, è una ... balla!
2) Il VPL dà , per Genova, "bèn" (?) e "fèn" (?) - definita "forma di uso generale" - per, rispettivamente, "bene" e "fieno" . Ma, a Genova, ci sono più di 500.000 persone - cinquecentomila, non cinque! - che pronunciano quotidianamente - nell' "italiano di Genova" - "béne" e "fiéno" , chiaramente influenzati dai termini dialettali genovesi "bén" e "fén" coll' "e" chiusa, non aperta! La pronuncia chiusa, inoltre, va ben oltre la città di Genova ed è riscontrabile - per quanto riguarda i parlanti cittadini - con immediatezza - da chiunque intenda verificarla - in TV, su Internet o - perché no? - direttamente dal vivo. Non è nemmeno necessario chiedere ai dialettofoni ... Anche in questo caso sono riusciti a sbagliare ...
3) E che dire di "rissi de ma^ /'rissi de 'ma:/" "spacciato" per ricci di mare? E' un "italianismo" al cubo! Che nessuno utilizzerebbe parlando in genovese. Gl'interlocutori si metterebbero a ridere. O a piangere. In genovese si dice "zin /'ziN/" , tant'è vero che si tratta di un vocabolo noto e utilizzato anche dai nostri amici còrsi. E, dato che non si tratta di forma toscana, da dove mai sarà pervenuto in Corsica se non dalla Liguria, da Genova? Ce l'avrà, forse, portato Superman in volo?
Non proseguo - mi manca il coraggio - , occorrerebbe più carta per correggere gli errori di quanta ne sia occorsa per diffondere simili scempiaggini! Che razza d'informatori sono stati scelti? Chi ha controllato? Forse, la carta impiegata - che dico? sprecata! - sarebbe stata più utile per stampare gli almanacchi di Chiaravalle! Si dovrà pure, a un certo punto, alzare il velo dell'ipocrisia sociale e del disinteresse! Queste sono opere con validità scientifica? Questo è il livello scientifico che la città di Genova merita? Allora, molto meglio le opere antiche - meno dati, ma affidabilità garantita! - . Che ce ne facciamo di tanti dati, se, poi, sono dati-spazzatura! E questi sarebbero gli esperti? ...
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