Io non riesco a sentire una differenza tra le varie versioni.sempervirens ha scritto:Crede che con "un po' di sfortuna" arriveremo anche noi a questo stato di cose?
«Fertility Day»
Moderatore: Cruscanti
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Nemmeno io. A me dalla nascita mi "hanno istallato" orecchi italiani. A parte di scherzi, credo che queste parole dalla grafia diversa ma dal suono uguale si chiamino omofoni. In inglese ce ne sono tanti.
Ce ne sono anche in italiano, ma ne vedo molti di meno. Ma qui per approfondire meglio l'argomento ci vorrebbe un insegnante o cultore della lingua inglese. Credo che tra gli utenti ce ne siano diversi e sicuramente tutti competenti.
Ce ne sono anche in italiano, ma ne vedo molti di meno. Ma qui per approfondire meglio l'argomento ci vorrebbe un insegnante o cultore della lingua inglese. Credo che tra gli utenti ce ne siano diversi e sicuramente tutti competenti.
Io nella mia lingua ci credo.
Se l'italiano ha, poniamo, un rapporto fonema/grafema di 30/37, l'inglese ha un rapporto di 44/251 e da lì la difficoltà nella pronuncia e l'incidenza della dislessia (sono dati da verificare, mi scuso, è soltanto un esempio).
Ma perché rattristarci per questi calcoli e risultati quando arrivano buone notizie dal fronte della vitalità linguistica dell'italiano nel mondo? Ad esempio gli italianismi gastronomici sono in aumento e, perdonate il campanilismo, ho il piacere di annunciarvi l'ultimo gastrònimo recentemente entrato nella lista: la Ciabatta.
Ma perché rattristarci per questi calcoli e risultati quando arrivano buone notizie dal fronte della vitalità linguistica dell'italiano nel mondo? Ad esempio gli italianismi gastronomici sono in aumento e, perdonate il campanilismo, ho il piacere di annunciarvi l'ultimo gastrònimo recentemente entrato nella lista: la Ciabatta.
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
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Le comunico che in Giappone, a Tokyo, già da diversi anni la parola è conosciuta dai clienti giapponesi.Sixie ha scritto:Ma perché rattristarci per questi calcoli e risultati quando arrivano buone notizie dal fronte della vitalità linguistica dell'italiano nel mondo? Ad esempio gli italianismi gastronomici sono in aumento e, perdonate il campanilismo, ho il piacere di annunciarvi l'ultimo gastrònimo recentemente entrato nella lista: la Ciabatta.
Io nella mia lingua ci credo.
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È difficile giudicare l'inglese come lingua usata dagli inglesi, essendo per nascita e crescita italiani, secondo me.
Intanto, è la lingua di un impero coloniale, che si è estesa in aree linguistiche e culturali le più disparate, quindi è ovvio che due "anglofoni" che tentano di comunicare fra loro vadano in crisi perché danno allo stesso simbolo grafico valori fonetici diversi.
Anche restringendo il campo, poi, e restando a livello nazionale, esistono sempre le parlate locali; a parte pochi cultori della dizione, quanti italiani si accorgono, e applicano, la differenza fra pèsca e pésca, o altre similari?
Al corso di dizione era uno spasso, perché ognuno imbroccava alcune cose e altre no; c'era una romana - definita dal docente "madrelingua" per le vocali - che azzeccava tutte le aperte e le chiuse, in compenso era un tripudio di consonant in saldo. Per il resto, negli esercizi distinguevi subito il lombardo dal veneto, dal siciliano... il sardo non ne parliamo nemmeno...
Non ci accorgiamo di tutto ciò, perché dal contesto sappiamo in genere capire al volo se era una pèsca o una pésca, quindi molte di queste pronunce non ortodosse ci sfuggono.
Il paragone fra italiano e inglese andrebbe fatto eliminando tutti questi fattori al contorno, in laboratorio asettico. e comunque, secondo me lascerebbe il tempo che trova. Se l'inglese continua a parlarsi anche oggi, vuol dire che funziona lo stesso (non indago per quale motivo: efficienza volontà umana di farsi del male... però non si estingue).
Poi resta sempre un elemento di fondo: se prendi una lingua e la forzi in un alfabeto non suo, come è accaduto per tutto ciò che non era in origine latino, è ovvio che i conti non tornino, e gli adattamenti, accrezionati nel tempo e provenienti da più luoghi, sembrino non seguire una logica.
Se solo vado a vedere un manoscritto inglese del decimo secolo, trovo delle lettere latine modificate in nuovi segni, per render suoni che nel latino non ci sono; se mi sposto di qualche secolo, compaiono addirittura segni alfabetici estranei, in genere presi da alfabeto runico o cose del genere. Poi in tempi più recenti alcuni scompaiono, e lasciano le ambiguità.
Altri popoli hanno risolto diversamente, e così nessuno li critica... resta il fatto che su certi simboli delle lingue finniche devo arrendermi totalmente, perché non ho alcun elemento per associarvi un suono. Niente di grave, "loro" restano nel loro mondo, e pubblicano le cose scientifiche in inglese. Gli inglesi invece, avendo tentato di conquistare il mondo, hanno dovuto scendere a compromessi, e mo' si tengono i problemi di comprensione delle vocali.
In fondo sono scelte, storicamente motivabili e motivate.
Intanto, è la lingua di un impero coloniale, che si è estesa in aree linguistiche e culturali le più disparate, quindi è ovvio che due "anglofoni" che tentano di comunicare fra loro vadano in crisi perché danno allo stesso simbolo grafico valori fonetici diversi.
Anche restringendo il campo, poi, e restando a livello nazionale, esistono sempre le parlate locali; a parte pochi cultori della dizione, quanti italiani si accorgono, e applicano, la differenza fra pèsca e pésca, o altre similari?
Al corso di dizione era uno spasso, perché ognuno imbroccava alcune cose e altre no; c'era una romana - definita dal docente "madrelingua" per le vocali - che azzeccava tutte le aperte e le chiuse, in compenso era un tripudio di consonant in saldo. Per il resto, negli esercizi distinguevi subito il lombardo dal veneto, dal siciliano... il sardo non ne parliamo nemmeno...
Non ci accorgiamo di tutto ciò, perché dal contesto sappiamo in genere capire al volo se era una pèsca o una pésca, quindi molte di queste pronunce non ortodosse ci sfuggono.
Il paragone fra italiano e inglese andrebbe fatto eliminando tutti questi fattori al contorno, in laboratorio asettico. e comunque, secondo me lascerebbe il tempo che trova. Se l'inglese continua a parlarsi anche oggi, vuol dire che funziona lo stesso (non indago per quale motivo: efficienza volontà umana di farsi del male... però non si estingue).
Poi resta sempre un elemento di fondo: se prendi una lingua e la forzi in un alfabeto non suo, come è accaduto per tutto ciò che non era in origine latino, è ovvio che i conti non tornino, e gli adattamenti, accrezionati nel tempo e provenienti da più luoghi, sembrino non seguire una logica.
Se solo vado a vedere un manoscritto inglese del decimo secolo, trovo delle lettere latine modificate in nuovi segni, per render suoni che nel latino non ci sono; se mi sposto di qualche secolo, compaiono addirittura segni alfabetici estranei, in genere presi da alfabeto runico o cose del genere. Poi in tempi più recenti alcuni scompaiono, e lasciano le ambiguità.
Altri popoli hanno risolto diversamente, e così nessuno li critica... resta il fatto che su certi simboli delle lingue finniche devo arrendermi totalmente, perché non ho alcun elemento per associarvi un suono. Niente di grave, "loro" restano nel loro mondo, e pubblicano le cose scientifiche in inglese. Gli inglesi invece, avendo tentato di conquistare il mondo, hanno dovuto scendere a compromessi, e mo' si tengono i problemi di comprensione delle vocali.
In fondo sono scelte, storicamente motivabili e motivate.
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