Accento circonflesso

Spazio di discussione su questioni di grafematica e ortografia

Moderatore: Cruscanti

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umanista89
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Accento circonflesso

Intervento di umanista89 »

Buonasera a tutti i frequentatori del forum. Espongo un altro mio dubbio, per risolvere il quale non è stata sufficiente la consultazione delle grammatiche in mio possesso.
Il dubbio riguarda l'accento circonflesso italiano (^): qual è, esattamente, il suo uso?
Su una vecchia grammatica ad uso delle scuole superiori ho appreso che è spesso usato in poesia in alcune forme della III persona plurale del passato remoto (ad esempio 'fôro' a sostituire 'furono').
Su un'altra grammatica in mio possesso (Dardano-Trifone) non ho invece trovato menzione a questo uso poetico; si parla solo del suo uso su alcuni vocaboli che al singolare terminano in -io, per la precisione su quelli che al plurale potrebbero ingenerare dubbi con altre parole (ad esempio: 'principî', per non confonderlo con il plurale di 'principe'). Aggiunge poi che è ormai in disuso e può omettersi.
Non di rado, però, io ho trovato in qualche vecchio libro l'uso del circonflesso esteso anche ad altre parole: ad esempio a 'calendarî', che, diversamente da quanto affermato sulla grammatica di Dardano-Trifone, non potrebbe essere confuso con nessun altro termine. O, ancora, ho trovato a volte 'sî' (imperativo del verbo 'essere') in luogo di 'sii'. Tutto questo mi ha indotto a pensare - benché la mia grammatica affermi l'opposto - che il circonflesso vada posizionato su qualunque parola che presenti la contrazione di due i in una sola.
Vorrei, insomma, dipanare questo dubbio e capire quando (in poesia come in prosa) si può (o si deve) trovare l'accento circonflesso.
Ringrazio anticipatamente quanti mi risponderanno.
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Infarinato
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Re: Accento circonflesso

Intervento di Infarinato »

umanista89 ha scritto:…Tutto questo mi ha indotto a pensare - benché la mia grammatica affermi l'opposto - che il circonflesso vada posizionato su qualunque parola che presenti la contrazione di due i in una sola.
Se vuol essere coerente, sí, ma l’uso dell’accento circonflesso è oggi in forte regresso in ogni contesto: la rimando a questa interessante scheda del Serianni, che sfiora l’argomento.

Una sola osservazione: nel caso di -ii, la contrazione «grafica» in è possibile solo quando corrisponde a una reale contrazione «fonetica». Cosí, oli o olî (pl. di olio) ché la pronuncia è /'Oli/, ma sempre e solo avvii /av'vii/ da avvio e sii /'sii/ (imp. di essere —la grafia non sarebbe oggi possibile).
avemundi
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Circonflesso

Intervento di avemundi »

Generalmente l'accento circonflesso indica una contrazione o una caduta di sillaba (esempio "tôrre" per "togliere").
L'uso più diffuso è quello della contrazione finale di -"ii" in -"î". Generalmente questo avviene per i plurali di sostantivi e aggettivi terminanti in -io dittongo atono. Ad esempio "pio" dà il plurale "pii" perché -io non è atono, "malvagio" dà il plurale "malvagi" perché la i di malvagio è muta, mentre "rosario" dà "rosarî".
Quest'uso "regolare" dell'accento circonflesso è pressoché estinto.

Esiste poi un uso dell'accento circonflesso con funzione diacritica, per distinguere cioè due parole omografe. Ad esempio i plurali di vario e di varo. Il primo può essere scritto in quattro modi diversi: "varj" (antiquato), "varii", "varî" e "vari". Generalmente i grammatici prescrivono la seconda o la terza forma, ma i grammatici che censiscono l'uso preferiscono la quarta.

Tutte queste forme hanno vantaggi e svantaggi che ricevono diverse valutazioni dai grammatici. Serianni ad esempio si preoccupa che "varii" possa suggerire una pronuncia innaturale (sic!), che poi sarebbe la pronuncia latina classica (o almeno una delle pronunce latine).

La quarta forma è senz'altro la più sciatta. Fra i difetti non tiene conto che "î" derivante da contrazione non ammette l'elisione nella pronuncia davanti ad altra vocale.
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Marco1971
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Re: Circonflesso

Intervento di Marco1971 »

avemundi ha scritto:La quarta forma è senz'altro la più sciatta. Fra i difetti non tiene conto che "î" derivante da contrazione non ammette l'elisione nella pronuncia davanti ad altra vocale.
Mi sembra esagerato – se non addirittura infondato – ritenere «sciatta» la sola forma canonica dell’odierna norma... Una sequenza come vari impegni, in pronuncia neutra, non fa sentire le due ‘i’: /,varim'peJJi/.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
avemundi
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Pronuncia

Intervento di avemundi »

Se davanti ad un'altra "i" è possibile contrarre ancora (fare suonare le due "i" sarebbe cacofonico: è la stessa ragione per cui si contraggono le due "i" originarie di "varii"), la pronuncia davanti ad altra vocale non ammette l'elisione. Tra "vari(i) avvenimenti" e "il varo avvenne" c'è differenza.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Certamente. Ma che differenza c’è tra vari avvenimenti e pari avvenimenti dal punto di vista grafico, che tanto sembra starle a cuore?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
avemundi
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Or incomincian le dolenti noti a farmisi sentire

Intervento di avemundi »

Devo essere sincero, la mia preoccupazione è un'altra. Insistere sulla distinzione grafica necessaria deriva dall'analogia dell'obbligo di forme diacritiche in altri casi (fra cui l'accentazione dei monosillabi). Il sistema grafico dell'italiano è già ambiguo per altri rispetti (mancata indicazione della sillaba tonica, ambiguità di alcuni gruppi consonantici, doppio valore dei segni s, z, e, o, ecc.) :roll: , ma almeno gli svantaggi del sistema sono compensati dai vantaggi di un sistema grafico storico, che ci permette di leggere sette secoli di letteratura (la grafematica del Duecento è invece sensibilmente diversa). Nel caso del declino del circonflesso, si vuole (a mio parere) introdurre una semplificazione nemica di una maggior precisione. Questo declino (o abbandono) è in sostanza un tentativo di risolvere un problema storico tagliando la testa al toro. :shock: :?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Dobbiamo purtroppo prendere atto dell’avvenuta semplificazione. D’altra parte, non mi pare drammatico, visto che, come dicevo sopra, non v’è differenza alcuna di pronuncia tra le ‘i’ di vari avvenimenti e pari avvenimenti. Il circonflesso, in questo caso, sarebbe un diacritico «a funzionalità zero»; né si può confondere con le voci verbali di varare e variare. Inoltre gli omografi omofoni sono legione... Invece di complicare l’ortografia, affidiamoci al contesto, segnando occasionalmente qualche accento là dove l’ambiguità sia reale (i casi sono rarissimi).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
avemundi
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Contrarietà

Intervento di avemundi »

L'abbandono della prescrizione del circonflesso mi sembra indice di un'arrendevolezza precipitosa. Innanzitutto, giova rilevare che affidarsi al contesto salvo discernere casi ambigui è un'operazione che richiede una valutazione complessa. L'ambiguità è in chi legge, quindi va prevenuta: se i lettori sono molti ci sarà sempre una frazione che fraintenderà.

L'analogia è con l'accentazione dei monosillabi. "Da" e "dà" sono omofoni, ma è obbligatorio distinguerli.

Circa l'"avvenuta semplificazione" ho due principali rimostranze. L'ultimo autore che possiamo considerare paradigmatico, Carlo Emilio Gadda, usava esclusivamente forme con il circonflesso o con la doppia "i" (ho cercato poco fa il plurale di augurio in Gadda, poi la ricerca si potrebbe estendere). Le grammatiche prescrittive anche le più recenti consigliano una distinzione diacritica.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

avemundi ha scritto:L'ambiguità è in chi legge, quindi va prevenuta: se i lettori sono molti ci sarà sempre una frazione che fraintenderà.
Ci dia esempi di ambiguità.
avemundi ha scritto:L'analogia è con l'accentazione dei monosillabi. "Da" e "dà" sono omofoni, ma è obbligatorio distinguerli.
Come ben sa, sono casi stabiliti dalla tradizione, che tutto è fuorché sistematica.
avemundi ha scritto:L'ultimo autore che possiamo considerare paradigmatico, Carlo Emilio Gadda, usava esclusivamente forme con il circonflesso o con la doppia "i" (ho cercato poco fa il plurale di augurio in Gadda, poi la ricerca si potrebbe estendere).
Non mi sembra ragionevole considerare «paradigmatico» l’autore novecentesco per eccellenza che si discosta dalla norma, portando la lingua su quello scrimolo (di montaliana memoria) in cui rischia di cadere, diventando una lingua altra.
avemundi ha scritto:Le grammatiche prescrittive anche le più recenti consigliano una distinzione diacritica.
Quali?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
avemundi
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Processo?

Intervento di avemundi »

Non capisco perché rifiutare la ragionevolezza in una semplice analogia (come se ragionare sulla grammatica fosse fuori luogo) e poi confutare la ragionevolezza di prendere a paradigma Gadda, la cui competenza linguistica era notevolmente superiore rispetto a quella degli altri autori novecenteschi. Le scelte stilistiche sono altra cosa. Se poi si mette in dubbio l'autorità di Gadda, ci si aspetterebbe di leggere quale altro autore sarebbe paradigmatico. Forse Bacchelli. Oppure chi?

Allo stesso modo mi aspetterei di leggere quale grammatica prescrittiva sconsiglia l'uso del circonflesso. Gabrielli? Non mi pare. Dardano-Trifone? Neppure. E allora chi?

E per rispondere alla prima domanda, potrei portare il caso dell'ambiguità di "principi" come plurale di "principio". Una frase come "Seguendo virtuosi principi, noi affermiamo che..." qualche perplessità la suscita. L'ambiguità è spesso risolta segnando l'accento tonico, seguendo una prassi recente e non tradizionale, che però conferma l'esigenza diacritica.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Gadda non è paradigmatico. È un autore di grande competenza linguistica, ma che non rappresenta assolutamente l’uso normale.

Riguardo al circonflesso su vari, può leggere lei stesso quel che dice Serianni (I.180). Avrei gradito che lei citasse le grammatiche a cui si riferisce.

Per quanto riguarda gli esempi di ambiguità, lei sa bene che è buona norma fondarsi su esemplificazioni reali e non inventate.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
avemundi
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Serianni

Intervento di avemundi »

A me non pare che Serianni abbia intenti prescrittivi.

Per il resto io sono un pessimo dimostratore e mi piace pure aver torto, quando qualcun altro riesce a dimostrare di aver ragione. E se affermazioni apodittiche come le mie non Le piacciono, le controbatta per cortesia con qualche prova.

Io faccio quello che posso con due testi che ho sotto mano (e se pesiamo i nomi non mi aspetto di convincere nessuno): Iadarola-Marchisio (che nel caso diacritico ammette solo il plurale in -ii, more antiquo) e Ceppellini (che nello stesso caso preferisce circonflesso o doppia i).

Riguardo a Gadda paradigmatico se ne era discusso ai vecchi tempi (http://forum.accademiadellacrusca.it/fo ... /375.shtml) e la proposta non era mia: anzi l'avversavo. In altra occasione parlammo delle "Norme per la redazione di un testo radiofonico": adesso me ne servo per tirare fuori questo bell'esempio del tutto inventato di una catena di litoti (o meglio di "litòti"): "Non v'ha chi non creda che non riuscirebbe proposta inaccettabile a ogni persona che non fosse priva di discernimento, il non ammettere che si debba ricusare di respingere una sistemazione che non torna certo a disdoro della Magnifica Comunità di Ampezzo". Siccome non stavamo parlando di litoti, l'esempio lo riporto perché è spassoso e fa riflettere sulla legittimità di inventarsi casi non troppo peregrini di ambiguità degli omografi.
Ladim
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Intervento di Ladim »

Mi permetto d’inserire due considerazioni immeritevoli di avere un seguito.

In casi come questi, distinguere pare (e lo è) superfetazione – se quindi ciò che si dibatte qui è una quaestio (e non lo è), dovrei incoraggiare la posizione di Marco. Tuttavia, nei circonflessi et similia riscopro un valore non esattamente ortografico, o disambiguante – è infatti un parere estetico, moderatamente grammaticale e, sotto i vostri auspici, culturale senz’altro, quello che mi detta.

È un pò di tempo… – qui [non lo metto in dubbio!] ognuno di voi ha sobbalzato, così come le mie dita, su quella sedicente tachigrafia: viva proposizione di una cultura sempre meno generazionale, e che [forse] medita un ‘minimo’ sovvertimento ortografico per i dizionari dell’Uso di domani [ma il sussulto è ovviamente per chi, tra ‘voi’, qui di passaggio, ora si trova smarrito, e rilegge ancora e ancora questo breve comma!].

Nel segno tracciato (ora digitato) sono molte le informazioni che si ricavano: l’uso sistematico delle minuscole, àpici che compaiono e scompaiono inopportunamente, accenti non gravi e non acuti, anche una punteggiatura assente o traballante, quando non del tutto scorretta, in ultimo un’improvvisata organizzazione del testo – solo a una cerchia molto ristretta di frequentatori della rete [e ad almeno voi tutti] questi aspetti assumono un carattere quasi paralinguistico, una gestualità esemplificante – fuori del testo scritto: si biascica, si gesticola rumorosamente, si tocca la spalla dell’interlocutore, si dice «ohè».

Senza contare che «È» aggiunge una certa competenza nell’uso della tastiera (ché non è agevole comporre e ricordare cifre e sequenze quando la fretta ci autorizza a semplificare fino all’errore).

Arrivo anche – devo dire molto a sproposito – all’allocuzione «indiscriminante», veicolo di una familiarità spesso considerata un'intesa tra eguali, vivaddio complici e controaffettati, versus quell’altra allocuzione ‘impettita’ e «ipocrita» del ‘lei’.

Nel circonflesso et similia vedrei un ragionamento sulla lingua, solo blandamente elitistico, una coscienza non prescrittiva, quanto un’indole o un’educazione comunque grammaticale e non soltanto grammaticale (che la lingua può accogliere senza correggere).

Ma vedo che il mio aratro non segue il solco.
Avatara utente
Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

avemundi ha scritto:A me non pare che Serianni abbia intenti prescrittivi.
[…] vari: è la soluzione piú comune e in genere quella piú consigliabile […] (Serianni, I.180, a; sott. mia)
avemundi ha scritto:Per il resto io sono un pessimo dimostratore e mi piace pure aver torto, quando qualcun altro riesce a dimostrare di aver ragione. E se affermazioni apodittiche come le mie non Le piacciono, le controbatta per cortesia con qualche prova.
Non si tratta d’aver torto o ragione. Le ho appena citato Serianni; le cito anche Dardano-Trifone e lo stesso Ceppellini (Dizionario grammaticale, Novara, De Agostini, 1989):

Ma oggi si tende, anche in questi casi, a ricorrere ad altre soluzioni (v. NOME, 4.4.2.); molto spesso si scrive semplicemente principi e vari, affidando la comprensione del significato al contesto. (Grammatica italiana, Bologna, Zanichelli, 1989, 14.8.)

E nella tabella degli aggettivi indefiniti (5.3.3.), si legge chiaramente vari orbo di circonflesso.

Un altro impiego, tuttora vivo ma poco raccomandabile, del circonflesso è quello di indicare la presunta contrazione delle due i nel plurale dei nomi uscenti in -io atono e in alcune forme verbali di 2a persona singolare (Es.: principî, studî). Meglio lasciare la semplice i conforme alla pronuncia, ricorrendo all’accento interno nei casi di possibile confusione (es. princípi, plurale di principio e príncipi, plurale di principe) e riservare il circonflesso solo ai pochi esempi di completa ed equivoca omofonia (o identità di pronuncia). Es.: assassini, plurale di assassino e assassinî, plurale di assassinio. (Alla voce accento, sott. mie)

Alla voce vario dello stesso dizionario, vari è scritto senza circonflesso.

Quindi: lei può tranquillamente continuare a scrivere varî, ma deve riconoscere che è grafia ormai in disuso oltreché non raccomandata dalle piú autorevoli grammatiche odierne.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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