Prossimo

Spazio di discussione su questioni di lessico e semantica

Moderatore: Cruscanti

Intervieni
pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Prossimo

Intervento di pocoyo »

Gabriel García Márquez ha scritto:«Alla fine della prima settimana uccisero e arrostirono un cervo ma si accontentarono di mangiarne la metà e di salare il resto per i prossimi giorni.»
[Cent'anni di solitudine pag. 19]

Tutto è partito da questa citazione che mio fratello fece a proposito dell'uso di «prossimo». La diatriba che nacque tra lui e mia mamma verteva proprio sulla scelta dell'aggettivo, in particolare sull'ambito temporale in cui questo si inseriva.

Mia mamma sosteneva che «prossimo» può essere usato solo con riferimento futuro nel presente, ovvero: «Oggi decido che nei prossimi giorni mi recherò a Verona». Al contrario, mio fratello appoggiava l'uso di cui il periodo di Márquez è a esempio, ammettendo naturalmente l'uso più comune: «Oggi decido et c.»

Preso dal dilemma procurai di consultare il De Mauro in linea con questo risultato (ricopio solo le definizioni più attinenti):
De Mauro ha scritto:1a agg., molto vicino nello spazio o nel tempo: un campeggio p. al lago, essere p. alla meta, le vacanze natalizie sono prossime.

2b agg. che viene dopo, seguente: svoltare al p. incrocio, scendere alla prossima fermata, ci vedremo la prossima settimana, l’estate prossima andremo in Africa.

Vicino nel passato: un’epoca a noi prossima.
Mentre lo Zingarelli riporta:
Zingarelli ha scritto:A agg. 2 Il più vicino di tutti nel tempo futuro.
Per arricchire le fonti, avendo a disposizione la versione originale in lingua spagnola, riporto le parole del grande Gabbo:
Gabriel García Márquez ha scritto: «Al término de la primera semana mataron y asaron un venado, pero se conformaron con comer la mitad y salar el resto para los próximos días.»
Io personalmente mi trovo d'accordo col buon sangue fraterno e non credo che la traduzione si sia troppo adagiata sulla scelta lessicale dell'originale.

Invoco voi, miei deos ex machina.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Quest’uso è antichissimo:
Vegnendo la novella in Firenze il venerdí, et il sabato prossimo Giambertaldo, vicario per lo re Carlo in Toscana, con alquanti suoi cavalieri... cavalcarono a Colle. (Gesta Florentinorum)
E si ritrova anche nel Novecento (con tradizione ininterrotta):
La prossima volta che rividi brevemente Adele, ella, avendo affittato la villa, viveva in una sudicia casupola tra un nugolo di mosche. (Landolfi)
Ma direi che è limitato alla lingua letteraria, e che in un contesto passato s’usa normalmente seguente/successivo.
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

È che non si usa quasi piú prossimo nel senso generico di «il piú vicino (nel tempo)»: ormai (temporalmente) significa «il primo che verrà».
Insomma, mi sembra piú probabile che sia una leggerezza del genere di cui si è parlato qui, che non piuttosto un (quasi) arcaismo...
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Federico, bisogna distinguere l’uso comune dagli altri, come quello letterario. Un fiorentino dei tempi di Dante, leggendo la Comedía, sarebbe sicuramente rimasto alquanto perplesso di fronte a innovazioni quali inluiarsi, ecc. Cosí, oggi, noi non usiamo prossimo in contesti passati, ma questa non è una ragione sufficiente per affermare che non sia possibile in certi scritti che volutamente si discostano dall’uso quotidiano.
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Cosí, oggi, noi non usiamo prossimo in contesti passati, ma questa non è una ragione sufficiente per affermare che non sia possibile in certi scritti che volutamente si discostano dall’uso quotidiano.
Non sarò certo io a propugnare un livellamento della lingua; solo, anche senza fare processi alle intenzioni, non penso che sia questo il caso della traduzione di Cent'anni di solitudine.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Bisognerebbe vedere chi l’ha tradotto e se la traduzione presenta altre caratteristiche letterarie, nel tessuto delle quali quest’uso non istonerebbe affatto.
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Bisognerebbe vedere chi l’ha tradotto e se la traduzione presenta altre caratteristiche letterarie, nel tessuto delle quali quest’uso non istonerebbe affatto.
Appunto. Ma mi risulta che ci sia solo una traduzione in Italia, quella di E. Cicogna; e non ricordo le caratteristiche letterarie di cui lei suggerisce la possibile presenza, tutto qui.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Potrebbe anche darsi (è un’ipotesi) che le siano sfuggite o che, come dice lei stesso, non le ricordi. ;)
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Potrebbe anche darsi (è un’ipotesi) che le siano sfuggite o che, come dice lei stesso, non le ricordi. ;)
Naturale. Non pretendo certo di essere infallibile: ho parlato solo di mia opinione e di probabilità.
pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Intervento di pocoyo »

Confermo che anche la mia traduzione è di E. Cicogna. Ho provato a cercare il testo in formato libro elettronico, ma purtroppo sono stato sfortunato; sarebbe stato assai piú semplice fare una ricerca di questo tipo con un testo Word.

Il mio dizionario di spagnolo Hoepli riporta i significati già segnalati, tuttavia non credo che il rapporto temporale preso in esame presenti caratteristiche troppo dissimili tra italiano e spagnolo, si tratta piuttosto di stile, secondo me. Cent'anni di Solitudine non si può certo definire un libro povero, in quanto a lessico.

Altrimenti, potrebbe essere che in ispagnolo sud-americano próximo abbia mantenuto un significato piú aperto e che il signor Enrico sia voluto rimanere il piú fedele possibile.
Brazilian dude
Moderatore «Dialetti»
Interventi: 726
Iscritto in data: sab, 14 mag 2005 23:03

Intervento di Brazilian dude »

Non vedo niente di strano nel testo originale di Gabriel Garcia Marquez e la parola proximos usata li mi sembra naturalissima (non ho gli accenti).
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Non conosco né la traduzione né le abitudini scrittorie del traduttore. Ma a questo punto, se Brazilian dude ci dice che in ispagnolo próximo nei contesti passati non è connotato letterariamente, si potrebbe pensare, com’è stato suggerito piú sopra se non erro, all’influsso della lingua fonte.
Avatara utente
Federico
Interventi: 3008
Iscritto in data: mer, 19 ott 2005 16:04
Località: Milano

Intervento di Federico »

pocoyo ha scritto:Altrimenti, potrebbe essere che in ispagnolo sud-americano próximo abbia mantenuto un significato piú aperto e che il signor Enrico sia voluto rimanere il piú fedele possibile.
Ma la maggiore fedeltà non sta nell'uso di parole etimologicamnte simili...
pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Intervento di pocoyo »

Federico ha scritto:
pocoyo ha scritto:Altrimenti, potrebbe essere che in ispagnolo sud-americano próximo abbia mantenuto un significato piú aperto e che il signor Enrico sia voluto rimanere il piú fedele possibile.
Ma la maggiore fedeltà non sta nell'uso di parole etimologicamnte simili...
Sí, ha perfettamente ragione. Ciò che intendevo era il suo desiderio di mantenere il termine spagnolo, essendo l'accezione in italiano -pur un italiano volutamente non ordinario- accettabile. Mal m'espressi. :wink:
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 1 ospite