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Inviato: mar, 12 feb 2008 22:16
di Freelancer
pocoyo ha scritto:A proposito di parallelismi, da parte mia tutto è nato dal raffronto con la lingua inglese. Si paragoni per esempio:

Mangiar fuori con to eat up (that’s going to eat up all my savings / me magna fora tuti i schei);
Dir su con to tell off (he told me off in front of everybody / el m’ha dito su davanti a tuti);
Venir fuori con to come up (he came up with a new idea / el l’è vegnú fora co’ ‘na nova idea).

E ce ne sono altri. Io trovo questa comunanza molto interessante, ma probabilmente è un mio personale feticcio. :wink:
Parlano dell'uso frasale delle particelle in italiano Raffaele Simone nel saggio Stabilità e instabilità nei caratteri originali dell'italiano che compare in Introduzione all'italiano contemporaneo - Le strutture a cura di A. Sobrero, come pure Giovanni Nencioni in una sua risposta sul foglio La Crusca per Voi (N. 8, aprile 1994) , e vi vedono non l'influsso dell'inglese ma, come dice Simone, "l'affioramento di elementi dialettali in italiano". Scrive fra l'altro Nencioni (purtroppo non ho il tempo di riportare l'intera risposta) "[...] La locuzione verbale può corrispondere a un verbo semplice ma, se formata con particelle avverbiali, è fortemente polisemica ed espressiva, come prodotto eminentemente popolare. Dimostrano tale origine la sua frequenza nei dialetti (che è indubbio segno di antichità) e il suo uso pleonastico: salir su, scender giù, cacciar via. Quanto alla polisemia, che si risolve nel contesto, basti pensare ai casi di metter su famiglia, metter su il brodo e, nell'italiano regionale, metter su (o far su) il cappotto. [...] L'uso inglese è sistematico, quindi normativo, e vasto ben più dell'italiano; ma questo, a osservazioni recenti, appare in via di sviluppo, il che può attribuirsi sia all'influenza dell'italiano settentrionale, dove è largamente penetrato nei dialetti, sia a un processo di semplificazione cui l'italiano parlato da quasi tutti gli italiani va soggetto, perdendo la ricchezza della varietà sinonimica e delle forme sintetiche possedute dalla lingua letteraria.[...]

Inviato: mar, 12 feb 2008 22:51
di pocoyo
Grazie per l’approfondimento, Roberto. Tuttavia io non intendevo attribuire all’inglese alcunché: parlavo di comunanza o raffronto. D’altra parte mi moverebbe certo al riso pensare alla mia cara nonna, che di italiano poco sa piú dell’inglese, usare tali verbi sotto l’influenza de l’Economist o della CNN.

Come si accenna nel passo da lei riportato, quest’uso sembra assai piú abituale fra i parlanti del settentrione, mentre (qualcuno potrà forse confermarlo) ho l’impressione che non sia un’abitudine dell’Italia del Sud. Sarebbe interessante verificare una eventuale tendenza fra le diverse lingue. Avrei forse qualche idea, ma io è meglio che non faccia l’abbacone.

sparlare

Inviato: ven, 19 set 2008 14:47
di promessainfranta
In dialetto chioggiotto abbiamo:
ciacolare drio = parlare alle spalle, spettegolare;
sigare drio = sgridare, rimproverare.

Inviato: mer, 08 mag 2013 14:47
di Zabob
u merlu rucà ha scritto:
Bue ha scritto:
u merlu rucà ha scritto:Stare dietro a (più che stare, essere dietro a)
Ma in quale senso? Quello di "occuparsi di", o in sostituzione del "presente continuo" "stare" + gerundio come in mantovano (in cui il gerundio non esiste)?
Occuparsi di.
Io l'ho sentito dire spesso a Genova da persone anziane e l'ho sempre interpretato come un modo per rendere il "presente continuo"; in certi casi, ma non sempre, può dar l'idea di "esser dediti" a far qualcosa (son dietro a cucinare = sto cucinando; ero dietro a guardare la televisione = stavo guardando ecc.).

Inviato: mer, 08 mag 2013 22:09
di u merlu rucà
In effetti una traduzione precisa dell'espressione non sempre è facile.
Rivedendo il filone mi è venuto in mente che in ligure esiste anche l'espressione stà deré a (star dietro a) che significa proprio occuparsi di, badare a:
sta deré a su garsùn (occupati di quel ragazzo).
Invece ese deré a spesso assume un significato di presente continuo, come fa rilevare zabob.

Inviato: mer, 08 mag 2013 22:32
di Ferdinand Bardamu
u merlu rucà ha scritto:Invece ese deré a spesso assume un significato di presente continuo, come fa rilevare zabob.
Lo stesso nel veneto èsar drio a.

Inviato: mer, 08 mag 2013 22:38
di Zabob
Quel che da Roma in giù (mi tengo sul generico, forse non vale per la lingua siciliana) si rende con {stare + a + verbo all'infinito}.

Inviato: dom, 12 mag 2013 21:14
di barfuss79
Il mio dialetto è il ferrarese e credo di poter confermare quanto ipotizzava Pocoyo nel suo ultimo intervento e cioè che i verbi fraseologici sono peculiarità dei dialetti (e conseguentemente di molte espressioni italiane) settentrionali. Il ferrarese conosce una quantità molto elevata di verbi fraseologici, compresi molti dei precedentemente elencati.

Nel caso degli avverbi come precisazioni direzionali, devo dire che di diversi verbi indicanti moto da o a luogo il dialetto ferrarese conosce solo la forma verbale fraseologica. Non esistono ad esempio i verbi “entrare”, “uscire”, “salire” o “scendere”; essi si esprimono solo nella forma “'ndar déntar” / ”gnir déntar”, “'ndar fóra” / “gnir fóra” / “'ndar su”, “gnir su” / “'ndar zzó”, “gnir zzó”.

Non conosco invece l'espressione “cavata” nel senso di “pensata”, “trovata”, citata dal bolognese Vittorio come espressione “panemiliana”. Il verbo “cavar” intende solo strappare, levare, togliere – anche qui con qualche occasione di verbo fraseologico: “cavar's zzó” (= cavarsi giù): togliersi i vestiti, spogliarsi – ma ne ignoro una forma sostantivata.
C'è da dire che il dialetto ferrarese è sotto molti aspetti un dialetto di transizione tra l'emiliano e il veneto. La grammatica è chiarissimamente galloitalica, ma una buona parte del patrimonio lessicale si scosta dall'emiliano ed è in comune con il basso veneto. Tale peculiarità del ferrarese è riscontrabile anche nella pronuncia delle vocali nell'italiano con sostrato ferrarese, i cui casi di apertura o chiusura aderiscono al Polesine / basso Veneto e non all'emiliano: a Bologna di parla di tréno, créma, teléfono, mentre a Ferrara essi sono il trèno, la crèma, il telèfono (laddove la ɛ è un pochino “troppo” aperta, quasi tendente alla æ).

Inviato: dom, 12 mag 2013 21:56
di Ferdinand Bardamu
Benvenuto! :)
barfuss79 ha scritto:Il mio dialetto è il ferrarese e credo di poter confermare quanto ipotizzava Pocoyo nel suo ultimo intervento e cioè che i verbi fraseologici sono peculiarità dei dialetti (e conseguentemente di molte espressioni italiane) settentrionali.
Piú che di verbi fraseologici, parlerei di costrutti verbo-particella avverbiale. I verbi fraseologici «precisano una particolare modalità tempo-aspettuale» (Hanne Jensen, «Fraseologici, Verbi», in Enciclopedia dell’Italiano, 2009) in unione con un altro verbo di modo non finito introdotto da una preposizione.

Il tipo di verbi di cui parla lei, invece, forma un’unità lessicale con una particella avverbiale, e sono analoghi ai phrasal verbs inglesi. Con questi ultimi, infatti, condividono anche l’origine germanica (cfr. Rohlfs 1954 [1969]: § 918) e pertanto, sebbene non siano rari nel toscano, sono molto piú diffusi nell’Italia settentrionale, storicamente piú soggetta all’influenza germanica. Tali verbi non hanno però alcuna funzione aspettuale.
barfuss79 ha scritto:Non esistono ad esempio i verbi “entrare”, “uscire”, “salire” o “scendere”; essi si esprimono solo nella forma “'ndar déntar” / ”gnir déntar”, “'ndar fóra” / “gnir fóra” / “'ndar su”, “gnir su” / “'ndar zzó”, “gnir zzó”.
Espressioni analoghe esistono anche nel mio dialetto: nar drènto, vegnèr fóra, nar fóra, nar su, nar zó, e inoltre cavar zó (=spogliarsi). Confermo anche la pronuncia aperta di trèno, crèma, telèfono.

Inviato: dom, 12 mag 2013 21:56
di u merlu rucà
Dialetti di tipo ferrarese, sono parlati nel Polesine (per esempio a Occhiobello).

Inviato: dom, 12 mag 2013 22:19
di Zabob
Non sono d'accordo sul fatto che i verbi fraseologici siano peculiarità dei dialetti settentrionali.
Posso riportare ad esempio quel noto scioglilingua barese, che sulla wikipedia in italiano è riportato così:
Ce nge n'am'à sscí, sciamanínne; ce non nge n'am'à sscí, non nge ne sime scénne!
Ossia: «Se ce ne dobbiamo andare, andiamocene; se non ce ne dobbiamo andare, non ce ne andiamo». Ma, letteralmente, si traduce: «Se ce n'abbiamo ad andare, andiamocene; se non ce n'abbiamo ad andare, non siamocene andanti»; qui i verbi fraseologici sono due:
– {avere + a + v. all'infinito} per "dovere + verbo all'infinito";
– {non + v. "essere" all'imperativo + part. presente} per rendere l'imperativo negativo (es.: non sii andante = "non andare").
Aggiungo che:
– in barese (e credo nei dialetti meridionali in genere) non esiste il futuro semplice, che viene reso con "dovere" espresso con la stessa locuz. "avere a" vista prima (es.: munne è state, munne iè e mmunn'av'a ièsse = "mondo è stato, mondo è e sarà (lett.: 'ha a essere')" [av= a+'v' eufonica]);
– "dovere", oltre che con "avere a" si può rendere con "tenere a" (ma non per esprimere il futuro; es.: tengo a telefonare = "devo telefonare").

Inviato: mar, 14 mag 2013 14:07
di Animo Grato
Zabob ha scritto:– in barese (e credo nei dialetti meridionali in genere) non esiste il futuro semplice, che viene reso con "dovere" espresso con la stessa locuz. "avere a" vista prima
Che poi è lo stesso modo in cui è nato il futuro semplice italiano.

Inviato: gio, 09 gen 2014 1:11
di rossosolodisera
Ho vissuto tre anni della mia vita a Verona, ma non mi ero accorto di queste espressioni con questo significato: forse perche non frequentavo intimamente i veronesi.

Andare su nel senso di essere eletto lo si usava nelle Marche negli anni ’70. Delle espressioni veronesi mi è rimasto impresso e morta lì (ovvero finisce lì). Nella zona in cui sono nato si usa un'inquietante tirare via inteso come sbrigarsi: "E tira via!". Non sapevo cosa fossero i verbi fraseologici. Grazie.