u merlu rucà ha scritto:Cembalaro ha scritto:Devo però rassegnarmi a intendere schiatta laddove leggo shiaffa; e ammettere vuotta per votta (potrebbe essere vvotta, a causa dell'indistinzione grafica tra u e v, ma un raddoppiamento nel femminile singolare?)
Un raddoppiamento di
votta non dovrebbe essere impossibile, dato che
in napoletano si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a ssèntere etc.)
Certo sarebbe da verificare con parlanti napoletani. Se così fosse l'interpretazione
me schiatta (a) vvotta sembrerebbe in effetti l'unica con un senso. Tra parentesi esiste un altro termine con -ff-,
suffruto. Lì le -ff- sono scritte separate, senza legamenti, quindi è probabile che si tratti di -tt- in
shiaffa.
Sul manoscritto: al foglio 5 recto troviamo
affatata e
affiso, sempre con legatura e soprattutto con la prima -f- che ha un discendente con occhiello. Il discendente con occhiello è presente anche in
suffruto, che effettivamente non ha legatura.
Le -tt- invece non presentano né discendente (ovviamente) né occhielli di sorta: si vedano
tratto,
tratta,
aspettava,
ttene,
fatto,
prommetto,
vuotta,
attraie, ditto,
s[
c]
hiattiglie. Insomma resto convinto che si tratti di -ff- anche se trovo possibilissimo che si tratti di un errore del copista come è stato suggerito.
Credo di conoscere la fonte della sua seconda citazione, e credo che tale fonte vada presa con un grano di sale (nel caso specifico, soprattutto con riguardo all'ortografia che non riguarda il nostro argomento). Innanzi tutto va detto che nel nostro caso la seconda vocale di
schiatta (o
schiaffa) è indistinta, quindi secondo quanto riportato nella citazione il raddoppiamento non dovrebbe aver luogo.
Ma gli esempi riportati sono fuorvianti: le preposizioni sono sempre geminanti, ed è quella la ragione di
stamme a ssèntere. Negli altri due esempi il raddoppiamento è legato non al fatto che la vocale precedente non è indistinta, ma all'uso del genere neutro, come esemplificato da
'o fierro («il ferro», inteso come l'attrezzo - è maschile) /
'o ffierro («il ferro», inteso come materiale, quindi neutro e quindi raddoppiato). D'altronde diciamo
no chiummo (o, se proprio volete
'no chiummo, ma io preferisco tenere ridotti i diacritici il più possibile) e non
no cchiummo, in
tengo no chiummo ncapa («ho un gran peso sulla testa»).
Ma, si dirà, chiummo è neutro anche se non ha l'articolo: perché in scenne chiummo non si raddoppia? perché un'altra regola concernente il raddoppiamento investe la genericità: non il piombo, non un solo piombo o venticinque piombi, ma «scende del piombo», quindi scempia.
La 'regola' della vocale non indistinta che precede la consonante da raddoppiare è contraddetta non solo dagli esempi di maschile contro neutro che ho riportato, ma da innumerevoli altri: ad esempio le seguenti (tra due punti le consonanti che secondo la regola sopra riportata dovrebbe essere doppie e invece non lo sono).
Vuò .s.séntere «vuoi sentire»;
ccà se fa .n.notte «qua si fa notte»;
squagliarrà .c.comme argiento vivo; «squaglierà come argento vivo»;
te lassarrà .f.foire «ti lascerà fuggire»,
venarrà .v.vegilia «verrà vigilia»;
servarrà .s.sempe;
perzò .p.pigliaie speranza; eccetera. Sono, come si vede, tutte parole con inizio in consonante precedute da vocale non evanescente, che quindi dovrebbero ricevere raddoppiamento (per chi non abbia dimestichezza col napoletano, sono 'evanescenti' tutte le vocali postoniche). Ma basta aprire una qualsiasi opera per trovare decine di esempi (io ho aperto qualche pagina del
Cunto).
Questo discorso (del quale mi scuso se ha tradito soverchio entusiasmo) non inficia la Sua conclusione: il copista può non aver inteso il testo che aveva davanti e aver tentato una correzione corrompendo così un precedente
schiatta votta.