Inviato: ven, 01 lug 2016 8:54
Non intendevo discutere sui fenomeni e le dinamiche interne alla lingua inglese, cosa per la quale né ho competenza, né questo è il luogo.
Rimanendo dall'altra parte della Manica, guardavo la cosa in termini meramente di importazione di una combinazione di suoni inedita, che non ha simili nel nostro lessico, e che quindi si presta a indicare un oggetto nuovo.
L'effettivo significato nella lingua di origine - e le sue variazioni nel tempo - credo che a questo livello non abbiano alcuna influenza.
Secondo me il grosso delle parole importate non sono scelte in base al fatto che nella lingua di origine indicano con più precisione un oggetto specifico, bensì che permettono a noi di distinguere fra due tipi di oggetto della medesima categoria, di cui uno nuovo, diverso dai precedenti, e che non possiede una denominazione.
Fra le due strade, inventare una parola italiana adeguata o prenderne di peso una da un'altra lingua, spesso ormai si sceglie la seconda soluzione, perché più comoda e perché - ma sì, ammettiamolo - più alla moda.
Magari si prende un termine che ha il giusto significato nel primo momento che lo si usa, però rapidamente il gruppo di suoni si risemantizza in italiano, andando a coprire le lacune di significante che ne hanno causato l'importazione.
Quindi il discorso si sposta all'interno della nostra lingua, secondo me.
In questo ambito, aprire il portone - che dico, il ponte levatoio - a qualsiasi strafalcione locale diffuso perniciosamente dal giornalista di turno, senza tentare nemmeno una minima resistenza, è deleterio, perché educa la mente a non giocare con le parole, a non essere creativa.
La risemantizzazione è un processo naturale, e come tale richiede tempi lunghi: essa emerge da una selezione naturale dei termini, che tagli le gambe sistematicamente a quelli che sono usi scorretti, sgrammaticature, orrori linguistici.
Solo le parole che resistono strenuamente a tutto ciò, dimostrano di essere "necessarie" nella loro nuova veste.
Non credo che si possa scavalcare questo percorso "naturale".
Il rischio è inizialmente l'appiattimento della lingua su un numero ristretto di termini sempre più polisemici e la perdita della memoria dei numerosi termini presenti per indicare con precisione ogni singola variazione entro una categoria di oggetti.
Il passo successivo è cercare altrove ciò che sembra mancarci, perché riesumare termini "obsoleti" assume aloni politici scomodi, con i quali non abbiamo mai avuto il coraggio di misurarci.
Quello che percepiamo come un uso sbagliato, e che la grammatica dice - per ora - essere sbagliato, mi sembra lecito e doveroso correggerlo e farlo notare a chi parla.
Saranno i posteri, a prenderci in giro, appollaiati sul mucchietto di parole che hanno vinto la loro lotta per cambiare significato.
Rimanendo dall'altra parte della Manica, guardavo la cosa in termini meramente di importazione di una combinazione di suoni inedita, che non ha simili nel nostro lessico, e che quindi si presta a indicare un oggetto nuovo.
L'effettivo significato nella lingua di origine - e le sue variazioni nel tempo - credo che a questo livello non abbiano alcuna influenza.
Secondo me il grosso delle parole importate non sono scelte in base al fatto che nella lingua di origine indicano con più precisione un oggetto specifico, bensì che permettono a noi di distinguere fra due tipi di oggetto della medesima categoria, di cui uno nuovo, diverso dai precedenti, e che non possiede una denominazione.
Fra le due strade, inventare una parola italiana adeguata o prenderne di peso una da un'altra lingua, spesso ormai si sceglie la seconda soluzione, perché più comoda e perché - ma sì, ammettiamolo - più alla moda.
Magari si prende un termine che ha il giusto significato nel primo momento che lo si usa, però rapidamente il gruppo di suoni si risemantizza in italiano, andando a coprire le lacune di significante che ne hanno causato l'importazione.
Quindi il discorso si sposta all'interno della nostra lingua, secondo me.
In questo ambito, aprire il portone - che dico, il ponte levatoio - a qualsiasi strafalcione locale diffuso perniciosamente dal giornalista di turno, senza tentare nemmeno una minima resistenza, è deleterio, perché educa la mente a non giocare con le parole, a non essere creativa.
La risemantizzazione è un processo naturale, e come tale richiede tempi lunghi: essa emerge da una selezione naturale dei termini, che tagli le gambe sistematicamente a quelli che sono usi scorretti, sgrammaticature, orrori linguistici.
Solo le parole che resistono strenuamente a tutto ciò, dimostrano di essere "necessarie" nella loro nuova veste.
Non credo che si possa scavalcare questo percorso "naturale".
Il rischio è inizialmente l'appiattimento della lingua su un numero ristretto di termini sempre più polisemici e la perdita della memoria dei numerosi termini presenti per indicare con precisione ogni singola variazione entro una categoria di oggetti.
Il passo successivo è cercare altrove ciò che sembra mancarci, perché riesumare termini "obsoleti" assume aloni politici scomodi, con i quali non abbiamo mai avuto il coraggio di misurarci.
Quello che percepiamo come un uso sbagliato, e che la grammatica dice - per ora - essere sbagliato, mi sembra lecito e doveroso correggerlo e farlo notare a chi parla.
Saranno i posteri, a prenderci in giro, appollaiati sul mucchietto di parole che hanno vinto la loro lotta per cambiare significato.