Evocato da remote plaghe (
), cerco di dare una sintetica risposta alla domanda.
Nell'ambito della famiglia delle lingue indoeuropee, il latino si colloca in un'area geolinguistica, quella delle cosiddette lingue
kentum, caratterizzata dal fenomeno del
sincretismo dei casi, una deriva linguistica in atto da almeno cinquemila anni.
In cosa consiste il sincretismo dei casi? Si ha sincretismo di casi quando una lingua va incontro alla semplificazione del suo sistema di casi, in séguito all'erosione fonetica delle desinenze e al conseguente ricadere sotto uno stesso caso di funzioni logiche che in precedenza erano espresse con terminazioni di caso diverse. Per esempio, nell'indoeuropeo il complemento di moto da luogo era espresso in ablativo (*yugod: dal giogo) e il complemento di mezzo o strumento era reso con lo strumentale (*yugo: per mezzo del giogo); in latino la distinzione fra ablativo e strumentale va perduta, e l'ablativo riveste anche la funzione dello strumentale. Così dagli otto casi dell'indeuropeo (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, locativo, ablativo, strumentale), si passa ai sei del latino (nominativo, genitivo, dativo, accusativo,vocativo, ablativo, con un relitto semisistematico di locativo). Tuttavia la deriva morfosintattica del sincretismo dei casi non si è mai fermata. Noi conosciamo per lo più il volto pulito e terso del latino dei classici, ma quello è solo uno dei latini possibili. Le varietà di registro e le inflessioni dialettali del latino parlato, nate sia per evoluzione interna, sia per interazione con le lingue di substrato, prelatine, erano abbastanza diverse dal latino di Cicerone e Virgilio. Il latino classico è il frutto di una rigida selezione di varianti, rispetto al latino volgare (del popolino) e rustico (delle campagne intorno a Roma). Le varianti del latino volgare, tuttavia, avevano alcuni tratti in comune, che erano principalmente: 1) a livello fonetico l'erosione delle desinenze
m ed
s nella flessione nominale e verbale -con conseguente erosione delle desinenze (e ciò accade già nella fase più arcaica della repubblica: nelle iscrizioni in versi saturni delle tombe degli Scipioni, III-II sec.
a. C.,
Samnio, Taurasia, Cisaunia, aide sono accusativi senza
m finale, che si confondono con nominativi e ablativi); 2) sul piano morfosintattico, il prevalere dell'accusativo sull'ablativo e sugli altri casi.
Il fenomeno del prevalere dell'accusativo viene via via affermandosi nel corso dell'età imperiale, fino a giungere al culmine in autori tardi di aree periferiche, come Lucifero di Cagliari, che usa un
de + accusativo di provenienza o partitivo. La situazione del tardo latino era aggravata anche dal fatto che molti parlanti erano bilingui (greco-latini) o parlavano un latino con sintassi grecizzante, e il greco di casi ne ha cinque (non ha l'ablativo) e in età tardoellenistica (già dal primo secolo
avanti Cristo), aveva praticamente perso il dativo, le cui funzioni erano sempre più divenute appannaggio di genitivi e accusativi. Da quello che abbiamo detto finora si deduce che il latino parlato (non solo da analfabeti) del V-IV secolo d. C., impiegava di fatto solo quattro dei sei casi normativi, cioè nominativo, genitivo, (vocativo), accusativo. A ciò si aggiunga che, sul piano fonetico della pronuncia reale,
s ed
m non si sentivano più (erano già deboli in età alto-repubblicana, intorno all'epoca di Scipione l'Africano, quindi figuriamoci in età tardo-antica). La debole distinzione fra nominativo e accusativo era poi aggravata dalla presenza dei neutri (che hanno nominativo e accusativo uguali). L'altra deriva a cui il latino volgare e tardo va incontro è la semplificazione del genere, dal sistema a tre indoeuropeo (maschile, femminile, neutro), al sistema a due delle lingue neolatine (maschile e femminile), passando per una fase di confusione in cui la stessa parola ha una forma neutra e una maschile (
coelus maschile è attestato accanto a
coelum femminile già in Lucrezio... e alla base di questa duplice forma esiste probabilmente un fattore etimologico,
coelus-coelum era in origine un aggettivo, "vuoto", cfr il greco
koilos; dunque alle radici della confusione maschile-neutro agiscono dinamiche antiche e profonde). In ogni modo, quali che fossero le dinamiche particolari di evoluzione, alla fine si giunge anche a una confusione di generi, che aggrava il sincretismo. Alla fine di questa parabola evolutiva, si perviene alla struttura dei volgari del medioevo. In Francia, la lingua d'oil e la linga d'oc conservano ancora una distinzione fra relitto del nominativo e relitto dell'accusativo (caso retto e obliquo), e rimasugli di genitivo plurale in -or nei nomi etnici, mentre il genitivo va perduto. In Italia, il placito capuano, attorno al 1000, attesta un relitto di genitivo (Sancti Benedicti). Tuttavia si tratta di situazioni instabili o fenomeni marginali, che tendono infine alla perdita del caso come categoria sistematica e alla fusione di tutte le antiche forme nell'onnipresente accusativo, versatilissimo in latino volgare, e confuso con nominativo e ablativo per l'erosione delle desinenze.
Spero di non essere stato troppo involuto e prolisso. Del resto, c'è tutto il tempo di leggere, chiarirsi le idee e fare domande. Valete.