Che cos’è la grammatica?

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Marco1971
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Che cos’è la grammatica?

Intervento di Marco1971 »

Avevo aperto un filone nel foro della Crusca intitolato Lingua e matematica, che, come spesso avviene, finí col parlar d’altro.

Vorrei tornare sul concetto di grammatica, sovente frainteso. In principio era la lingua (un tipo di lingua). Poi vide la luce la grammatica, che sarebbe (1) un tentativo di analisi volto alla sistemizzazione della lingua, e (2) una descrizione dell’uso effettivo della lingua, sulla base di enunciati o reali o inventati. Il primo corrisponde alla grammatica normativa (= ‘che impone un modello di lingua’); il secondo, alla grammatica descrittiva (= ‘che analizza le manifestazioni della lingua’).

Personalmente, mi collocherei tra l’una e l’altra posizione prescrittiva/descrittiva: se è indubbio che bisogna sempre fare i conti coll’evoluzione, è anche vero che non sarebbe saggio accettare qualsiasi novità senza discernimento né attento vaglio.

È una questione molto complessa – e non riuscirò a trattarne esaurientemente qui in poche righe. Vorrei semplicemente portare alcuni esempi, nella speranza di far comprendere a chi rigidamente s’attiene alle «regole» date nelle grammatiche che esse, piú che regole sono tendenze (e che le grammatiche non possono comunque dar conto di tutte le possibilità). (Anche Giovanni Nencioni ha messo in guardia piú volte contro una concezione rigorosamente grammaticale della lingua.)

Prendiamo i verbi sapere e capire. Nelle grammatiche si può leggere che son verbi seguiti – nella forma affermativa, ché in quella negativa e interrogativa le cose cambiano – dall’indicativo. Eppure, è possibile il congiuntivo anche con questi verbi, soprattutto quando s’intenda sottolineare una particolare partecipazione emotiva. Parto subito con un esempio letterario non presente nella LIZ[a], ma d’un autore e d’un libro a me molto cari (Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, cap. IV, incipit, sott. mie):

Molte volte egli era stato solo: in alcuni casi anche da bambino, smarrito per la campagna, altre volte nella città notturna, nelle vie abitate dai delitti, e persino la notte prima, che aveva dormito per strada. Ma adesso era una cosa ben diversa, adesso ch’era finita l’eccitazione del viaggio, e i suoi nuovi colleghi erano già a dormire, e lui sedeva nella sua camera, alla luce della lampada, sul bordo del letto, triste e sperduto. Adesso sí capiva sul serio che cosa fosse solitudine (una camera non brutta, tutta tappezzata di legno, con un grande letto, un tavolo, un incomodo divano, un armadio).

Provate a sostituire fosse con era: troppo cruda luce gettata dal raziocinio sul cuore, che palpita e sente. Questo palpitare, quest’intimo sentire è vita vissuta, e questo esprime qui il congiuntivo (non la mera esperienza intellettiva di rendersi conto del significato della solitudine).

Altri esempi potrebbero essere questi:

(1) Sapevo che eri/sei magra: qui si fa una costatazione oggettiva e nulla piú;
(2) Sapevo che fossi magra, ma non a questo punto!: ecco che entra in gioco un sentimento (= «Non immaginavo tu fossi cosí magra!»).
(3) So per prova quant’è difficile riuscire: prova matematica, per cosí dire, perché ho fatto delle statistiche e i risultati indicano che solo una piccola percentuale riesce;
(4) So per prova quanto sia difficile riuscire: infatti io ho sperimentato molti insuccessi, e ciò non m’è indifferente, anzi, brucia.

Potrei andare avanti, ma fo punto, e non solo perché gl’interventi troppo lunghi non vengono letti dai piú.

Diffidare, adunque, delle «regole» non assolute (ossia il 95% di esse), e affidarsi al sentimento della lingua, che deve venire da un’assimilazione non altrimenti perseguibile che attraverso la lettura dei buoni scrittori. Ma, si osserverà, c’è leggere e leggere...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Incarcato »

Interessante spunto, Marco.
Premettendo che l'argomento richiederebbe molto piú tempo di quello che ho ora a disposizione — e mi scuso di tanta stringatezza, quel sentimento della lingua di cui parli non potrebbe essere l'equivalente nella sensibilità individuale di quello che a livello linguistico è la grammatica storica, intesa come testimone della sensibilità nei tempi che scorrono?
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non sono sicuro di capire appieno quel che intendi. Con «sentimento della lingua» mi riferisco alla padronanza che deriva dalle buone letture: leggendo bene si acquisisce col tempo una sorta d’intuito, come una voce interiore che ci dice: «Sento (= ‘ho l’intima certezza’) che questa frase è (s)corretta.» Sia chiaro: ciò non va disgiunto dallo studio della grammatica; ma bisogna essere consapevoli che la grammatica contempla solo un’infima parte delle infinite possibilità espressive d’una lingua storico-naturale. Nel caso dell’italiano, poi, non basta aver letto solo autori novecenteschi: è necessario aver letto tutti i classici.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Incarcato »

Avevo inteso proprio quello.
Io inoltre dicevo che questa "padronanza" s'instaura s'una lingua anche col ripercorrerne l'evoluzione della grammatica, che altro non è, a mio avviso, che quello stesso sentimento che tu dici, ma in forma strutturata e ragionata.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Incarcato ha scritto:Avevo inteso proprio quello.
Io inoltre dicevo che questa "padronanza" s'instaura s'una lingua anche col ripercorrerne l'evoluzione della grammatica, che altro non è, a mio avviso, che quello stesso sentimento che tu dici, ma in forma strutturata e ragionata.
Sí, ma secondo me sono due cose diverse e complementari. Attraverso la lettura ci si forma una competenza, per cosí dire, «naturale», si assorbono strutture, lessico, collocazioni in maniera subliminale, per compenetrazione; lo studio dell’evoluzione della grammatica è un processo analitico, che consente, come dici, una visione strutturata e ragionata.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Bue
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Re: Che cos’è la grammatica?

Intervento di Bue »

Marco1971 ha scritto:Prendiamo i verbi sapere e capire. Nelle grammatiche si può leggere che son verbi seguiti – nella forma affermativa, ché in quella negativa e interrogativa le cose cambiano – dall’indicativo.
Buzzati ha scritto:[…] Adesso sí capiva sul serio che cosa fosse solitudine…
Ai miei tempi infatti gli insegnanti ci facevano leggere le grammatiche e dicevano (gli insensibili) che una frase come quella introdotta dal "che cosa" nell'esempio di Buzzati ha il congiuntivo perché è un'interrogativa indiretta... pensa te!
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Peccato che si limitassero a sí scarne considerazioni...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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