Il futuro della Crusca

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Decimo
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Il futuro della Crusca

Intervento di Decimo »

Articolo di Paolo Mauri apparso ieri (19 luglio) sul quotidiano La Repubblica (pp. 32–33), sulla scia di altri giornali toscani e nazionali, a séguito dell’appello dell’Accademia della Crusca del 23 giugno.

Il futuro della Crusca

«Cosí, con pochi soldi difendiamo l’italiano e scopriamo parole nuove»

FIRENZE – Adesso lo dice anche il New York Times: gl’investimenti per la cultura in Italia sono inadeguati e non è un caso se, uno dopo l’altro, gli appelli si moltiplicano. È di pochi giorni fa l’allarme lanciato dalla direttrice della Biblioteca Nazionale di Firenze, che versa in gravissime difficoltà, ed è del 23 giugno l’appello della Crusca, antica Accademia fiorentina (è nata nel 1583) che si occupa della lingua italiana. I giornali hanno già registrato il preoccupato SOS della presidente Nicoletta Maraschio, ed anche hanno detto del salvagente di duecentomila euro prontamente offerto dal Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi: non possiamo star qui a lodare Benigni che legge Dante e poi lasciar morire la Crusca! Per vedere come stanno le cose, vado a trovare la professoressa Maraschio, che insegna Storia della lingua a Firenze ed è succeduta a Francesco Sabatini alla guida dell’Accademia.

La sede è una villa medicea nella periferia nord di Firenze. C’è silenzio tra le viuzze che ricordano i quadri di Rosai, ma, come mi diranno poi, il cemento è in agguato anche qui. La Crusca? Il tassista non ha idea: è una ditta? mi chiede. Penso, mentre arriviamo a desstinazione, che in un certo senso non abbia torto. Ma i conti, i numeri non tornano. Intanto i dipendenti della “ditta” si contano sulle dita di una mano, piú qualche volontario. E i conti in euro sono presto fatti. Non appena ci sediamo, la presidente elenca subito i contributi: che vanno dai centonovantamila euro del Ministero dei Beni Culturali (fondi tagliati rispetto a qualche anno fa) e qualche migliaio di euro che viene da Regione, Provincia, sponsor e soci dell’Accademia stessa. Siamo comunque lontani dal milione di euro auspicato per pareggiare le spese e sostenere qualche iniziativa. «Sí», aggiunge la presidente, «e siamo lontanissimi dai fondi stanziati dai tedeschi per un’Accademia analoga alla nostra che ha molti milioni di budget».

Probabilmente la gente non sa che cosa fa oggi la Crusca, e anche i piú colti magari la pensano come era qualche secolo fa: un gruppo di puristi che esorcizza l’italiano senza il crisma della fiorentinità, com’era all’epoca del primo vocabolario. «È probabile. Ora qualcuno degli amici della Crusca ha proposto di fare un sondaggio per sapere che cosa pensa la gente di noi. Non siamo affatto quelli del “si dice” o “non si dice”, anche se rispondiamo volentieri alla domande del pubblico. I problemi dell’italiano di oggi sono altri. Anzi (sorride), siamo reduci da un convegno dedicato all’italiano degli altri: non solo quello che si parla all’estero, ma anche quello degl’immigrati. Le pare un tema fuori dal tempo?».

Ci raggiunge Domenico De Martino, un filologo che attualmente si occupa dell’Archivio contemporaneo (l’Accademia ne ha anche uno antico dove si trovano le carte che servirono alla costruzione dei Vocabolari). De Martino mi allunga un volume intitolato L’italiano al voto, un’indagine a piú voci sulle elezioni del 2006. C’è dentro di tutto: analisi del linguaggi dei giornali nazionali e locali, le parole dei politici e dei loro consiglieri, attraverso interviste, talk-shaw [sic]. Vien fuori un ritratto sconfortante del nostro Paese, la politica senza politica.

Del Paese, dico, non della lingua italiana… «Ma no», interviene la presidente, «le lingue cambiano, sono in perenne evoluzione. A noi adesso piacerebbe poter mettere in cantienere un vocabolario dell’italiano letterario contemporaneo, dopo quello dell’uso, cioè della lingua parlata, diretto da Tullio De Mauro per la Utet qualche anno fa. Però non possiamo fare progetti a lunga scadenza senza soldi».

Già, i progetti a lunga scadenza: commentiamo l’ingloriosa decadenza del Dizionario Biografico degli Italiani. «Dunque», aggiunge De Martino, «La Crusca che ha insegnato all’Europa come si fa un vocabolario adesso dovrebbe arrendersi?». La Crusca, ricorda la professoressa Maraschio, è nata nel 1583, un po’ per gioco. «I soci fondatori non erano specialisti del lessico, ma in qualche modo lo divennero e nel 1612 uscí il primo Vocabolario».

Intano ci siamo messi a passeggiare per le stanze e per i saloni della Villa. «Per fortuna è del Demanio che ce l’ha concessa in uso gratuito. È la Villa Medicea di Castello che Bruno Migliorni, allora presidente dell’Accademia, ottenne come sede. «Era in condizioni pesisme», aggiunge De Martino. «Ospitava anche una scuola elementare e i bambini nei giorni di piogga andavano in bicletta nel salone affrescato». La biblioteca contiene oltre 120.000 volumi dedicati allo studio della nostra lingua e testi di teoria, filologia, edizioni critiche, trattati… Poi ci sono i manoscritti, gl’Incunabioli, le Cinquecentine e i Citati, cioè i testi degli autori citati nel Vocabolario, che ebbe cinque edizioni, compresa l’ultima che si fermò, nel 1923, alla parola ozono. È come se uno ripercorresse materialmente la storia della nostra lingua, strumento allora elitario, certo, ma comune a tutta la penisola ben prima della sua unificazione. E ci sono dentro il primato del fiorentino trecentesco coi nostri massimi scrittori, ma anche le insofferenze degl’Illuministi che fecero rinunzia alla Crusca “avanti notaio” per usare un italiano piú moderno, e c’è Vincenzo Monti che scrive volumi di correzioni alla Crusca. «Sí», commenta la professoressa Maraschio, «come dice lei, l’Accademia testimonia la nostra storia linguistica. Anche i suoi difetti. All’epoca dell’Unità solo il dieci per cento della popolazione parlava l’italiano, il resto usava il dialetto».

Già, adesso si vorrebbe insegnare il dialetto nelle scuole: ha visto che qualcuno ha fatto tradurre il Dracula di Bram Stoker in milanese? La Presidente preferisce non commentare, ma mi mostra un numero della rivista La Crusca per voi dove Francesco Sabatini affronta proprio questo problema. Il dialetto si impara ma non si insegna, dice in sintesi, condannando i dialettofobi per principio. Oggi molti pensano che internet sia una specie di chiave universale: come si pone l’Accademia rispetto alle nuove tecnologie? «Anche noi siamo on-line e siamo molto avanti nella digitalizzazione del nostro patrimonio librario. Poi, come le dicevo, rispondiamo volentieri ai quesiti che ci vengono posto. Ma c’è dell’altro. C’è il sostegno da dare agli Istituti Italiani di Cultura all’estero, e c’è la necessità di rappresentare e magari anche difendere adeguatamente la nostra lingua in seno all’Europa e al mondo. Noi intanto sostentiamo che le lingue dei paesi che fan parte della Unione Europa hanno tutte pari dignità. La piazza antistante la nostra sede [sic] si chiama, dal 2007, “Piazza delle lingue d’Europa”. In sede europea l’italiano corre rischi seri. Comunque, tutti i paesi debbono poter usufruire di un servizio adeguato di traduzione nella loro lingua. Come vede sono problemi di stretta attualità, anzi, proiettati nel futuro piú o meno prossimo: in piú sono problemi che riguardano tutti gli italiani. So che non è il momento opportuno per dirlo, ma io sogno un contributo alla Crusca da parte di tutte le regioni».

E dire che basterebbe prelevare dal montepremi del SuperEnalotto qualche milione di euro all’anno per risolvere i problemi della Crusca, del Dizionario Biografico e di tante altre istituzioni. Cosí alla lotteria vinceremmo tutti.


Chiedo scusa per i possibili refusi nella copiatura; mi sono permesso d’aggiungere qualche virgola, ma non sono intervenuto oltre sul testo.

V’invito tutti a commentare.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
CarloB
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Iscritto in data: mar, 01 feb 2005 18:23

Intervento di CarloB »

La Crusca, così come, per fare un esempio che mi è vicino al cuore, gli istituti storici italiani, vale a dire nazionali e istituiti con leggi dello Stato (per il Medioevo, per l'Età moderna e contemporanea, del Risorgimento) è alla frutta in seguito ai recenti tagli. E meno male che la Regione Toscana è prontamente intervenuta (questo almeno s'è letto sui giornali).
Tutte queste istituzioni vivono e operano fruttuosamente con spiccioli di bilancio: costano in realtà pochissimo allo Stato.
Se qualcuno volesse confrontare il costo di queste istituzioni meritorie con quello di tante consulenze superflue o con i costi di opere pubbliche del tutto inutili (o con tante altre voci di spesa), di sicuro si indignerebbe.
O forse no. Temo che ormai per i danni inferti alla cultura seria non si indigni nessuno. Evidentemente è un lusso, una superfluità......
Scusate tutti lo sfogo.
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