Devoto e Oli su forestierismi e dialettalismi
Inviato: mar, 28 set 2010 14:06
Dalla prefazione al Dizionario della lingua italiana:
Il presente dizionario apparirà troppo ampio nella registrazione di parole straniere. Non è una gioia. Una lingua è un insieme di strutture, assestate e per così dire polite dalla storia come attraverso l'azione dei ghiacci. Modificare a vanvera gli schemi fonetici è arbitrario, e infecondo. Tuttavia non si possono ignorare due fatti di grande importanza sociale: da una parte il peso della tradizione linguistica anglosassone, che dà un'impronta a tutto il mondo della tecnica e delle scienze della natura; dall'altra la necessità di una spinta unitaria nell'armonizzazione delle pronunce dialettali; infine l'opportunità di accogliere di quando in quando qualche elemento dialettale particolarmente caratteristico.
Per quello che riguarda la pronuncia di termini stranieri, il dizionario dì ortografia e pronuncia redatto a cura della commissione nominata dalla RAI-TV contiene quanto di più completo e fidato si possa immaginare. Ma i problemi che i forestierismi propongono all'utente italiano sono complessi. Il primo è quello dell'adattamento delle parole straniere rispetto a strutture che siano non troppo in contrasto con gli schemi italiani. Da almeno un secolo il sistema italiano non rifiuta più come in passato parole che terminino in consonante. Anzi ne sopporta persino di quelle che terminino in due consonanti, purché la prima sia una consonante continua o « più continua » rispetto a una momentanea seguente: tale il gioco del cosiddetto « cart » che è accettabile mentre non lo sarebbe lo schema TEATR; tale il « film » che è accettabile mentre uno schema FIML non lo sarebbe. In queste condizioni forestierismi come « gap » oppure « lider » non dovrebbero far difficoltà. La seconda categoria è quella delle parole che bisogna rassegnarsi a tradurre: sia il caso di « leadership » che non si vede come possa reggere con la sua anitalianità e che bisogna rassegnarsi a sostituire con « guida ». Il terzo caso è quello del calco, quale si presenta nella terminologia fondamentale degli elaboratori elettronici, attraverso le due locuzioni dello « hard-ware », la sostanza rigida dei calcolatori nella loro struttura, che si concilia press'a poco con la immagine di « materia dura » o « rigida » ; e quella di « soft-ware », la « materia soffice », quale risulta dalla elaborazione dei programmi.
G. Devoto, G.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 1971, p. VII