Il linguaggio politico tra volgarità e echi orvelliani
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- Ferdinand Bardamu
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Il linguaggio politico tra volgarità e echi orvelliani
Interessante articolo sul tralignamento del linguaggio politico italiano, nel quale la parolaccia, l’insulto e la povertà argomentativa divengono la nuova norma, col risultato di separare orvellianamente parole e cose.
Grazie per la segnalazione, caro Ferdinand. Triste bilancio d’una realtà ogni giorno piú corrotta e declive.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Tanto per rimanere in argomento, ho letto con raccapriccio una vecchia intervista a Tullio De Mauro in cui il linguista riporta le parole d’un ministro (che non cito, ma che ha recentemente dichiarato che «con la cultura non si mangia») che sfoggiò senza tema di ridicolo un ameno *una pocum in opposizione a una tantum.
Sennonché fu una battuta…Ferdinand Bardamu ha scritto:…un ministro (…) che sfoggiò senza tema di ridicolo un ameno *una pocum in opposizione a una tantum.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
- Ferdinand Bardamu
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Lo riconosco, ma, secondo me, fu una battuta un po’ infelice. E sospetta: oltre all’invito a farsi (cito a memoria) «un panino colla Divina Commedia», il tal ministro tempo fa disse anche, rivolgendosi a un uditorio di simpatizzanti di un partito molto forte al Norde «noi siamo gente semplice, poche volte ci capita di leggere un libro».
D’acchito, penso sia ingeneroso tacciare d’ignoranza il ministro, che è pure docente universitario. Mi sembra però che certe sue esternazioni (come quelle di altre personalità politiche, peraltro) contribuiscano ad abbassare il registro del linguaggio politico. Studiatamente, nel suo caso.
D’acchito, penso sia ingeneroso tacciare d’ignoranza il ministro, che è pure docente universitario. Mi sembra però che certe sue esternazioni (come quelle di altre personalità politiche, peraltro) contribuiscano ad abbassare il registro del linguaggio politico. Studiatamente, nel suo caso.
Ho sentito anche una spessum. Non dal ministro in questione, ma in una conversazione scherzosa, e probabilmente era ripresa da qualche trasmissione televisiva. Tutto sommato, forse non c'è da allarmarsi troppo.
Quanto alla battuta dello stesso ministro citata da Ferdinand Bardamu, credo che da un lato vada intesa in senso ironico (sottinteso: il ministro è un professore universitario, quindi i libri li legge) e nel contempo solletichi l'atteggiamento antintellettualistico (noi non siamo come gli intellettualoni di città che parlano difficile ma combinano poco: pochi paroloni e molti fatti concreti, noi) dell'elettorato al quale si rivolge. Dal punto di vista della propaganda politica mi sembra una battuta molto efficace.
Ma ha perfettamente ragione Ferdinand Bardamu: ormai i capi politici si esprimono sempre più spesso come se fossero al Bar dello Sport il lunedì mattina.
Quanto alla battuta dello stesso ministro citata da Ferdinand Bardamu, credo che da un lato vada intesa in senso ironico (sottinteso: il ministro è un professore universitario, quindi i libri li legge) e nel contempo solletichi l'atteggiamento antintellettualistico (noi non siamo come gli intellettualoni di città che parlano difficile ma combinano poco: pochi paroloni e molti fatti concreti, noi) dell'elettorato al quale si rivolge. Dal punto di vista della propaganda politica mi sembra una battuta molto efficace.
Ma ha perfettamente ragione Ferdinand Bardamu: ormai i capi politici si esprimono sempre più spesso come se fossero al Bar dello Sport il lunedì mattina.
La conclusione di De Mauro mi lascia perplesso. Alla domanda sul personale uso quotidiano di anglicismi, cosí risponde: «non al punto di chiamare computiere il computer e barro il bar».Ferdinand Bardamu ha scritto:[H]o letto con raccapriccio una vecchia intervista a Tullio De Mauro…
Mi chiedo:
- diversi accademici del settore impiegano calcolatore anche nel parlato, e cosí nei titoli tradizionali dei corsi d’informatica: possibile che il linguista dell’uso per antonomasia non ne sia al corrente?
- dove mai s’è sentito «barro»?
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
Davvero strano, effettivamente. Nelle facoltà di ingegneria esami come "reti di calcolatori" sono diffusissimi!Decimo ha scritto:…diversi accademici del settore impiegano calcolatore anche nel parlato, e cosí nei titoli tradizionali dei corsi d’informatica: possibile che il linguista dell’uso per antonomasia non ne sia al corrente?
Già, caro Canape. La mia personalissima impressione —già piú volte dichiarata— è che linguisti e lessicografi sfruttino come fonte per la lingua contemporanea soltanto i periodici (perlopiú quotidiani) e i successi editoriali (la sola narrativa?).
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
Credo anch'io che sia cosi`. Oddio, non sono sicurissimo che sia un male: specialmente nel settore scientifico (e peggio in quello informatico, temo) credo che l'esempio virtuoso di "reti di calcolatori" sia una rara eccezione in un mare di anglicizzazione selvaggia (una su tutte, il consistente uso di consistente, da parte ad esempio dei fisici, al posto di "coerente" o "compatibile")Decimo ha scritto:Già, caro Canape. La mia personalissima impressione —già piú volte dichiarata— è che linguisti e lessicografi sfruttino come fonte per la lingua contemporanea soltanto i periodici (perlopiú quotidiani) e i successi editoriali (la sola narrativa?).
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