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Punto fermo dopo avverbio avversativo o aggiuntivo

Inviato: ven, 11 mar 2011 18:04
di Ferdinand Bardamu
Mi càpita con buona frequenza d'incontrare negli editoriali di pubblicisti rinomati avverbi avversativi o aggiuntivi isolati in un periodo. Tale suddivisione, per me innaturale e illogica, si trova di solito all'inizio di un nuovo capoverso in cui sono esposte argomentazioni contrarie al precedente o sono fornite informazioni nuove.

Un esempio tratto da Flores D'Arcais (sottolineato mio):

Ferrara e la sua coorte di devotissimi di “Lui” sanno benissimo di mentire per la gola. Ma con la cassa di risonanza di un controllo televisivo quasi totalitario è molto facile far diventare bianco il nero. Contano su questo, sull’incubo orwelliano della neolingua sontuosamente realizzato da “Lui-con-quel-che-segue”.

E invece. Libertari e garantisti siamo rimasti (e libertini talvolta, ma questa è irrinunciabile privacy).


Un altro esempio, che spiego a parole, è «E ancora.», che introduce un nuovo blocco di testo con nuovi dati che si uniscono a quelli menzionati prima.

Quel punto fermo fa stare col fiato sospeso: mi sembra un'enfasi eccessiva, disturbante, sintomo di cattiva retorica. Voi che ne pensate?

Inviato: ven, 11 mar 2011 18:14
di Marco1971
Come in tutto, l’efficacia sta nella parsimonia. Se lo stilema si ripete di frequente, perde ogni odore e sapore. Usato con giudizio e parchezza, può invece avere, secondo me, una grande carica di persuasione.

Inviato: ven, 11 mar 2011 21:36
di Ferdinand Bardamu
Hai ragione, caro Marco. Riconosco la mia idiosincrasia: il punto fermo provoca una pausa forte che interrompe l'andamento della frase e ciò m'infastidisce.

Poi, l'isolamento dell'avverbio fra due punti lo trovo un po' eslege, buono giusto per una prosa vibrante e enfatica. E io, personalmente, cerco sempre di rifuggire dall'enfasi, se non è strettamente necessaria.