Brevemente. Il meccanismo della citazione richiede sempre un poco di complicità anche dalla parte di chi ascolta. Una volta stabilita la distinzione tra stile e grammatica, ogni prelievo testuale, in questo caso zibaldoniano, andrebbe adeguatamente rifunzionalizzato nelle sue parti — ma sarebbe un 'gioco', le cui regole andrebbero più o meno tacitamente condivise. Avendo per fermo che il ricorrere alla letteratura nei fatti di lingua resta un privilegio illustre (e anacronistico) di noi tutti Cruscanti (mi ci metto anch'io, in quanto frequentatore, seppure occasionale, di Cruscate), vorrei continuare ancora questa piacevolissima conversazione.
La dimensione 'pellegrina' leopardiana, qui (sulle 'pagine' di Cruscate) ri-usata consapevolmente, e con le necessarie 'avvertenze' di Amicus eius, equivarrebbe modernamente, e linguisticamente, per non dire sociolinguisticamente, a un riacquisto di parole tradizionalmente italiane (rispettose della nostra tradizione, che è letteraria e toscana) a fronte di un uso spregiudicato di brutti anglismi — si intenda: 'parole tradizionalmente (strutturalmente) italiane' non dissonanti all'orecchio moderno (un recupero lessicale, insomma, veicolato non da un'impenitente volontà puristica, quanto magari da un'impensierita nostalgia nei confronti di un prestigio, oggi, sempre più dimenticato — e in questo, come sempre, io sono ingenuamente e 'caparbiamente' dalla parte della nostra Letteratura).
Il 'barbarismo' leopardiano, al forestierismo d'accatto e poco opportuno.
L' 'eleganza', a un rispetto ragionato nei confronti della lingua.
Con molta probabilità il Leopardi aveva in animo ben altro (e le precisazioni non finirebbero mai); ma la struttura del suo pensiero risulterebbe gradita ai lettori moderni anche per questa, come per ogni altra possibile fruibilità intellettuale (qui non si proponeva, io credo, un esercizio di filologia ermeneutica; ma forse, lo ripeto, solo uno 'spunto' di riflessione, giustamente seguito da considerazioni e proposte alternative dovute ai diversi e ad ogni modo giovevoli punti di vista etc.).
In ultimo, vorrei sottoscrivere, rapidamente, quel che segue, che, io credo, descriverebbe abbastanza fedelmente l'odierno spaccato sincronico:
A differenza di altre nazioni, come la Francia, l'Italia ha abdicato quasi completamente ad avere, nei settori vitali della tecnologia dell'età dell'informazione, una ricerca potentemente propositiva. Fallimento dell'Olivetti, affossamento dell'informatica, e in parte della robotica, nella quale abbiamo brillato in passato, scelta di tecnologie e forme di produzione tributarie, da centro-relais secondario del propulsore informatico, energetico, spaziale americano (che parla inglese). Non parliamo dello stato della ricerca universitaria, visto che in larga parte quella di ricercatore universitario in Italia non è una funzione conoscitivamente utile, ma una pura e semplice onorificenza. A differenza di altre epoche, in cui la partita si giocava nell'ambito letterario e culturale, in questa epoca la nostra comunità di parlanti è in concreto in recessione sul piano della produzione di innovazioni di carattere materiale
E già: il mio, stimato Amicus eius, mi rendo conto, è purtroppo un triste rammarico, ormai un anacronismo bell'e buono...