Accenti tonici «sbagliati»

Spazio di discussione su questioni di fonetica, fonologia e ortoepia

Moderatore: Cruscanti

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Anche amatore di opera lirica! :) Fa molto bene, anche linguistico. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Pygoscelis
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Intervento di Pygoscelis »

Ardentemente amatore di opera lirica!
Per il resto, sa com'è, si fa quel che si può. :)
fiorentino90
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Intervento di fiorentino90 »

Marco1971 ha scritto:Ma non sembra anche a lei che la gente consulti il dizionario per sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato, piuttosto che per avere uno specchio fedele della realtà linguistica che già conosce?
Concordo ed è principalmente per questo motivo che non approvo il DIPI del Canepàri. Registra tutte le pronunce immaginabili, ma alla fine non è questo, come diceva Lei, il motivo per cui consulto un dizionario. Come se non bastasse, se pronuncio cognàc faccio sfoggio di cultura?! E poi pronunce come /ˈfriuli/ sono tollerate?! Quindi "meno consigliabili", ma trovano pur sempre il loro posto nel dizionario...
Imbuter2000
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Intervento di Imbuter2000 »

sandrokkio ha scritto:Giuro che resto allibito di fronte al vostro registro linguistico... perché parlate in questo modo? Vi annuncio che l'italiano è cambiato tantissimo negli ultimi 100 anni, mentre voi sembrate non esserne a conoscenza e anzi rimanere aggrappati ad esso con tutte le vostre forze... tenetevi al passo coi tempi!! Il vostro linguaggio è a tratti non solo incomprensibile, ma addirittura "sbagliato"!! Forme come "son io" non esistono nell'italiano standard corrente, almeno non in quello del 2010.

Per quanto riguarda la discussione degli accenti, la questione è che non è la norma a determinare l'uso, bensì l'uso a determinare la norma!! Non esistono forme "sbagliate" in una lingua e forme "giuste", ma forse usate e non usate.
Se tutta la popolazione italiana dice "sàlubre" e solo 100 persone "salùbre" come si può dire che sia corretta la seconda versione?
La lingua evolve, si trasforma, è un organismo vivo... come una persona! E tentare di cristallizzarla, imbrigliarla, è come cercare di cristallizzare una persona, e i rapporti tra questa e gli altri.
Un altro esempio: la differenza tra "le ho dato" e "gli ho dato" va scomparendo nell'italiano... sempre più persone dicono "gli ho dato (a Maria)" e "gli ho dato (a Luigi)". Un orrore? Forse...ma è la naturale evoluzione linguistica dell'italiano (per analogia).
Vi faccio notare che altre lingue romanze non hanno questa distinzione (lo spagnolo, per esempio --> "le ho dicho", ma anche il portoghese).
La lingua va assecondata nelle sue evoluzioni, non ostacolata!!
Sottoscrivo in pieno tutto!

La lingua evolve e secondo me quando un termine o una posizione di accento entra nell'uso e nella convinzione della stragrande maggioranza delle persone, nell'ambiente e nella circostanza di riferimento e salvo altri più forti fattori contrari, diventa corretto e cade nella mera accettabilità o addirittura nello scorretto il vecchio.

Diversamente, perché non parlate o scrivete ancora come i riferimenti linguistici di qualche secolo fa?

Cito il Boccaccio:
"Vedere addunque dovevi amore essere una passione accecatrice dello animo, disviatrice dello 'ngegno, ingrossatrice, anzi privatrice della memoria, discipatrice delle terrene facultà, guastatrice delle forze del corpo, nemica della giovineza e della vecchieza morte; genitrice de' vizii e abitatrice de' vacui petti; cosa senza ragione e senza ordine e senza stabilità alcuna; vizio delle menti non sane e sommergitrice dell'umana libertà.
O quante e quali cose sono queste da dovere, non che i savii, ma gli stolti spaventare! Vien teco medesimo rivolgendo l'antiche istorie e le cose moderne e guarda di quanti mali, di quanti incendii, di quante morti, di quante disfacimenti, di quante ruine et esterminazioni questa dannevole passione è stata cagione!
E una gente di voi miseri mortali, tra i quali tu medesimo, avendo il conoscimento gittato via, il chiamate Iddio, e quasi a sommo aiutatore ne' bisogni, li fate sacrificio delle vostre menti e divotissime orazioni li porgete! La qualcosa quante volte tu hai già fatto o farai, tante ti ricordo, se da te, uscito forse del diritto sentimento, nol vedi tu che tu a Dio e a' tuoi studii e a te medesimo fai ingiuria.


Ci sarà un momento storico in cui "vecchieza" è diventato (doppiamente) scorretto. Perché, se non per il motivo che ho scritto sopra?

State pure a sostenere che si direbbe "devío" e non "dèvio" ma fino a un secolo fa il verbo "deviare" non era neppure rubricato nel vocabolario, dove era rubricato invece "disviare"/"desviare".
Dovremmo tornare a dire "disviare" o "desviare"?
Ultima modifica di Imbuter2000 in data dom, 03 mar 2013 21:25, modificato 1 volta in totale.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Le do il benvenuto, ma… perché quest’entrata a gamba tesa? Le rispondo brevemente.
Imbuter2000 ha scritto:Diversamente, perché non parlate o scrivete ancora come i riferimenti linguistici di qualche secolo fa?
Chi le dice che non lo facciamo già? :D A parte gli scherzi, Marco ha risposto benissimo piú sopra:

L’evoluzione non si può imbrigliare, questo è verissimo, ma non è neanche salúbre incoraggiare il tralignamento, voltando le spalle a un passato che molto spesso non si conosce o di cui non si ha coscienza.

Aggiungo che, se qualcuno qui si diverte a adoperare un registro elevato, non significa che non sia capace di capire la differenza tra registro colloquiale e formale. Parlar bene non vuol dire parlare come un libro stampato, come forse può pensare.

La prego di scusarmi, poi, se le faccio notare che diversamente nell’accezione di ‹altrimenti› ha un vago sapore burocratico: meglio, per l’appunto, altrimenti o la locuzione in caso contrario e sim.
Imbuter2000 ha scritto:Ci sarà un momento storico in cui "vecchieza" è diventato (doppiamente) scorretto.
Come sarebbe «doppiamente»? Vecchiezza è un vocabolo di registro sostenuto, meno comune rispetto a vecchiaia, ma certamente non «scorretto». Per seguir l’uso, dovremmo restringere il nostro vocabolario come un maglione infeltrito?
Imbuter2000 ha scritto:State pure a sostenere che si direbbe "devío" e non "dèvio" ma fino a un secolo fa il verbo "deviare" non era neppure rubricato nel vocabolario, dove era rubricato invece "disviare"/"desviare"
Dovremmo tornare a dire "disviare" o "desviare"?
Mi perdoni, ma questo non mi sembra un buon argomento. Se in una lingua esistono delle regole, occorre rispettarle. Rincorrere l’arbitrio dei parlanti che sbagliano, quand’anche fossero una massa, non mi pare un criterio accettabile.
Imbuter2000
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Intervento di Imbuter2000 »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Le do il benvenuto, ma… perché quest’entrata a gamba tesa? Le rispondo brevemente.
Grazie del benvenuto, so di essere entrato a gamba tesa ma è perché l'argomento mi interessa particolarmente e riportando il mio pensiero "crudo" senza eufemismi miravo subito al confronto critico...
Ferdinand Bardamu ha scritto:
Imbuter2000 ha scritto:Diversamente, perché non parlate o scrivete ancora come i riferimenti linguistici di qualche secolo fa?
Chi le dice che non lo facciamo già? :D A parte gli scherzi, Marco ha risposto benissimo piú sopra:

L’evoluzione non si può imbrigliare, questo è verissimo, ma non è neanche salúbre incoraggiare il tralignamento, voltando le spalle a un passato che molto spesso non si conosce o di cui non si ha coscienza.

Aggiungo che, se qualcuno qui si diverte a adoperare un registro elevato, non significa che non sia capace di capire la differenza tra registro colloquiale e formale. Parlar bene non vuol dire parlare come un libro stampato, come forse può pensare.

La prego di scusarmi, poi, se le faccio notare che diversamente nell’accezione di ‹altrimenti› ha un vago sapore burocratico: meglio, per l’appunto, altrimenti o la locuzione in caso contrario e sim.
D'accordo sulla correzione del mio "diversamente" in "altrimenti". Deformazione giuridica...
Ferdinand Bardamu ha scritto:
Imbuter2000 ha scritto:Ci sarà un momento storico in cui "vecchieza" è diventato (doppiamente) scorretto.
Come sarebbe «doppiamente»? Vecchiezza è un vocabolo di registro sostenuto, meno comune rispetto a vecchiaia, ma certamente non «scorretto».
Ok, approvo anche il "vecchiezza" ma del "vecchieza" che pensi?
dovremmo tornare ad usare "vecchieza", "giovineza", "addunque", "dello 'ngegno", "facultà", "vizii", "istorie", "incendii", "et", "cagione", "gittato", "divotissime", "nol", "a' tuoi studii", ecc.?
Ferdinand Bardamu ha scritto:Per seguir l’uso, dovremmo restringere il nostro vocabolario come un maglione infeltrito?
Perchè "maglione infeltrito"? seguir l'uso secondo me non è nel senso di escludere dal vocabolario le parole poco usate ma semmai di escludere le diverse poco usate versioni di una parola quantunque (tanto o poco) usata.
E scrivo "semmai" perché preferirei che il vocabolario le riportasse comunque, quando giustificate da qualche effettivo vantaggio come ad es. la miglior pronunciabilità o la maggior brevità, annotandone però il minor uso.
Ferdinand Bardamu ha scritto:
Imbuter2000 ha scritto:State pure a sostenere che si direbbe "devío" e non "dèvio" ma fino a un secolo fa il verbo "deviare" non era neppure rubricato nel vocabolario, dove era rubricato invece "disviare"/"desviare"
Dovremmo tornare a dire "disviare" o "desviare"?
Mi perdoni, ma questo non mi sembra un buon argomento. Se in una lingua esistono delle regole, occorre rispettarle. Rincorrere l’arbitrio dei parlanti che sbagliano, quand’anche fossero una massa, non mi pare un criterio accettabile.
Quindi tu persisti ad usare "vecchieza", "giovineza", "addunque", "dello 'ngegno", "facultà", "vizii", "istorie", "incendii", "et", "cagione", "gittato", "divotissime", "nol", "a' tuoi studii", ecc.? o magari, tranne che su questo forum, usi ancora il latino? diversam ehmm altrimenti, per quale motivo non lo fai più?
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Imbuter2000 ha scritto:Grazie del benvenuto, so di essere entrato a gamba tesa ma è perché l'argomento mi interessa particolarmente e riportando il mio pensiero "crudo" senza eufemismi miravo subito al confronto critico...
Tutto sommato, ha fatto bene. Un po’ di pepe ogni tanto non guasta. :)

Imbuter2000 ha scritto:Ok, approvo anche il "vecchiezza" ma del "vecchieza" che pensi?
dovremmo tornare ad usare "vecchieza", "giovineza", "addunque", "dello 'ngegno", "facultà", "vizii", "istorie", "incendii", "et", "cagione", "gittato", "divotissime", "nol", "a' tuoi studii", ecc.?
Dunque, in quest’elenco c’è un po’ di tutto. Ci sono alcune varianti dovute all’incertezza degli scriventi dell’italiano delle origini di fronte a suoni assenti in latino (l’occlu-costrittiva, dentale, non sonora [ʦ], cioè la z di pazzo); c’è un raddoppiamento fonosintattico che poi s’è perso (addunque: in origine a + dunque); ci sono aferesi che riportano nello scritto una peculiarità della pronuncia toscana (dello ’ngegno, a’ tuoi studii); ancora: ossequi al latino (et, istorie, facultà) e grafie cadute in disuso (vizii, incendii).

All’epoca di Boccaccio, il volgare non aveva ancora del tutto trionfato sul latino. È perfettamente comprensibile, dunque, che non ci fosse ancora una solida norma ortografica.

Imbuter2000 ha scritto:seguir l'uso secondo me non è nel senso di escludere dal vocabolario le parole poco usate ma semmai di escludere le diverse poco usate versioni di una parola quantunque (tanto o poco) usata.
Ma le varianti grafiche delle origini – vecchieza, gratia, ecc. – non sono registrate nei vocabolari, tranne sparute eccezioni (es. facultà), che spesso implicano anche una pronuncia differente. Quindi su questo stia pur tranquillo. :)

Imbuter2000 ha scritto:E scrivo "semmai" perché preferirei che il vocabolario le riportasse comunque, quando giustificate da qualche effettivo vantaggio come ad es. la miglior pronunciabilità o la maggior brevità, annotandone però il minor uso.
Qui però sono in disaccordo. La maggior brevità non è un buon criterio d’inclusione d’una parola. Esempio banale: sopratutto ha una lettera in meno di soprattutto, ma è sbagliato, perché la regola vuole che la consonante che segue immediatamente la preposizione sopra raddoppi.

Imbuter2000 ha scritto:Quindi tu persisti ad usare "vecchieza", "giovineza", "addunque", "dello 'ngegno", "facultà", "vizii", "istorie", "incendii", "et", "cagione", "gittato", "divotissime", "nol", "a' tuoi studii", ecc.? o magari, tranne che su questo forum, usi ancora il latino? diversam ehmm altrimenti, per quale motivo non lo fai più?
Attenzione a non confondere questioni di natura diacronica (le differenze ortografiche tra italiano del Trecento e italiano moderno) con questioni eminentemente sincroniche, come la pronuncia corretta di una parola. Il fatto che io dica salúbre e non sàlubre non significa ch’io debba per forza adottare o accettare grafie arcaizzanti e latineggianti.


P.S. Spero di non sembrare un maestrino, ma in questo fòro ci si dà del lei (punto 10 del Decalogo del Buon Cruscone). :)
domna charola
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Intervento di domna charola »

Mantenere vive le regole di una lingua corrente secondo me è ben diverso che riesumare la lingua di cinque secoli fa, operazione quest'ultima anacronistica e antistorica.

La necessità che sento io nel momento in cui scrivo qualcosa (scripta manent, quindi qualcosa che non è gettato lì ma che viene prodotto in maniera controllata, e che verrà ripetutamente letto a distanza di tempo non ponderabile), è di usare un linguaggio il più preciso possibile, quasi inequivocabile. Parlo di una forma di scrittura che permetta al lettore, anche fra cinquant'anni, di poterla decifrare in base a delle regole ancora considerate valide.

Quello che noto invece nella lingua "in evoluzione" - cioè in gran parte nella lingua parlata, nella quale non si mette analoga cura nella scelta dei termini - è una gran imprecisione, la sostituzione di pochi termini facili e grossolani a tutto un universo di sfumature offerto dai sinonimi.
Cosa comprensibile, che capita anche a me nel parlato, e che tutto sommato non fa grossi danni... se l'interlocutore non ha chiaro un concetto, può sempre chiedermi lumi, e io specifico meglio, magari mi accorgo dello svarione, magari mi scuso anche per essere stata imprecisa.

Diverso è un testo che verrà letto dopo un certo tempo, soprattutto se si tratta di un testo tecnico.
Quando scrivo le note illustrative della Carta Geologica d'Italia, che dureranno probabilmente sino alla prossima edizione, fra cinquant'anni, e che comunque saranno lette anche successivamente - come già succede per i lavori "vecchi" - ho il dovere e l'obbligo di usare un italiano preciso e decifrabile in tutte le sue sfumature, al di là del divenire quotidiano. Compresi i congiuntivi, e compresi certi termini che fra cinquant'anni saranno sicuramente schedati nei dizionari come "antichi".

Fra la breve durata del parlato e la lunga durata dell'opera letteraria, che ci sforziamo di capire a distanza di secoli, esiste secondo me una media durata della lingua scritta, che va difesa e mantenuta.

E in questo foro, appunto, scriviamo e non parliamo...
Imbuter2000
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Intervento di Imbuter2000 »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Qui però sono in disaccordo. La maggior brevità non è un buon criterio d’inclusione d’una parola. Esempio banale: sopratutto ha una lettera in meno di soprattutto, ma è sbagliato, perché la regola vuole che la consonante che segue immediatamente la preposizione sopra raddoppi.
Resto convinto che la maggior brevità sia - e a ragione - uno dei fattori che concorrono a favore del cambiamento di un termine nel tempo, insieme però ad altri fattori anche contrari come la similanza con altri termini analoghi o checchessia che in questo termine ("soprattutto" o "sopratutto") evidentemente prevalgono... ma in altri termini no.

Premesso che non sono sostenitore di "sopratutto", il vocabolario Treccani ad esempio lo ammette (con nota di minor uso) e cita tutta una serie di eccezioni alla "regola" del raddoppiamento:
"sópra [...] produce di norma il raddoppiamento della consonante semplice con cui ha inizio la parola seguente (soprappiù, sovrapporre); ma questa regola, se è pressoché assoluta per le parole più diffuse e più antiche, è scarsamente seguita per voci non popolari, per composti moderni e quindi per la maggior parte dei termini tecnici (cfr. sopracomposto, sopracornice, sopradominante, soprametallo, soprarenale, sovratensione, ecc.) o per composti dei quali è in uso, con lo stesso sign. o con sopra in funzione avverbiale, anche la forma staccata; per parecchie parole, anche di uso com., si hanno oscillazioni più o meno sensibili tra le due grafie (sopralluogo o sopraluogo, soprattassa o sopratassa, sopravvalutare o sopravalutare, soprattutto o, meno spesso, sopratutto, ecc.).
[...]
In pochi casi vi è alternanza tra i pref. sopra- e super-: sopraconduttività, soprafecondazione, o, più spesso, superconduttività, superfecondazione; [...]
Con funzione locale, indica cosa che sta sopra un’altra, che la copre, la riveste e sim.: [...] soprascarpe, sovrastampa; [...] Anche in denominazioni geografiche: Soprabolzano, Sopramonte. [...] d) Riferito a cosa che è al disopra, che trascende: [...], soprasensibile, [...] g) Con altre accezioni della prep. sopra, in [...] sopra(v)vento, ecc. Talora con funzione simile al pref. contro- o contra-, per es. sovrabrisura. h) In matematica, indica un insieme (un ambiente, una situazione) che ne contiene un altro con la stessa struttura, dello stesso tipo: per es., sopragruppo, sopraspazio, soprateoria. [...] La serie dei composti con questo prefisso è in realtà più ampia di quella qui di seguito registrata; sono stati omessi infatti quei vocaboli che, vivi o conosciuti anticam., oggi sono scomparsi dall’uso; e anche tra quelli ancora in vita si sono accolti quelli che hanno una certa stabilità d’uso o qualche accezione tecnica, omettendo peraltro quelli che sono soltanto prevedibili o di trasparente e facile interpretazione (come avviene in alcune terminologie quali quella geografica o anatomica e medica). Di quelli accolti, ciascuno è stato registrato nella forma con cui è più frequentemente scritto e pronunciato, facendo menzione della variante o delle varianti solo quando queste abbiano anch’esse una certa frequenza d’uso." (http://www.treccani.it/vocabolario/sopr ... 6357eee51/)

...e ne potrei trovare molti altri ancora: sopratrocleare, sopratacchi, soprataglio, sopratemporale, sopraterra, sopratesta, sopratitolo, sopratonica, sopratono, [...], soprabasale, soprabattente, soprabranchiale, [...] sopracitato, sopraciliare, sopracute, ......... (http://km.aifb.kit.edu/sites/corpex/?lang=it&q=sopra)

___

A sostegno del mio pensiero cito anche un pezzetto di Wikipedia sul cambiamento nel tempo dell'ortografia della lingua italiana:
"Nel corso del tempo, anche se l'assetto è rimasto stabile, alcune regole sono state modificate. Per esempio, l'uso di scrivere le preposizioni articolate come parole uniche si è affermato invece alla fine del Cinquecento (quando della ha cominciato a sostituire de la). A inizio Novecento era molto diffuso l'uso dell'accento grafico per distinguere alcune forme del verbo avere che oggi invece sono distinte con l'uso della h diacritica: la norma accettava quindi à, ànno al posto delle attuali ha e hanno. Altre modifiche sono ancora più recenti: per esempio, la grafia sopralluogo (al posto di sopraluogo) si è stabilizzata solo negli anni sessanta[4]."
(http://it.wikipedia.org/wiki/Ortografia ... a_italiana)

Continuo dunque a pensare che quando la stragrande maggioranza del target della mia discussione ritiene corretto "sàlubre" invece di "salùbre", sia più conveniente dire "sàlubre", a meno di aver l'intenzione di sembrare ignoranti, ridicoli o ironici (es. http://www.youtube.com/watch?v=Riws5gs-aBc).

Se le regole del linguaggio corrente non cambiassero, dovremmo continuare ad usare il latino... anzi il linguaggio dei Neanderthal!
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Imbuter2000 ha scritto:Continuo dunque a pensare che quando la stragrande maggioranza del target della mia discussione ritiene corretto "sàlubre" invece di "salùbre", sia più conveniente dire "sàlubre", a meno di aver l'intenzione di sembrare ignoranti, ridicoli o ironici (es. http://www.youtube.com/watch?v=Riws5gs-aBc).

Se le regole del linguaggio corrente non cambiassero, dovremmo continuare ad usare il latino... anzi il linguaggio dei Neanderthal!
Ha perfettamente ragione, bisogna sempre adattarsi all'interlocutore, nel parlato soprattutto. Nello scritto formale, invece, è consigliabile seguire le regole universalmente accettate.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Fabio48
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Intervento di Fabio48 »

La farmacia dove mi servo abitualmente, nei giorni scorsi, ha fatto una promozione su un famoso collutorio; in una grossa cesta di vimini, c'erano tutti i flaconi e un cartello con la scritta "Colluttorio a soli 2 euro!"

Mi sono permesso di far notare al farmacista, che è un caro amico, che potrà anche essere bravissimo nella sua materia, ma che in italiano lo era un po' meno.

Mi ha risposto che all'inizio aveva scritto esattamente "collutorio", ma che dopo qualche ora era talmente esasperato dai clienti che gli facevano notare l'errore, che aveva preferito scrivere a quel modo così nessuno aveva da ridire e che io, in tutti quei giorni, ero stato l'unico a fargli un'osservazione :cry:

Cordiali saluti.
...un pellegrino dagli occhi grifagni
il qual sorride a non so che Gentucca.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Un bell’aneddoto che rivela molto dei nostri tempi. Chiaramente quei clienti saputi non s’erano mai presi la briga di leggere l’etichetta del flacone, perché lí collutorio è scritto giusto. Non so però quanti abbiano telefonato al servizio clienti per segnalare l’«errore».
Jonathan
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Intervento di Jonathan »

Imbuter2000 ha scritto:Se le regole del linguaggio corrente non cambiassero, dovremmo continuare ad usare il latino... anzi il linguaggio dei Neanderthal!
Lei sembra trattare le questioni della lingua con l'accetta, caro Imbuter2000.

L'evoluzione di una lingua è un fenomeno inevitabile e assolutamente normale, nessuno lo mette in dubbio. Si può discutere però sulla bontà dei processi che portano a un determinato cambiamento. Per esempio, un frequente errore ortografico dovuto a diffusa ignoranza o pigrizia (come nel caso di xché, magari pure senz'accento, al posto di perché) non può essere messo allo stesso livello d'un neologismo dantesco.

Si tende troppo spesso a considerare la lingua come un 'semplice' strumento di comunicazione, dimenticando che essa è anche un elemento fondamentale della cultura di un popolo: la sua storia e la sua bellezza sono patrimonio comune delle genti che nei secoli l'hanno usata e trasformata. Alle azioni distruttive che, specialmente nel mondo frenetico e globale d'oggi, la spingono verso un rapido abbrutimento, è giusto quindi contrapporre delle forze cólte e relativamente conservatrici che la proteggano.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Concordo. Se dovessimo accettare acriticamente l'uso corrente come "evoluzione", si moltiplicherebbero i mostri, spesso nemmeno giustificati dalla tanto invocata "maggior brevità".
Ad esempio, qualcuno mi spiega perché "accelerare" sta guadagnando una "l", che lo rende pure più difficile da pronunziare, tanto che capita persino di vederselo correggere in testi scritti, divenendo così *accellerare?

A proposito, in un foro di cui sono moderatore, un nuovo utente sforzandosi di "scriver corretto", ha partorito "qual'cuno"... probabilmente aveva vaga idea della presenza di un apostrofo, ma meno chiara era la questione della sua collocazione... :roll: Innovazione?
Ultima modifica di domna charola in data ven, 10 mag 2013 9:13, modificato 1 volta in totale.
Avatara utente
u merlu rucà
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Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41

Intervento di u merlu rucà »

domna charola ha scritto:Ad esempio, qualcuno mi spiega perché "accelerare" sta guadagnando una "l", che lo rende pure più difficile da pronunziare, tanto che capita persino di vederselo correggere in testi scritti, divenendo così *accellerare?
In questo caso particolare, potrebbe trattarsi di una componente psicologica, dovuta proprio al significato del verbo. Il raddoppiamento e la pronuncia intensa di -l- renderebbero 'meglio' l'idea di accelerare.
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