Ausiliare «essere» con i verbi transitivi

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cambrilenc
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Ausiliare «essere» con i verbi transitivi

Intervento di cambrilenc »

Buon giorno a tutti/e,

sto scrivendo un testo sull’impiego del verbo essere come ausiliare dei verbi transitivi in costruzioni come *"sono mangiato una pizza".

Ho trovato tanti esempi di questo uso in abruzzese (vedi gli studi di Roberta d’Alessandro) e anche in alcuni dialetti del Piemonte (ma non necessariamente piemontesi: alcuni appartengono al lombardo di Novara).

Ne conoscete altri? Ho letto ad esempio che ne esistono tracce in alcuni dialetti liguri (e qui "invoco" di nuovo l’aiuto di U Merlu.. ed Ippogrifo :wink: ) ma non sono riuscito per il momento a verificare la mia ricerca.

Grazie
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Ferdinand Bardamu
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Re: Ausiliare «essere» con i verbi transitivi

Intervento di Ferdinand Bardamu »

cambrilenc ha scritto:sto scrivendo un testo sull’impiego del verbo essere come ausiliare dei verbi transitivi in costruzioni come *sono mangiato una pizza.

Ho trovato tanti esempi di questo uso in abruzzese (vedi gli studi di Roberta d’Alessandro) e anche in alcuni dialetti del Piemonte (ma non necessariamente piemontesi: alcuni appartengono al lombardo di Novara).
Mi sono permesso di fare alcune piccole correzioni.

Quanto alla sua domanda, il Rohlfs (1954 [1969], vol. III, § 730) dice:

Nel Lazio meridionale, nelle Marche meridionali, in Abruzzo e nel dialetto di Bari s’osserva una stranissima estensione di essere in luogo di avere coi verbi transitivi. […] Tale caratteristica si ritrova nel Settentrione, in un’areola del Piemonte settentrionale[.] […] Quanto alla Toscana, il Parducci dà, per il lucchese antico, siam vinti ‘abbiamo vinto’[.]

Questo per la distribuzione geografica del fenomeno. Per quanto concerne la giustificazione, Rohlfs, osservando che il fenomeno, nelle aree meridionali, non riguarda le terze persone, fa notare la coincidenza dell’uso di essere e avere coi verbi riflessivi. Giunge quindi alla conclusione che il tipo «sono scelto un cappello» derivi da un precedente «mi sono scelto un cappello».
cambrilenc
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Intervento di cambrilenc »

Grazie Ferdinand,

sí, conoscevo la teoria del Rohlfs, ed anche se per la mia lingua, il catalano (che ha anche essa questo genere di costruzioni) non viene unanimemente accettata, secondo me è la più convincente.


(quello che non sapevo è che la costruzione si trovasse pure in toscano, grazie ancora)
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Di nulla. :)

Rohlfs, nello stesso paragrafo, prende spunto dall’esempio toscano per ipotizzare questo:

[…] la costruzione potrebb’essere stata resa possibile dal fatto che il participio perfetto non possiede soltanto una funzione passiva (sono messo), bensí anche una attiva (abbiamo messo). Un so mmesso andrebbe dunque interpretato come ‘io sono uno che ha messo’. A ciò s’oppone d’altronde il fatto che al plurale il participio rimane invariato (semo cercato).
ippogrifo
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Re: Ausiliare «essere» con i verbi transitivi

Intervento di ippogrifo »

cambrilenc ha scritto: Ne conoscete altri? Ho letto ad esempio che ne esistono tracce in alcuni dialetti liguri (e qui "invoco" di nuovo l’aiuto di U Merlu.. ed Ippogrifo :wink: ) ma non sono riuscito per il momento a verificare la mia ricerca. Grazie
Gent. Cambrilenc,
se può, sarei interessato anch'io a sapere dove ha colto l'indizio per poterlo approfondire. Comunque, rispondo per le varietà di tipo genovese - da Noli (inclusa) alle 5 terre (escluse) - . No, anzi - come lei certamente sa - si verifica nella forma riflessiva di un transitivo l'uso dell'ausiliare "avere". Ma, essendo la "Dachsprache" l'italiano, ciò ha fatto sì che quella che era l'unica norma socialmente sostenuta sia sempre più avvertita come un "errore" e i parlanti residui realizzino il riflessivo dei transitivi mediante forme del verbo essere. Attendiamo, per altro, che si esprima il Merlo prima di considerare conclusa la questione.

P.S.: il riflessivo con avere è molto più vitale, ad es., a Napoli rispetto a Genova, ma scrivo solo per esperienza diretta. Non ho competenze in merito alle parlate meridionali

Saluti
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Ferdinand Bardamu
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Re: Ausiliare «essere» con i verbi transitivi

Intervento di Ferdinand Bardamu »

ippogrifo ha scritto:P.S.: il riflessivo con avere è molto più vitale, ad es., a Napoli rispetto a Genova, ma scrivo solo per esperienza diretta. Non ho competenze in merito alle parlate meridionali.
Il riflessivo con avere c‘è anche in veneto: «El s’à [se ga] crompà la casa», ‹si è comprato la casa›.
Avatara utente
u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Non posso che confermare quanto già detto da ippogrifo. Non mi risulta un tale tipo nelle parlate liguri. Sarei curioso di sapere da dove proviene la notizia di tracce nei dialetti liguri.
Largu de farina e strentu de brenu.
cambrilenc
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Intervento di cambrilenc »

La notizia proviene da questo libro

http://www.pamsa.cat/pamsa/cataleg/Lexp ... minal.html

dal titolo un po’ lungo che parla sugli ausiliari in catalano. La notizia era poco precisa (alguns dialectes lígurs i piemontesos) e poi adesso non ho qui con me il libro (l’ho lasciato ed aspetto ancora che me lo restituiscano :evil:). Ho l’impressione che si tratti, caso mai, di varietà di transizione o dell’Oltregiogo.

Veramente non riesco a trovare niente altro su questo argomento e, infatti, se digitiamo su Google le parole essere ausiliare transitivi dialetti liguri quello che appare è... questo filone!

Nel caso catalano, quello che rende interessante questo fenomeno è il fatto che il catalano ha perso secoli fa l’uso di essere come ausiliare.

(Un esempio: qui potete vedere come questo blogger scrive "som après", 'abbiamo imparato', invece di "hem après":


http://tornareuafalgons.blogspot.com.es ... -blog.html)


Grazie a tutti
ippogrifo
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PARTICIPIO PASSATO

Intervento di ippogrifo »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Rohlfs, nello stesso paragrafo, prende spunto dall’esempio toscano per ipotizzare questo:

[…] la costruzione potrebb’essere stata resa possibile dal fatto che il participio perfetto non possiede soltanto una funzione passiva (sono messo), bensí anche una attiva (abbiamo messo). Un so mmesso andrebbe dunque interpretato come ‘io sono uno che ha messo’. A ciò s’oppone d’altronde il fatto che al plurale il participio rimane invariato (semo cercato).
Innanzitutto, ringrazio Ferdinand Bardamu per aver inserito la citazione del Rohlfs. Che non è proprio . . . uno dei tanti. Però, in questo caso quanto scrive il Rohlfs non è per nulla condivisibile.
E nessuno studioso di lingue neolatine lo condividerebbe. E meno male che il Rohlfs ebbe la lucidità di criticarsi da sé. Mi scuso se esorbiterò - ma pochissimo - dall’ambito dell’italiano e non me ne avrò a male se l’intervento dovrà essere censurato. D’altronde, l’italiano non nasce nel vuoto e ne conosciamo le origini. Dire che in “abbiamo messo” il participio passato “messo” abbia una funzione attiva è davvero una sciocchezza. “Messo” significa “colui/ciò che è stato messo (da qualcuno/qualcosa)” e ha significato - chiaramente - passivo. Deriva da perifrasi latine del tipo di “habemus missum” - lascio lo stesso verbo per semplicità, anche se, in latino, “mittere” non possiede esattamente lo stesso significato che il verbo ha in italiano - , “habemus factum” et c. che hanno costituito la base del cosiddetto “tempo composto” in italiano: “abbiamo messo/fatto” et c. .
Mentre, così, in italiano si sono venute a creare nuove formazioni verbali, in latino prevaleva - invece - il significato della situazione, dello stato di qualcosa che si trovava ad essere (già) stata fatta o messa o altro. Gli studiosi parlano di “aspetto” - anziché tempo – per quanto concerne le perifrasi latine. Come forme di tempi verbali propriamente detti il latino possedeva - invece - “misi” , “feci” et al. continuati negli analoghi - in questi due casi - passati remoti italiani. Anche se in latino esistevano alcuni casi di participi passati con significato attivo - i p.p. dei verbi deponenti (di forma passiva e significato attivo) e pochi altri casi - nella stragrande maggioranza i participi passati dei verbi transitivi avevano - come in italiano - significato passivo. E sempre hanno significato passivo - in latino - i participi passati dei verbi transitivi delle formazioni perifrastiche quali “habemus factum” che sono alla base del passato prossimo italiano “abbiamo fatto” in cui la forma verbale è - sì - “globalmente” attiva, ma il participio passato - “per se” - conserva il significato passivo. Il significato passivo è evidentissimo in latino in cui si scrive “factum”, accusativo, che è il caso di colui/ciò che “subisce” l’azione. Il caso di colui/ciò che compie l’azione sarebbe il nominativo e, allora, si dovrebbe scrivere “factus”, non “factum”. Ma così non è e quanto esposto dimostra che le nostre forme composte del passato prossimo del tipo di “abbiamo fatto” derivano da perifrasi quali “habemus factum” del tardo latino che - in italiano - hanno assunto valore temporale, mentre il significato passivo del participio passato è rimasto inalterato nella transizione dal latino all’italiano. Lo stesso in francese e in spagnolo. Il senso originale di “ho dipinto un quadro” è - sostanzialmente - : mi trovo a che fare con un quadro che è stato dipinto (da me). Non un quadro che ha dipinto . . . L’accezione di “dipinto” è passiva, sono io che ho dipinto, che l’ho dipinto. Sono io il soggetto attivo che - tramite un verbo transitivo - ho compiuto un’azione - aver dipinto - su un oggetto passivo - il quadro - che l’ha “subita”. Così anche - ovviamente - in tutti gli altri casi simili. E in tutte le lingue neolatine, le quali mantengono il concetto di attività/passività - soggetto/oggetto - . Quindi, quanto scrive il Rohlfs relativamente al participio passato non ha senso.
cambrilenc
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Intervento di cambrilenc »

Ho già pubblicato l´articolo; caso mai vi interessasse, è qui:

http://llengualigur.blogspot.com.es/201 ... o-ser.html

Forse non è molto approfondito, ma mi premeva pubblicarlo al più presto dopo la polemica sui cartelli dialettali di Novara.

grazie a tutti
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