Contrazione di «me ne»: «men» o «me ’n»?

Spazio di discussione su questioni di grafematica e ortografia

Moderatore: Cruscanti

Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Contrazione di «me ne»: «men» o «me ’n»?

Intervento di Ferdinand Bardamu »

In alcuni libretti e partiture della Bohème, la celebre romanza di Musetta «Quando men vo» si trova scritta cosí: «Quando me ’n vo». Quest’ultima grafia mi era sconosciuta; a ben vedere, per me è anche insensata: dell’avverbio ne è la vocale a cadere, per cui, tutt’al piú, l’apostrofo si dovrebbe collocare dopo, non prima, quella ‹n›.

Cercando «me ’n vo» nell’archivio in linea della BibIt, ho trovato 10 risultati, tra cui uno del Carducci e due del Tasso. Per contro, «men vo» dà ben 60 risultati (tra gli altri autori, Leopardi, Parini, Marino). Il DOP conferma la grafia (che probabilmente è la) piú rappresentata in letteratura.

Confortato nelle mie certezze, ho modificato le voci della vichipedia dedicate al brano — voci che riportavano anche quello che è un incontestabile errore d’ortografia, «vo’» (apocope di «voglio») per «vo» —, ma un utente mi ha risposto che, appunto, alcune partiture della Ricordi mostrano la grafia «me ’n» e il rispetto filologico, secondo i miei critici, imporrebbe di attenersi a questa lezione.

A parer mio, il rispetto pedissequo della grafia di libretti e, addirittura, di partiture non è utile, perché questi sono meri strumenti per l’esecuzione di un’opera e, in sé, non hanno molto valore. Forse vi furono librettisti particolarmente attenti alla stampa del loro testo; non conosco abbastanza bene l’argomento per negare questa possibilità. Tuttavia, ho l’impressione che la stampa di un libretto non possa esser paragonata — quanto al rispetto della volontà dell’autore — a quella di un canzoniere o di un poema.

Voi che ne dite?
Avatara utente
Carnby
Interventi: 5292
Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
Località: Empolese-Valdelsa

Intervento di Carnby »

La grafia corretta è certamente «quando men vo», perché si tratta di un evidente troncamento davanti a consonante; azzardo che la soluzione grafica in questione possa essere una resa di un teorico *«me n vo», con quell'apostrofo che vorrebbe «collegare» la n al pronome me.
Ultima modifica di Carnby in data mar, 17 giu 2014 0:13, modificato 1 volta in totale.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Carnby ha scritto:… azzardo che la soluzione grafica in questione possa essere una resa di un teorico *«me n vo», con quell'apostrofo che vorrebbe «collegare» la n al pronome me.
È un motivo plausibile, anzi, direi l’unico possibile. Grazie.

Aggiungo un’altra cosa a sostegno del mio argomento: il libretto d’opera è un testo che nasce per esser cantato in teatro da professionisti, non letto in privato, e in silenzio, da chiunque. Adottare la grafia di piú solida tradizione mi sembra la sola scelta possibile.
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Secondo me bisognerebbe tenere quel 'ne' staccato, perché 'men' è anche abbreviazione di meno (es. 'men che padre').
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Scilens ha scritto:Secondo me bisognerebbe tenere quel 'ne' staccato, perché 'men' è anche abbreviazione di meno (es. 'men che padre').
Ma la confusione con l’apocope di meno è impossibile: men ricorre praticamente solo col verbo andare. Tenga presente che parliamo di lingua poetica, e, inoltre, l’apocope in questo caso è necessaria per il rispetto del metro adoperato (un endecasillabo).
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

La possibilità di confondere, concordo, è remota, ma preferisco il 'ne' staccato, come nelle forme normali (me n'accorsi, me n'andai).

Mi era venuto in mente Shakespeare "un po' più che parente, e men che padre", ma si trova anche in formule quotidiane come 'in men che non si dica'.
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
Avatara utente
Carnby
Interventi: 5292
Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
Località: Empolese-Valdelsa

Intervento di Carnby »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Ma la confusione con l’apocope
Non si tratta di un semplice troncamento, invece di un'apocope?
L'apocope dovrebbe essere la caduta di un'intera sillaba e si segnala con l'apostofo (po', mo' ecc.).
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Credevo che non ci fosse alcuna differenza tra apocope e troncamento. Mi sbagliavo. Riporto dal Dizionario di linguistica dell’Einaudi alla voce «troncamento»:

Caduta della vocale finale e, o (raramente i; solo in ora, ancora, suora la a) ed avviene oggi generalmente in fonosintassi (non si trova cioè a fine frase), davanti a consonante (ma difficilmente x, s- impura [sic], z, eccetto nel caso di caduta di -e dove avviene normalmente, es. “poter scegliere” [mah… :roll: ]) o a vocale.

Troncamento ha dunque un senso piú specifico rispetto ad apocope. La ringrazio per la correzione.
PersOnLine
Interventi: 1303
Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30

Intervento di PersOnLine »

Serianni però usa l'espressione «apocope vocalica».
Cembalaro
Interventi: 94
Iscritto in data: sab, 02 nov 2013 14:46

Intervento di Cembalaro »

Nel Don Giovanni di Da Ponte / Mozart: "Se m'en vado si potria / qualche cosa sospettar."
M'en vado calco del francese je m'en vais?

Sulla filologia dei libretti, filone di studi specifico.
Non sarei così scettico sulla possibilità di restituzione testuale rigorosa: i libretti erano solitamente stampati a cura del librettista e i più importanti pubblicavano raccolte slegate dalla rappresentazione: Metastasio, Da Ponte, Trinchera. Edizioni quindi curate né più né meno delle coeve opere di letteratura.
Il problema vero nasce dalla partitura, che può registrare varianti estemporanee operate dal musicista, veri errori (ne sto trovando ora tanti da parte di Leonardo Vinci che mette in musica un libretto di Bernardo Saddumene) e rielaborazioni (tagli o interpolazioni di versi e scene). Non sempre l'errore del musicista può essere emendato: ad esempio un verso mal inteso che diventa ipo- o ipermetro modificherebbe, se fosse emendato riportandolo alla lezione originale del librettista, anche il testo musicale, il che ovviamente non si può fare. La storia del testo-libretto e la storia del testo-in-partitura divorziano creando problemi speciali al filologo.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

La ringrazio tanto. Nel nostro caso la scelta della grafia non ha conseguenze sul metro. Avevo trovato un’edizione del libretto del 1896 — purtroppo non riesco piú a ritrovarla — in cui si leggeva «Quando me ’n vo»; in un’altra edizione, molto piú tarda (1942), si legge invece «Quando men vo».

Questa partitura del 1917 è del tutto inattendibile: la stessa frase è scritta dapprima «Quando me’n vo’», subito dopo «Quando m’en vo’».
Cembalaro
Interventi: 94
Iscritto in data: sab, 02 nov 2013 14:46

Intervento di Cembalaro »

Grazie a lei. Vi è uno studio specifico, che però non ho modo di consultare, che forse contiene qualche chiarimento: Virgilio Bernardoni, Verso Bohème. Gli abbozzi del libretto negli archivi di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, Firenze, Olschki, 2008.
Trova del tutto inattendibile la mia ipotesi di m'en vado come calco del francese je m'en vais?

Per fortuna si trova anche in un'opera di Mozart, per il quale ho più strumenti culturali. Cercherò un'edizione dapontiana seria, meglio ancora curata dall'autore, e se avrò trovato qualcosa mi farò risentire.
Cembalaro
Interventi: 94
Iscritto in data: sab, 02 nov 2013 14:46

Intervento di Cembalaro »

Segnalo anche questo: un altro melodramma, dove si trova m'en voglio uscire (Francesco Sbarra, La magnanimità d'Alessandro, 1662).
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Cembalaro ha scritto:Trova del tutto inattendibile la mia ipotesi di m'en vado come calco del francese je m'en vais?
No, no, al contrario: il mio «del tutto inattendibile» sopra si riferiva al fatto che l’autore della trascrizione della partitura cui rimandavo forniva due grafie differenti per la stessa frase, peraltro aggiungendo un incontrovertibile errore di ortografia come vo’ per vo (‹vado›).

Ritengo invece che l’influsso del francese nella grafia dei versi dapontiani che ha riportato sia molto probabile, giacché Da Ponte visse in un’epoca in cui ancora impazzava la gallomania.

La ringrazio ancora del suo interessamento e del consiglio di lettura, che potrebbe davvero dirimere la questione.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Mi sono procurato il volume della collana «I Meridiani» della Mondadori dedicato ai libretti d’opera: Libretti d’opera italiani: dal Seicento al Novecento, a cura di Giovanna Gronda e Paolo Fabbri, Milano «Mondadori», 1997. Ne trarrò alcune citazioni. Nel libretto della Bohème si legge (p. 1615, sott. mia): «Quando men vo soletta per la via».

Il testo proviene dall’esemplare «LA BOHÈME / (Scene da La vie de Bohème di Henry Murger) / 4 Quadri / di / Giuseppe Giacosa e Luigi Illica / Musica di / Giacomo Puccini / [fregio] / R. Stabilimento Tito di Gio. Ricordi e Francesco Lucca / di / G. Ricordi & C. / Editori Stampatori / Milano - Roma - Napoli - Palermo - Parigi - Londra / (Printed in Italy)», conservato al Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna (Libretti 8279).

Nella nota filologica, a cura di Giovanna Gronda, si precisa che «gli esemplari utilizzati sono […] libretti pubblicati al momento della prima rappresentazione dell’opera musicale di cui portano il nome» (p. 1807), ossia, nel caso dell’opera di Puccini, il 1896. La curatrice non si è servita del raffronto con gli spartiti, perché «[l]e parole del librettista e quelle adottate dal musicista corrispondono a due statuti sostanzialmente distinti: le prime sono sempre pensate in funzione di un testo drammatico verbale, le seconde come supporto di un’espressione musicale (i due sistemi possono accordarsi per lunghi tratti, mai coincidere del tutto)» (p. 1808).

Piú avanti la Gronda spiega come abbia deciso di allestire l’edizione dei libretti rispettando la veste linguistica degli originali, con alcune attualizzazioni (es. la normalizzazione dell’uso della h, la distinzione tra u e v, ecc.). La curatrice sottolinea però che sono state conservate «in deroga all’uso moderno» (p. 1810) le forme pronominali enclitiche come me ’l, mel, melo, ecc.

Quantunque sia opportuno procedere con cautela, perché «i tempi stretti degli allestimenti teatrali ai quali questi testi sono destinati condizionano librettisti, copisti e stampatori, nella stesura come nella trascrizione e nella stampa» (p. 1808), e perché nella tradizione testuale dei libretti per musica «rari sono i manoscritti, rarissimi gli autografi» (p. 1809), possiamo dire con una certa sicurezza che «men vo» è la lezione filologicamente piú corretta.
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 33 ospiti