«Sensuale»

Spazio di discussione su questioni di grafematica e ortografia

Moderatore: Cruscanti

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Luca86
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«Sensuale»

Intervento di Luca86 »

Prendendo spunto da questa discussione – che si è rivelata piú interessante di quanto immaginassi –, vi chiedo: qual è la corretta sillabazione di quest'aggettivo? Stando a quello che stabilisce la norma UNI 6461-97 (e a quanto ne so io), -uà- non dovrebbe essere uno iato, ma un dittongo (come sostiene anche l'utente che ha aperto la discussione):

Si possono dividere invece i gruppi vocalici che formano uno iato, che si realizza di massima in tre casi: 1) se nessuna delle due vocali è i o u: quindi ma-e-stra; a-e-ro-pla-no; po-e-ta; pa-e-sag-gio; 2) se una delle due vocali è i tonica (cioè sulla quale cade l'accento di parola) o u tonica e l'altra è a, e, o, quindi mí-e; bu-gí-a; scí-a; pa-ú-ra (in alcuni casi anche se la seconda vocale è una i o una u, quindi le sequenze iu o ui, come ad esempio in di-úr-no, su-í-no); 3) nelle composizioni, purché sia ancora ben definito il rapporto tra prefisso e base, del tipo ri-em-pi-re; ri-a-ve-re, ri-u-sa-re (solo in questi composti, lo iato si può produrre anche nell'incontro tra u e i). (Fonte)

Tuttavia, quasi tutti i dizionari (salvo qualche eccezione) attestano il contrario.
Ultima modifica di Luca86 in data lun, 30 apr 2012 23:06, modificato 2 volte in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Siccome la pronuncia esatta presenta uno iato, per me la corretta sillabazione è [sen-su-a-le].
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Grazie, Marco; però lei indica la sillabazione fonetica, mentre a me interessa quella ortografica. ;)
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Tutti i vocabolari in mio possesso danno la sillabazione che ho indicato. D’altra parte, che senso ha sillabare secondo regole non rispondenti alla fonetica, visto che la sillaba è un’entità, appunto, fonetica? :roll:
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Mi si corregga se sbaglio, magari non è questo il caso, ma io sapevo che la sillabazione fonetica e quella ortografica, in alcuni casi, non collimassero perfettamente.
Ultima modifica di Luca86 in data lun, 30 apr 2012 23:47, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Per il caso che ci occupa, si legge nella grammatica di Serianni (I.165.i):

Nell’incontro di vocali o dittonghi si possono dividere solo le vocali in iato (be-a[-]to, ma-ni-a[-]co, Ca-i[-]no), non i dittonghi e i trittonghi (cuo-re, a-iuo-la, fiu-me, zai-no, foi-ba).

Come detto prima, /sensu'ale/ presenta uno iato. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Mi viene il sospetto che l'iato sia dovuto all'origine della parola: se è di tradizione ininterrotta, allora si ha dittongo (es. lin-gua); se, invece, è una parola d'origine dotta, allora si ha iato (es. du-el-lo, sta-tu-a-le).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

È molto probabile che sia cosí. Tornando al caso specifico di sensuale, tutte le parole in -uale si sillabano -u-a-le (tranne quale, e ricordiamo la differenza tra la quale e lacuale ;)): cetuale, complessuale, conventuale, fattuale, oggettuale, proventuale, reddituale, ecc.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Luca86
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Intervento di Luca86 »

Marco1971 ha scritto:...tutte le parole in -uale si sillabano -u-a-le (tranne quale, e ricordiamo la differenza tra la quale e lacuale ;)): cetuale, complessuale, conventuale, fattuale, oggettuale, proventuale, reddituale, ecc.
E uguale. ;)
Ultima modifica di Luca86 in data mar, 01 mag 2012 1:34, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, le parole in -quale e -guale hanno il dittongo. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Luca86 ha scritto:Mi si corregga se sbaglio, magari non è questo il caso, ma io sapevo che la sillabazione fonetica e quella ortografica, in alcuni casi, non collimassero perfettamente.
In casi come pa-sta e va-sto, sì, la sillabazione fonemica è /'pas.ta, 'vas.to/ (anche se la posizione di /s/ nel sistema fonologico italiano è un po' problematica).
Ferdinand Bardamu ha scritto:Mi viene il sospetto che l'iato sia dovuto all'origine della parola: se è di tradizione ininterrotta, allora si ha dittongo (es. lin-gua); se, invece, è una parola d'origine dotta, allora si ha iato (es. du-el-lo, sta-tu-a-le).
Parlerei, più che di tradizione interrotta e dotta, del fatto che in questi casi si ha il nesso labiovelare (che, volendo, si potrebbe anche considerare fonema a sé stante, eliminando /w/ dall'inventario fonemico genuino italiano :wink:) quindi (-)qu- sempre /(-)kw-/ e -ngu- sempre /-ngw-/; a queste si aggiungono le gu- /gw-/ che derivano da w- germanica (nonché sonorizzazioni come uguale che avevano -qu- in latino).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Grazie, Carnby. Però, naturalmente, la /u/ seguita da vocale passa a /w/, sia nel caso di sviluppo da Ŏ latina in sillaba aperta (indipendentemente dalla consonante precedente: es. duomo, tuorlo < TŎRŬLU), sia nel caso di evoluzione da w- germanica. In estuoso e duale, parole di origine colta, questa regola per cui la /u/ seguita da vocale passa a approssimante labio-velare /w/ non è applicata. Questa mia osservazione empirica è giusta, secondo lei?
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Grazie, Carnby. Però, naturalmente, la /u/ seguita da vocale passa a /w/, sia nel caso di sviluppo da Ŏ latina in sillaba aperta (indipendentemente dalla consonante precedente: es. duomo, tuorlo < TŎRŬLU) [...] .
Questa parola mi ha sempre lasciato un po' perplesso (come in un certo senso Orvieto che, nella mia pronuncia spontanea, ha [je], invece del normale [jɛ]): che io sappia tuorlo è l'unica parola genuinamente italiana dove si ha [wɔ] in sillaba chiusa; il «dittongamento romanzo» sarebbe cioè avvenuto prima della caduta della o da ŭ: *torulu > *tuorolo > tuorlo.
Inutile dire che quella forma *tuorolo mi convince pochissimo: la caduta di ŭ postonica dovrebbe essere avvenuta in epoca molto precoce, e comunque prima del passaggio a uo.
Ferdinand Bardamu ha scritto:In estuoso e duale, parole di origine colta, questa regola per cui la /u/ seguita da vocale passa a approssimante labio-velare /w/ non è applicata. Questa mia osservazione empirica è giusta, secondo lei?
In realtà stavo pensando se avesse un senso togliere completamente /w/ dall'inventario fonemico italiano, dato che le uniche occorrenze (nelle parole genuinamente italiane) di questo fonema sono nel nesso labiovelare /kw, gw/ e nel cosiddetto «dittongo ascendente» [wɔ]. Leggendo un po' di testi fonologici, sembra che esista la possibilità di «dittonghi fonologici brevi», sia di tipo «ascendente» che «discendente», dove uno dei due elementi è un contoide approssimante anziché un vocoide come nei dittonghi «normali» (tipologicamente più frequenti). Date alcune peculiarità (come la selezione dell'allotopo l'- dell'articolo e la relativa rarità di possibilità combinatorie del fonema) forse sarebbe più conveniente considerare /u̯ɔ/ come un fonema vocalico unico (con una forma secondaria /u̯o/ che prima non sarebbe dovuta esistere per la nota regola del «dittongo mobile»). Ovviamente per parallelismo si dovrebbe introdurre anche /i̯ɛ/ (e /i̯e/). Foneticamente si realizzerebbero come [jɛ, je, wɔ, wo] ma fonemicamente conterebbero come una vocale unica. Per tornare alla sua domanda, ogni parola (eccetto i forestierismi recenti) che contiene /uV/ e che non ricade nei due casi sopraccitati può essere solo vocale (/estu'oso, -zo; du'ale/).
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Quindi, se non ho inteso male, la questione dittongo/iato in questo caso si può risolvere sincronicamente, senza ricorrere allo sviluppo storico. Riassumendo, se una parola non presenta il nesso labiovelare /kw, gw/ o il cosiddetto, con terminologia impropria, dittongo ascendente [wɔ] o [jɛ], l'incontro di u + vocale è in iato.

Mi pare di capire anche che la ricorrenza dell'iato in parole di origine cólta sia un dato accessorio e, in ultima analisi, irrilevante, almeno per avere una regola pratica di sillabazione. Un altro dato, di opinabile utilità anch'esso, è che l'iato sembra marcare il confine di morfema, stando alle poche parole portate a esempio: du-ale, estu-oso, ecc.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Ferdinand Bardamu ha scritto:Quindi, se non ho inteso male, la questione dittongo/iato in questo caso si può risolvere sincronicamente, senza ricorrere allo sviluppo storico.
Non sono sicuro, ma ho degli indizi che mi portano verso una soluzione del genere.
Ferdinand Bardamu ha scritto:Riassumendo, se una parola non presenta il nesso labiovelare /kw, gw/ o il cosiddetto, con terminologia impropria, dittongo ascendente [wɔ] o [jɛ], l'incontro di u + vocale è in iato.
Direi di sì, aspetto comunque esempî contrari (se ci sono).
Ferdinand Bardamu ha scritto:Mi pare di capire anche che la ricorrenza dell'iato in parole di origine cólta sia un dato accessorio e, in ultima analisi, irrilevante, almeno per avere una regola pratica di sillabazione.
Forse non ho capito bene. Può spiegare di nuovo cosa intende?
Ferdinand Bardamu ha scritto:Un altro dato, di opinabile utilità anch'esso, è che l'iato sembra marcare il confine di morfema, stando alle poche parole portate a esempio: du-ale, estu-oso, ecc.
Anche suadente è pronunciato /sua-/ (perlomeno nella pronuncia normativa) e il nesso in questione non è al confine di morfema.
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