«Forum» e «fòro»

Spazio di discussione su questioni di carattere morfologico

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Marco1971
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«Forum» e «fòro»

Intervento di Marco1971 »

Come mi ricorda la professoressa Pollidori Castellani, il caso fòro/forum è analogo a quello di albo/album – latinismi entrati in italiano il primo attraverso l’inglese e il secondo attraverso il francese –, e certamente la terminazione -um s’ambienta in italiano con meno traumi per la lingua rispetto a -ing/-rd/-ft, ecc. Vorrei tuttavia riportare le parole di Bruno Migliorini («Auditorium o auditorio?» in La lingua italiana nel Novecento, Firenze, Le Lettere, 1990, p. 80):
Concludiamo. L’influenza del latino sull’italiano è stata incalcolabilmente grande e indiscutibilmente benefica: il lessico ne è stato molto arricchito, senza che sia stata fatta se non per eccezione violenza al sistema morfologico e fonologico dell’italiano. Certo anche in avvenire (se la demagogia dei politicanti non arriverà a scrollarne le basi) l’influenza del latino continuerà ad agire, e sempre con nuovi benefìci. A una condizione tuttavia: che nell’accogliere i latinismi si segua il metodo nostro e non il metodo altrui. Le altre lingue europee, più alterate che l’italiano o strutturalmente diverse, quando hanno cominciato ad assumere termini latini li hanno presi sotto la forma originaria; e attraverso alcune lingue speciali parecchi di questi latinismi europei tendono a filtrare in italiano. Trascurando di assimilarli si può credere di rendere omaggio alla latinità, o di unirci a un omaggio europeo reso all’antica madre; ma per lo più non si fa che scrollare la struttura normale della lingua per una discutibile affettazione antiquaria.
È davvero un fatto d’ordine psico-sociolinguistico questa fobia dell’adattamento, anche lievissimo e inappariscente.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Decimo
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Re: «Forum» e «fòro»

Intervento di Decimo »

Marco1971 ha scritto:Come mi ricorda la professoressa Pollidori Castellani, il caso fòro/forum è analogo a quello di albo/album – latinismi entrati in italiano il primo attraverso l’inglese e il secondo attraverso il francese –, e certamente la terminazione -um s’ambienta in italiano con meno traumi per la lingua rispetto a -ing/-rd/-ft, ecc.
Non sono insofferente all'uso di latinismi, quand'anche questi siano stati introdotti in italiano dagli altri grandi sistemi linguistici.
Ma ad una rigorosa condizione: vengano rispettati i plurali, non si faccia cioè scempio della lingua latina.
Così: l'album e gli alba, il forum e i fora.

Indiscutibile che lì dove l'adattamento non manca, si preferisca il termine italiano (con un esempio comune: meglio curricolo che curriculum).
pocoyo
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Intervento di pocoyo »

Decimo ha scritto:Ma ad una rigorosa condizione: vengano rispettati i plurali, non si faccia cioè scempio della lingua latina.
Così: l'album e gli alba, il forum e i fora.
A che criteri fa però riferimento, Decimo?

Si tratta d'una questione che mi posi anch'io di tempo fa: perché se un forestierismo inglese non vuole la forma plurale, un latinismo invece dovrebbe essere flesso?

A mio parere, che si tratti del nostro retaggio linguistico o d'una lingua assai diversa dalla nostra com'è l'inglese, si parla di due lingue troppo differenti per inserire "a pié scalzi" una forma flessa.

Come la pensa, lei?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Cito Aldo Gabrielli (Si dice o non si dice?, Milano, Mondadori, 1976, pp. 128-129):
Io penso che si possa benissimo considerare straniero, almeno dal punto di vista morfologico, anche questo gruppo di parole latine, come referendum, ultimatum, currículum, memorandum, auditorium, solarium, album, per tacere del comunissimo lapis. Preciò la prima risposta alla domanda potrebbe esser subito questa: il referendum, i referendum, il currículum, i currículum, il memorandum, i memorandum, e cosí via. Del resto per alcune di queste parole la forma latina invariabile si è stabilizzata da tempo. Tutti, e fin dal Cinquecento, diciamo e scriviamo senza nessuna esitazione il lapis e i lapis, anche se il latino lapis, propriamente «pietra», imporrebbe un plurale làpides. La parola album, venutaci dalla Germania settecentesca dove indicava un libro per la raccolta di ricordi, di versi e di autografi augurali di amici, resiste ancora in questa forma invariabile, gli album, nella medesima accezione e in altri usi estensivi, come «album di francobolli, di fotografie, di dischi», ecc. Ma sempre la forma italiana albo, plurale gli albi, usiamo in ogni altro caso (l’albo dei medici, degli avvocati; albo d’onore; l’albo dei promossi, ecc.). Solario, col plurale i solarii, da almeno un secolo ha sostituito il latino invariabile solarium, che fa capolino solo raramente; e lo stesso è accaduto per auditorium che da tempo ha ceduto il passo alla forma auditorio, plurale auditorii. Alquanto diverso è il caso di ultimatum, referendum e memorandum, tutte parole latine, è vero, ma che ci sono venute attraverso il linguaggio politico straniero, di solito il francese, e perciò lasciate tal quali anche nel plurale. Tuttavia anche per queste qualche tentativo di italianizzazione c’è stato; il Foscolo, per esempio, usò ultimato, e il Pananti parlava di memorandi. Nulla impedirebbe di usare una forma referendo, con un plurale regolare i referendi, e cosí pure sarebbe ottima cosa cominciare a dire il currícolo, nel plurale i currícoli: basterebbe che si mettessero a divulgarle la radio e la televisione, seguite dalla stampa quotidiana, e le due parole nel giro di pochi mesi sarebbero sulla bocca di tutti. Anche spècimen è parola latina, ma venutaci essa pure attraverso il francese (che l’aveva presa dall’inglese). Il latino nel plurale fa specímina; e noi come da crimen, criminis abbiamo fatto crimine, avremmo potuto benissimo fare specímine, specímini [cosí fa, inutile dirlo, il Castellani – e io con lui ;)]. Ma anche qui, essendo di importazione francese, abbiamo lasciato la parola invariata nel plurale.
Io sono per l’assimilazione dei latinismi (veggansi le considerazioni di Migliorini riportate nell’intervento d’apertura qui sopra). Cosí, invece d’un popolaresco il fòrumme, i fòrummi uso un classicissimo il fòro, i fòri – e chi ben pronuncia non lo confonde con il fóro, i fóri. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:…avremmo potuto benissimo fare specímine, specímini [cosí fa, inutile dirlo, il Castellani – e io con lui ;)].
A dir lo vero, credo che Castellani usi le forme attestate spècime, spècimi
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Infarinato ha scritto:
Marco1971 ha scritto:…avremmo potuto benissimo fare specímine, specímini [cosí fa, inutile dirlo, il Castellani – e io con lui ;)].
A dir lo vero, credo che Castellani usi le forme attestate spècime, spècimi
Hai ragione: mi sono affidato a crepuscolari ricordi, senza controllare. Grazie della correzione. :) Ne approfitto per citare due occorrenze nella Grammatica storica castellaniana (leggendo prendo appunti e quindi m’ero segnato le pagine; grassetto mio):
Alcuni degli spècimi di -u racimolati nei documenti del Pistarino possono essere semplici latinismi... (p. 279)

...non conosco nessuno spècime di elle sing. in testi pisani. (p. 314)
Per la forma specímene abbiamo l’esempio di Papini:
C’è... un terzo ordine di ragionamenti di cui non sarà male denunziare la fallacia. Ne ho notato uno specimene giorni fa in una nota romana dove si trattava della sostituzione presso il Quirinale dell’ambasciatore d’Austria.
Quasi quasi la mia preferenza va a quest’ultima forma, ma non mi sono ancora deciso... :D
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:Per la forma specímene abbiamo l’esempio di Papini: […]
Quasi quasi la mia preferenza va a quest’ultima forma, ma non mi sono ancora deciso... :D
Mi fai però un po’ capire come si giustifica questa forma (se non come solecismo)? Specimen (al pari di regimen) era neutro in latino, quindi NOM = ACC = VOC = specimen… Ora, il GRADIT (ma del GRADIT non mi sorprendo piú ormai) m’arriva addirittura a citare l’inesistente *speciminem nell’etimologia di specímene, forma che —ripeto— io riesco spiegarmi solo paretimologicamente… I dizionari etimologici offrono qualche lume?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non è un caso analogo a crimen, criminis, da cui abbiamo tratto crimine e non crime? Forse abbiamo regime e non regimine per influsso del francese? :roll: Ci sarebbero altri casi di derivazione dal genitivo (o dal plurale) invece che dall’accusativo? Interrogherò il Rohlfs.

Ecco la voce specimen nel DELI:
Vc. ingl. (1610), dal lat. spĕcimen ‘saggio, prova’, da *spĕcere ‘guardare, osservare’ (V. prospètto). “Plurale invariabile. Nessuno ha il coraggio di dire specímina, alla latina; né è raccomandabile il plurale con -s. Qualcuno adatta la parola in italiano: lo spècime, gli spècimi (e, per mio conto, approvo)” (Migl. App., 1950). – Bibl.: Benedetti Scott 163-164.
A questo punto, seguendo i miei maestri Migliorini e Castellani, opto definitivamente per lo spècime, gli spècimi. :)

P.S. Vedo ora che esiste anche regimine...

P.P.S. Il mio DOP dà entrambe le forme (e cosí anche il Treccani in linea, mentre il Battaglia ignora spècime e dà solo la variante specimine):
Italianizz. specime [spèčime] o specimine [spečìmine] s. m.
Ultima modifica di Marco1971 in data dom, 18 mar 2007 18:27, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Marco1971 »

Leggo in Migliorini (La lingua italiana nel Novecento, p. 69):
I nomi in -amen, -imen, -umen hanno oscillato fra due esiti (esame / esamine, crime / crimine, volume / volumine) e per lo più hanno finito col prevalere le forme tratte dal nominativo-accusativo.
Ho tolto l’asterisco a crime, visto che è attestato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Infarinato »

Marco1971 ha scritto:…Ci sarebbero altri casi di derivazione dal genitivo (o dal plurale) invece che dall’accusativo?…
Direi dal nominativo/accusativo plurale, non certo da altri casi: ecco la spiegazione, grazie!

…Ma mi sembra che per una voce ripescata «a tavolino» dal latino come specimen sia piú opportuno attenersi al singolare.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Noto con piacere estremo la presenza in rete di 18.600 occorrenze di foro di discussione (e 79 in Google Libri). :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

[continua da qui]

Caro Ferdinand, devo solo prendere atto della parziale diversità di vedute.
Non sono per nulla d'accordo col Gabrielli: per me se si usa una parola straniera questa andrà declinata nella lingua di provenienza, in ogni caso. Altrimenti basta non usarla. Così il plurale di forum sarà fora come quello di referendum sarà referenda, e curriculum fa curricula. Perché nulla vieta di usare 'consultazione popolare', 'gruppo di discussione', o stato di servizio o percorso formativo e lavorativo. Il caso di lapis fa testo per se stesso, come album, e comunque nessuno proibisce di usare al loro posto 'matita' o 'diario' ed 'elenco'.
Chi scrive si assuma la responsabilità con il rischio di non saper trovare i plurali e non saper declinare i termini stranieri. Chi non sa cosa fare non lo faccia o si documenti, se proprio volesse usarli. Esistono sempre i corrispondenti italiani. Qualora non esistano si usi propriamente il termine latino, compreso l'errata corrige. Ma senza linetta allora, perché il latino non ne necessita e non è una strana locuzione italiana tale da dover esser contrassegnata così.
Nulla di obbligatorio naturalmente, si tratta sempre e soltanto di opinioni, la lingua serve soprattutto a capirsi, ma se è più precisa è bene, e se è univoca è meglio.
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Scilens ha scritto:Non sono per nulla d'accordo col Gabrielli: per me se si usa una parola straniera questa andrà declinata nella lingua di provenienza, in ogni caso. Altrimenti basta non usarla. Così il plurale di forum sarà fora come quello di referendum sarà referenda, e curriculum fa curricula.
La questione è un po’ piú complessa. Un forestierismo che entri nell’uso comune perde i suoi contrassegni alloglotti. Se la morfologia è stata adattata, la sua presenza in italiano sarà del tutto inappariscente: per esempio, il recente adattamento di ṭālibān (sostantivo plurale) in talebano rientra in questo caso. Se rimane nella sua veste straniera, la morfologia della lingua di partenza sarà invisibile alla lingua d’arrivo: ecco perché non solo sport, ma anche forum e curriculum al plurale rimangono invariati. Questo è il funzionamento naturale, per cosí dire, della lingua; solo per un’interpretazione colta e artificiale della regola che ho descritto si può dire curricula e fora. Tale interpretazione, peraltro, sonerebbe ridicola, e, per di piú, impedirebbe la reciproca comprensione, per quelle parole che sono entrate nell’uso popolare, come lapis.

La mia posizione in merito è simile a quella di Marco: latinismi come referendum, ultimatum e forum sono tollerabili sia perché «la terminazione -um s’ambienta in italiano con meno traumi per la lingua rispetto a -ing-rd/-ft, ecc.» (cit. di Marco, sopra); sia perché il rapporto secolare dell’italiano con la propria lingua madre fa sí che i margini di tolleranza siano piú ampi. La soluzione migliore, però, rimane l’adattamento, per rispetto del genio dell’italiano: come dice Migliorini «[l]e altre lingue europee, più alterate che l’italiano o strutturalmente diverse» hanno preso i latinismi «sotto la forma originaria», mentre l’italiano, per la sua grande somiglianza col latino, ha sempre preferito l’adeguamento morfologico.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Caro Ferdinand, la regola che seguo è facile da applicare e facilmente spiegabile. Altrettanto non si può dire delle mille eccezioni qui proposte. In sostanza affermo che

chi usa un termine straniero (latino, tedesco o zulu) lo fa a proprio rischio e pericolo.

L'Italiano di solito espelle presto i barbarismi e lo fa da solo. O forse dovrei dire lo faceva, prima dei media martellanti. Anche in questo son d’accordo con lei, ma non son d’accordo sul fatto che referenda, curricola e fora possano risultare incomprensibili o, peggio, possano sembrare affettazioni.
Ma a tutto c'è rimedio: basta non usarli, se si teme qualche rischio.
Quanto al ridicolo, nel 1800 Leopardi spiega bene che il villano ride di ogni parola che ignora. Oggi internet non richiede grande studio né fatica per una così piccola notizia.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Io son d’accordo con quasi tutto ciò che dice. Alcune precisazioni:
Scilens ha scritto:... non son d’accordo sul fatto che referenda, curricola e fora possano risultare incomprensibili o, peggio, possano sembrare affettazioni.
Io intendevo dire altro, però. Mentre l’invariabilità del plurale dei forestierismi non adattati è applicata spontaneamente da tutti i parlanti, la declinazione secondo la morfologia straniera richiede la conoscenza della lingua straniera a cui appartiene la parola. In questo senso, è artificiale.
Scilens ha scritto:Quanto al ridicolo, nel 1800 Leopardi spiega bene che il villano ride di ogni parola che ignora. Oggi internet non richiede grande studio né fatica per una così piccola notizia.
Ma qui parliamo di una parola d’uso popolare: che senso avrebbe dire «passami quei làpides», se non quello di fare uno sfoggio del tutto fuori luogo? Poi son d’accordo che sarebbe meglio dire matita (e infatti io non sento nessuno dire lapis, se non qualche anziano).
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