Cento anni di lingua italiana (1861-1961)
Inviato: sab, 27 gen 2007 0:00
Questo volumetto raccoglie tre saggi di Giacomo Devoto, Bruno Migliorini e Alfredo Schiaffini. Alcuni passi dei saggi dei primi due linguisti aggiungono qualche briciolo di informazione e qualche altro spunto ad argomenti di cui parliamo spesso in questa sede.
All'inizio di [i]Cento anni in cinque ventenni[/i], Giacomo Devoto ha scritto:La lingua italiana passa nei cento anni attraverso diverse fasi, risente di diversi motivi conduttori, di fronte ai quali reagiscono resistenze e negazioni più o meno efficaci: la classicità manzoniana, il momento epico col Carducci, il momento musicale col D'Annunzio, quello marziale col fascismo, e finalmente la nuova classicità crociana.
Al disotto dei grandi modelli e delle corrispondenti correnti polemiche, la lingua letteraria italiana si diffonde e si svolge: nella amministrazione, nella borghesia, nel popolo. I dialetti declinano, annacquano il loro vocabolario, ma reagiscono a loro modo nella cadenza della pronuncia della lingua letteraria.
Il vocabolario della tecnica si impone, e si espande in impieghi figurati: alle formule chimiche e matematiche si affiancano le sigle del commercio e dell'organizzazione politica. Lo sviluppo della burocrazia, il declino dell'analfabetismo non elevano il livello della lingua letteraria. Di fronte ad essa rimangono aperti, antitetici, gli ideali di classicità e popolarità. Per questo, cento anni di storia della lingua italiana aderiscono ai cento anni di storia della società italiana.
Nel capitolo [i]L'età manzoniana (1861-1881): Pro e contro il modello fiorentino[/i] di [i]Cento anni in cinque ventenni[/i], Giacomo Devoto ha scritto:La parola gas, nata nel secolo XVII, si impone nel ventennio in tutte le città con l'illuminazione, poi con la cucina. Essa impone alla lingua italiana una finale in consonante, dà l'avvio al terzo sistema fonologico italano.
Nel capitolo [i]L'età carducciana (1881-1901): Imagini e ritmi dell'antichità classica[/i] di [i]Cento anni in cinque ventenni[/i], Giacomo Devoto ha scritto:La parola tram per indicare un veicolo a rotaie, prima a cavalli poi elettrico, si diffonde nelle città principali, e conferma la possibilità delle parole italiane di uscire in consonante.
Nel capitolo [i]L'età dannunziana (1901-1921): La lingua come ornamento e melodia[/i] di [i]Cento anni in cinque ventenni[/i], Giacomo Devoto ha scritto:La grande nuova parola è sport, addirittura con due consonanti in finale. Essa sopravvive vigorosa, anche se molti anglismi del gioco del calcio vengono abbandonati. Nascono le sigle, di cui la più famosa è la FIAT, sorta nel 1899 e divenuta di patrimonio comune a partire dal 1906: sigla ancora facile da pronunciare e fornita di un significato latino.
Nel capitolo [i]L'età fascista (1921-1941): Le iperboli della politica e il ritegno dei letterati[/i] di [i]Cento anni in cinque ventenni[/i], Giacomo Devoto ha scritto:Nonostante la resistenza ufficiale, parole straniere continuano ad imporsi. La più tipica è in questo periodo il jazz, che proviene dagli Stati Uniti. Essa pone non soltanto il problema fonetico della sua finale, ma anche quello ortografico della sua iniziale.
Nel capitolo [i]L'età attuale (1941-1961): La classicità crociana e l'avvento di gerghi e dialetti nella lingua letteraria[/i] di [i]Cento anni in cinque ventenni[/i], Giacomo Devoto ha scritto:Le parole straniere continuano ad affluire, e con gli apparecchi jet o aviogetti, e la catena di alberghi Jolly sempre più diffusi, ci si domanda se non siamo alla vigilia di una diversa lettura del segno j.
Le sigle, sempre più complesse, sono il nocciolo a loro volta di una scrittura sillabica: CGIL = Cigielle, CLN = Cielleenne.
In [i]Cento anni di lessico italiano[/i], Bruno Migliorini ha scritto:La penetrazione delle parole straniere nel nostro vocabolario richiederebbe una esemplificazione e una discussione molto lunghe, per vedere quali siano i campi in cui più i forestierismi abbondano, e per vedere da che lingua essi provengono e quali difficoltà le diverse provenienze producono: per esempio, parole come tango o rumba o canasta, che provengono dall'Argentina e da Cuba, non presentano alcuna difficoltà perché hanno una struttura identica a quella delle parole italiane; mentre non si può dire lo stesso per jazz e charleston, e per innumerevoli parole inglesi penetrate negli ultimi decenni.
I pareri se convenga o no cercare di adattare o sostituire quelle parole forestiere che non corrispondono agli schemi strutturali italiani sono molto discordi. Naturalmente nessuno si sogna di italianizzare parole come boomerang o tomahawk, che si riferiscono a cose rare ed esotiche, ma ci si può domandare se è ben fatto che molti alberghi si vergognino di chiamarsi alberghi e si chiamino hôtels, se è meglio dire transistore o transistor, e come si possa tradurre recital, visto che non si sa nemmeno se pronunciarlo all'inglese o alla francese.
Le spinte puristiche, un po' brusche e talvolta un po' goffe, esercitate durante il periodo fascista hanno finito col produrre, dopo il crollo del regime, un'ondata anche più forte di forestierismi. Eppure che sia opportuno dire piuttosto autista che chaffeur (cioè che sia bene evitare una parola che contiene un suono non italiano per una professione così frequente), che sia meglio dire marroni canditi piuttosto che marrons glacés, a me non par dubbio.