[Proposta] Indicare l’accento ma non la qualità
Inviato: gio, 22 set 2022 19:49
So beníssimo che questa soluzione non attecchirà mai e che il tema dell'ortografía è controverso in Italia. Volevo soltanto condivídere la riflessione con voi.
Una cosa che invidio allo spagnolo è quella di avere soltanto cinque vocali che corrispȯndono molto facilmente alle cinque vocali gràfiche: /a, e, i, o, u/ a, e, i, o, u.
In questo modo, il segnaccento viene usato soltanto per indicare dove cade l'accento in una parola, non (anche) per distínguere l'apertura di e e o come in italiano.
Quest'anno, /ʤoka̍ndo um pɔ̍, alla riʧe̍rka dun sistɛ̍ma non trɔp̍po pesa̍nte e in gra̍do di rappresenta̍re tu̍tte le karatteri̍stike dellitalja̍no/ (al momento mi sembra quasi impossíbile), mi sono reso conto di un problema con le pronunce regionali che rende diffícile un'eventüale riforma che abbia senso: molti parlanti non sanno la differenza tra é e è o tra ò e ó.
Personalmente ėvito di indicare l'accento in parole omȯgrafe per non dover avere delle eccezioni con l'ortografía sȯlita (mi sembra quasi una grafía «da dizionario» scrívere prìncipi o princìpi), però mi scoccia il fatto che non ci sía una norma comune a tutti i vocàboli come in spagnolo.
L'idea migliore, allora, è quella di indicare l'accento quando non cade sulla vocale prima dell'última consonante o dell'último elemento di un dittongo, ecco quindi lo spagnolo artículo contro il nostro articolo (che potrebbe ėssere tanto /arti̍kolo/ quanto /artikɔ̍lo/, /artiko̍lo/, anche /a̍rtikolo/, ma non /artikolɔ̍/ che invece è articolò).
Così facendo, però, si finisce per avere l'accento su èssere /ɛ̍ssere/ ma non su ebbe /ɛ̍bbe/ e per avere èssere e védilo con dúe símboli differenti, a differenza dell'ortografía attüale che non rappresenta né la qualità né l'accento.
In realtà non sarebbe neanche male, visto che abbiamo gia una distinzione tra caffè /kaffɛ̍/ e perché /perke̍/, ma non tra mela /me̍la/ e merlo /mɛ̍rlo/, ma a questo punto converrebbe estendere l'uso di é e ó anche alle parole piane e quindi una parola senza accenti si leggerebbe con l'accento sulla penúltima vocale e aperta se incerta.
Il problema nel fare quésto sta nel fatto che, anche decidendo di considerare le parole con piu di dúe síllabe cóme aperte se non viene indicato l'accento e quélle con una sóla síllaba cóme chiuse a prescíndere (per evitare l'accento su per, con, e, ma lo avrebbero comunque cólla e délla e lo prenderèbbero sò, nò e altri), si finisce comunque per avére l'accento su comunque mólti tèrmini anche comuni.
Usando un segnaccento diverso da quello su é e è (ío ho usato un puntino, l'altra mía idea era d'usare un lungo, quindi ē e ō, ma mi sembra troppo ingombrante nella maggior parte delle pȯlizze, a differenza del clàssico accento acuto, che è piu corto) si puo evitare l'ȯbbligo di conȯscere la pronuncia neutra per saper scrívere, visto che basta sapere dove cade l'accento (e la maggior parte dei parlanti lo sa) ma si semplífica l'apprendimento a stranieri e persone non troppo alfabetizzate. Gli accenti sulle parole tronche con /j/, /w/, /ʧ/ e /ʤ/, come più, può, ciò e già, sparirėbbero per uniformarle alle altre parole con quei suoni e le parole con /iV/ e /uV/, come mio e due prenderėbbero l'accento. /u/ e /i/ non accentati si scriverėbbero ü, perché altrimenti sarėbbero /w/ e /j/.
Cualcuno cui potrebbe innervosirsi, ma sarebbe ancora piu sémplice tógliere la distinzione anche sulle parole tronche e avere cuindi perché e com'é (la distinzione tra e e é sarebbe tra congiunzione e verbo, non piu tra le dúe qualitá) e di conseguenza un solo segnaccento ovuncue. A cuesto punto si potrebbe anche fare tutta una serie di modífiche: sostitüire le q con c (cuindi qui /kwi̍/ diventa cui e cui /ku̍i/ diventa cúi), scrívere ġli in ġlicemía (e magari ǧl'uomini per /ʎwɔ̍mini/ e č'ó per ci ho /ʧɔ̍/) ed eliminare le i etimologiche e le z doppie, ma per semplicità mi fermerei al puntino sulle parole non piane o tronche.
Voi che ne pensate? Avete proposte migliori? Dubbi? Crítiche? A me sembra un sistema sėmplice da apprėndere e non troppo rivoluzionario per rėndere leggermente piu precisa l'ortografía attüale, anche se so che non entrerà mai nell'uso comune.
Una cosa che invidio allo spagnolo è quella di avere soltanto cinque vocali che corrispȯndono molto facilmente alle cinque vocali gràfiche: /a, e, i, o, u/ a, e, i, o, u.
In questo modo, il segnaccento viene usato soltanto per indicare dove cade l'accento in una parola, non (anche) per distínguere l'apertura di e e o come in italiano.
Quest'anno, /ʤoka̍ndo um pɔ̍, alla riʧe̍rka dun sistɛ̍ma non trɔp̍po pesa̍nte e in gra̍do di rappresenta̍re tu̍tte le karatteri̍stike dellitalja̍no/ (al momento mi sembra quasi impossíbile), mi sono reso conto di un problema con le pronunce regionali che rende diffícile un'eventüale riforma che abbia senso: molti parlanti non sanno la differenza tra é e è o tra ò e ó.
Personalmente ėvito di indicare l'accento in parole omȯgrafe per non dover avere delle eccezioni con l'ortografía sȯlita (mi sembra quasi una grafía «da dizionario» scrívere prìncipi o princìpi), però mi scoccia il fatto che non ci sía una norma comune a tutti i vocàboli come in spagnolo.
L'idea migliore, allora, è quella di indicare l'accento quando non cade sulla vocale prima dell'última consonante o dell'último elemento di un dittongo, ecco quindi lo spagnolo artículo contro il nostro articolo (che potrebbe ėssere tanto /arti̍kolo/ quanto /artikɔ̍lo/, /artiko̍lo/, anche /a̍rtikolo/, ma non /artikolɔ̍/ che invece è articolò).
Così facendo, però, si finisce per avere l'accento su èssere /ɛ̍ssere/ ma non su ebbe /ɛ̍bbe/ e per avere èssere e védilo con dúe símboli differenti, a differenza dell'ortografía attüale che non rappresenta né la qualità né l'accento.
In realtà non sarebbe neanche male, visto che abbiamo gia una distinzione tra caffè /kaffɛ̍/ e perché /perke̍/, ma non tra mela /me̍la/ e merlo /mɛ̍rlo/, ma a questo punto converrebbe estendere l'uso di é e ó anche alle parole piane e quindi una parola senza accenti si leggerebbe con l'accento sulla penúltima vocale e aperta se incerta.
Il problema nel fare quésto sta nel fatto che, anche decidendo di considerare le parole con piu di dúe síllabe cóme aperte se non viene indicato l'accento e quélle con una sóla síllaba cóme chiuse a prescíndere (per evitare l'accento su per, con, e, ma lo avrebbero comunque cólla e délla e lo prenderèbbero sò, nò e altri), si finisce comunque per avére l'accento su comunque mólti tèrmini anche comuni.
Usando un segnaccento diverso da quello su é e è (ío ho usato un puntino, l'altra mía idea era d'usare un lungo, quindi ē e ō, ma mi sembra troppo ingombrante nella maggior parte delle pȯlizze, a differenza del clàssico accento acuto, che è piu corto) si puo evitare l'ȯbbligo di conȯscere la pronuncia neutra per saper scrívere, visto che basta sapere dove cade l'accento (e la maggior parte dei parlanti lo sa) ma si semplífica l'apprendimento a stranieri e persone non troppo alfabetizzate. Gli accenti sulle parole tronche con /j/, /w/, /ʧ/ e /ʤ/, come più, può, ciò e già, sparirėbbero per uniformarle alle altre parole con quei suoni e le parole con /iV/ e /uV/, come mio e due prenderėbbero l'accento. /u/ e /i/ non accentati si scriverėbbero ü, perché altrimenti sarėbbero /w/ e /j/.
Cualcuno cui potrebbe innervosirsi, ma sarebbe ancora piu sémplice tógliere la distinzione anche sulle parole tronche e avere cuindi perché e com'é (la distinzione tra e e é sarebbe tra congiunzione e verbo, non piu tra le dúe qualitá) e di conseguenza un solo segnaccento ovuncue. A cuesto punto si potrebbe anche fare tutta una serie di modífiche: sostitüire le q con c (cuindi qui /kwi̍/ diventa cui e cui /ku̍i/ diventa cúi), scrívere ġli in ġlicemía (e magari ǧl'uomini per /ʎwɔ̍mini/ e č'ó per ci ho /ʧɔ̍/) ed eliminare le i etimologiche e le z doppie, ma per semplicità mi fermerei al puntino sulle parole non piane o tronche.
Voi che ne pensate? Avete proposte migliori? Dubbi? Crítiche? A me sembra un sistema sėmplice da apprėndere e non troppo rivoluzionario per rėndere leggermente piu precisa l'ortografía attüale, anche se so che non entrerà mai nell'uso comune.