La ringrazio.
Naturalmente, è possibilissimo che, in “astratto”, certe idee linguistiche tendano a essere maggiormente correlate con certe posizioni politiche: direi che è persino probabile. Tuttavia —a parte la nota ovvia che la correlazione non dev’essere intesa come “ferrea”, sibbene ha ampi margini d’oscillazione— c’è qualcosa che vorrei far notare.
Le posizioni linguistiche, come in generale le “posizioni” su parecchi temi del dibattito pubblico, per molte persone non discendono da un reale studio e un approfondimento della materia, ma sono determinate in gran parte da esperienze più o meno superficiali. Come diceva un politico qualche anno fa, la tendenza della nostra democrazia è di dividersi in «tribù», e considerare le cose non nel merito, ma in base alla persona o alla fazione politica che le propone.
Una cosa è proposta dal mio avversario? Pessima! (Ma se fosse proposta dall'esponente per cui simpatizzo? Ottima, o almeno accettabile). È una tendenza molto naturale e spontanea per chiunque, e credo che, anche se razionalmente la condanniamo, comunque la “sentiamo” in noi stessi. Possiamo chiamarlo doppiopesismo, se vogliamo.
Io, personalmente, in certi campi come la politica credo di essere una persona più pragmatica della media, per predisposizione naturale o per sforzo raziocinante acquisito per abitudine, e questa tendenza, a giudicare le cose non in sé stesse ma in base alla «tribù», la noto molto e mi dispiace.
Per quanto riguarda la lingua, ipotizzo che la correlazione che molti percepiscono fra “purismo” (usando ora questo termine in modo molto ampio e generico) e “reazionarismo” (
idem), anche molto spinto, finisca per essere non solo un fatto esistente di per sé (sempre che così sia), ma per diventare una “previsione che si autoavvera”, da entrambi i lati, e quindi crescere in modo molto più grande, dando una visione ingannevole —di apparente e forte conferma— all’osservatore superficiale.
«Mi identifico come progressista,
quindi devo essere a favore dei forestierismi, perché chi si oppone ai forestierismi è un fascista (e io di certo non lo sono!)».
«Mi identifico colla destra conservatrice,
quindi devo oppormi ai forestierismi: a favore dei forestierismi sono i progressisti/sinistri/globalisti/euroinomani, e io sono lontanissimo da quella gentaglia».
Ma sono posizioni puramente gregarie e superficiali, prive o praticamente prive d'una reale convinzione, o anche solo d'una reale coscienza: automatismi inconsci, quasi.
Un buon esempio penso che sia stato la dichiarazione involontariamente comica dell'attuale ministro della cultura, fatta parlando proprio di questo tema:
Credo che un certo abuso dei termini anglofoni appartenga a un certo snobismo, molto radical chic, che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana.
Il problema di tutto questo è che, finché la tutela della lingua è percepita specificamente come tratto identitario di una certa parte politica —com'è ancora percepita in Italia, come sappiamo—, le viene di fatto precluso di poter diventare un tema trasversale, che possa essere sostenuto da qualsiasi persona di qualsiasi orientamento politico; senza che, allo stesso tempo, trovi necessariamente realizzazione da parte della fazione politica con cui è identificata (dato che molti membri di tale fazione la sostengono più per "tradizione" superficiale, o forse anche per "stereotipo", che per una vera convinzione).
Per contrastare tutto ciò, trovo fondamentale cercare di liberare la tutela della lingua dall'implicazione "purismo ↔ fascismo" (per dirla semplicemente, ma sappiamo che per moltissimi è esattamente semplice così), il che può (deve?) essere fatto ottimamente mostrando dei contresempi (come lo sono io). Se ci si riuscisse, e cadesse quindi il condizionamento «tribale» del "lo appoggio/lo boccio in base al mio orientamento di partito", credo che si vedrebbe una situazione molto diversa, e per i nostri desideri in fatto di coscienza linguistica (e di possibilità di poter fare qualcosa di serio a livello di "paese", sia come stato sia come popolo) sarebbe un enorme passo avanti.
Per questo frecciate superficiali come quella di Canape («ha posizioni notoriamente progressiste (e quindi ben disposte all’abuso di anglismi [...])») sono secondo me da reprimere, dato che alimentano lo stereotipo da entrambe le parti: da un lato, c'è il suo compiacimento nel disprezzare i «progressisti»: dall'altro i «progressisti», in risposta, si compiacciono ben bene di disprezzare quelli come lui. E lo stereotipo è confermato e rafforzato, la polarizzazione mantenuta, e la nostra lingua è di un passo più lontana dal ritornare "cosa di tutti".