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«Fare strano»

Inviato: dom, 03 mar 2024 20:09
di G.B.
L'espressione è registrata dal Battaglia (sotto la voce strano, alla terza colonna) con un esempio della Malora, senza trovar tetto, a mia scienza, in nessun altro vocabolario. Significa «parere strano»; sapete che origine abbia?

Re: «Fare strano»

Inviato: dom, 03 mar 2024 23:57
di domna charola
L'ho sempre sentita in famiglia, però non riesco a risalire a quale origine dialettale faceva riferimento. La usa mia mamma, quindi potrei restringere il campo a Liguria (lei è nata a Sanremo e università a Genova), o Venezia (mia nonna). Mio nonno di Catania non ricordo di avergliela mai sentita dire.
Comunque esiste almeno a livello dialettale.

Re: «Fare strano»

Inviato: lun, 04 mar 2024 9:46
di Infarinato
In base alla mia esperienza personale (e alla citazione fenogliana), direi che è un settentrionalismo, estraneo al piú genuino uso toscano e alla lingua letteraria.

Re: «Fare strano»

Inviato: lun, 04 mar 2024 12:41
di G.B.
Grazie a entrambi. :) Mi domandavo se non fosse un modo ellittico (pure settentrionale) per «fare uno strano effetto».

Re: «Fare strano»

Inviato: lun, 04 mar 2024 16:56
di Infarinato
Tutto è possibile, ma, come in molti altri casi, non è probabilmente necessario tirare in ballo l’ellissi di checchessia. Basta un fare generico, sul modello semantico di fare schifo/impressione o su quello sintattico fare bello/brutto, con le due costruzioni non sempre distinte a livello di varietà regionali…

Re: «Fare strano»

Inviato: lun, 04 mar 2024 18:09
di Ligure
Certamente, tutto è possibile. Ma appare abbastanza probabile che - per quanto riguarda espressioni non usuali nello stile letterario tradizionale e, quindi, poco studiate (anche in quanto collegate a un territorio non coincidente coll'ambito nazionale) - perduri, in una certa misura, l'uso, ma ne sia, sostanzialmente, estinta la consapevolezza. L'espressione non implicava alcun'ellissi. Certamente si diceva e si dice "fa strano", per quanto si possa ritenere non raccomandabile, ma occorre comprendere che si tratta di forma "impersonale". In "mi fa strano" la parola "strano" era considerata come "complemento predicativo dell'oggetto". Essendo l'oggetto "mi". Vale a dire: "(Ciò) mi rende perplesso, incredulo, diffidente". "Non mi coglie privo di reazione (mentale)". Detto altrimenti: "Non me la bevo!" o "Non sono così tonto da non avvertire qualcosa che . . .".

Questo, almeno, era il significato percepito dai locutori finché ne furono direttamente consapevoli. L'espressione, come correttamente riferito, non può appartenere a uno stile elevato in quanto implicava locutori non abituati ad avvalersi di voci quali "perplesso", "incredulo", "attonito", "esterrefatto" ecc., tutti immancabilmente sostituiti da "strano". Quale predicato, non per ellissi . . .

Cioè non "mi rende perplesso", ma "mi fa strano".

Tutto qui.

P.S.: gli aspetti di comunicazione non consacrati dall'uso letterario (o neutro) e dagli studi normalmente disponibili richiedono di essere affrontati con un sistema di "coordinate" adeguate, altrimenti - se interessa - risulta arduo ottenerne un'effettiva padronanza (livello ben più elevato della semplice comprensione, normalmente consentita dall'uso).

Re: «Fare strano»

Inviato: lun, 04 mar 2024 18:52
di G.B.
Infarinato ha scritto: lun, 04 mar 2024 16:56 Basta un fare generico, sul modello semantico di fare schifo/impressione o su quello sintattico fare bello/brutto, con le due costruzioni non sempre distinte a livello di varietà regionali…
Ligure ha scritto: lun, 04 mar 2024 18:09 In "mi fa strano" la parola "strano" era considerata come "complemento predicativo dell'oggetto". Essendo l'oggetto "mi". Vale a dire: "(Ciò) mi rende perplesso, incredulo, diffidente". "Non mi coglie privo di reazione (mentale)". [...]

Questo, almeno, era il significato percepito dai locutori finché ne furono direttamente consapevoli.
Scusate se ho capito male, mi sembra però che diate interpretazioni diverse. L'una implica un complemento oggetto (sottinteso nel caso di fare bello o brutto [tempo], se ho inteso l'espressione): il senso di fare è «produrre»; l'altra verte s'un predicativo poi opacizzatosi (la domanda è obbligatoria: quale dialetto ha strano nel significato di «perplesso»?): il senso di fare è «rendere»...
Ligure ha scritto: lun, 04 mar 2024 18:09 P.S.: gli aspetti di comunicazione non consacrati dall'uso letterario (o neutro) e dagli studi normalmente disponibili richiedono di essere affrontati con un sistema di "coordinate" adeguate, altrimenti - se interessa - risulta arduo ottenerne un'effettiva padronanza (livello ben più elevato della semplice comprensione, normalmente consentita dall'uso).
Cosí mi prende per la gola! Ho il desiderio di apprendere.

Re: «Fare strano»

Inviato: lun, 04 mar 2024 21:25
di Infarinato
G.B. ha scritto: lun, 04 mar 2024 18:52 Scusate se ho capito male, mi sembra però che diate interpretazioni diverse.
In realtà, non intendevo fornire una vera e propria «interpretazione», ma solo un paio d’esempi per dimostrare come, in casi simili, si possa facilmente prescindere da qualsiasi tipo di ellissi. L’etimologia è una cosa troppo seria e delicata per avventurarsi in congetture che non poggino su solide fondamenta.

Strano, in toscano e nella lingua letteraria, non vale «perplesso» né si potrebbe «perdere per la strada» un clitico come mi. Ma entrambe le cose sono possibili in alcune varietà regionali, segnatamente settentrionali, per cui mi fido senz’altro di Ligure, che è sicuramente molto piú competente del sottoscritto in questo campo (e proviene da una delle possibili aree d’irradiazione dell’espressione in oggetto). :)

Re: «Fare strano»

Inviato: lun, 04 mar 2024 22:37
di Ligure
G.B. ha scritto: lun, 04 mar 2024 18:52
Ligure ha scritto: lun, 04 mar 2024 18:09 P.S.: gli aspetti di comunicazione non consacrati dall'uso letterario (o neutro) e dagli studi normalmente disponibili richiedono di essere affrontati con un sistema di "coordinate" adeguate, altrimenti - se interessa - risulta arduo ottenerne un'effettiva padronanza (livello ben più elevato della semplice comprensione, normalmente consentita dall'uso).
Cosí mi prende per la gola! Ho il desiderio di apprendere.
Ho apprezzato l'espressione simpatica relativa alla "golosità", ma - la prego di credermi -, sebbene anch'io mi sia permesso di fare uso scherzoso della "sacra" parola "coordinate", non intendevo lasciare nulla di significativo a livello implicito nella mia "interpretazione" (nessuno, per altro, ha la verità in tasca). Né lei ha alcun bisogno d'apprendere.

Volevo semplicemente ribadire che, se ci si allontana rispetto alla trattazione degli usi comunicativi neutri, consolidati in letteratura e studiati da più autori, risulta indispensabile adottare differenti "coordinate", cioè, detto in altro modo, non ci si può aspettare la stessa modalità e la stessa facilità (principalmente mediante testi) di ottenere informazioni. Infatti, occorre rivolgersi (anzi, "essersi già direttamente rivolti" in quanto oggigiorno è, ormai, tardi) agli informatori.

Credo di aver impiegato espressioni analoghe anche quando si trattava di attribuire un significato a "farne un pelle". In codesto caso tutto risultava più immediato in quanto ci si riferiva a una pratica oggettiva di trasporto e a un oggetto materiale ben identificabile.

Nel caso attuale, purtroppo, mancano riscontri materiali oggettivamente identificabili come riferimenti certi. Né risulta affatto certo che l'espressione provenga direttamente da un ambito dialettale

Ad es., in alcuni lessici e in alcune regioni (ad es., in Liguria), si ammette che "strano" sia, in effetti, un italianismo e risulta dimostrabile - in base a evidenze su cui evito di soffermarmi - che non possa trattarsi di voce di derivazione diretta. L'impiego di "coordinate" adeguate induce a ritenere "ragionevole" (la Verità è ben altra cosa) quanto sostenuto unanimemente dagli informatori. L'italiano locale di chi ancora risultava non solo "fruitore", ma anche "prigioniero del dialetto" era, almeno inizialmente, un italiano "legnoso", "scheletrico". Non possedeva alcun traducente per "perplesso", "attonito" ecc., termini ancora esclusivi di un discorso in lingua. Nessuna di queste persone diceva né disse mai "mi rende . . .". Arrivava soltanto a pronunciare "mi fa . . .". Ho fatto ricorso alla "metafora" rappresentata dalle "coordinate" quando avrei potuto semplicemente riferire la consultazione degli informatori ed esprimere Il ricordo netto e la consapevolezza precisa di quanto sto scrivendo.

L'espressione "mi fa strano" e l'interpretazione "autentica" (cioè di coloro che se ne servivano, non mia, come non fu mia quella relativa all'otre trasportato dal mulattiere) nascono nel contesto descritto, analizzato mediante le "coordinate" (almeno apparentemente) più adeguate, come si fa in qualsiasi approccio scientifico in cui la scelta di un sistema di coordinate inadeguate può pregiudicare non solo la descrizione di un sistema, ma, addirittura, la possibile soluzione di un problema. Qui la scelta fu, dato che non mi risulta che gli studiosi se ne siano mai effettivamente occupati, di domandare - a chi s'avvaleva dell'espressione - come l'avesse sempre impiegata e intesa. Ciò che "non mi fece strano" . . . . :wink: L'alternativa possibile sarebbe stata soltanto quella di formulare mere congetture.