«Desiderare di» + verbo

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Brazilian dude
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«Desiderare di» + verbo

Intervento di Brazilian dude »

Ricevo ogni giorno una parola inglese con la rispettiva traduzione italiana e guardate cosa ho trovato:

to long
v. i.
bramare; desiderare ardentemente; non veder l'ora di:
"We are longing to go home" (o "for home"), desideriamo
ardentemente di tornare a casa (o in patria)
* 'longed-for', bramato; desiderato ardentemente.

Non ho mai visto desiderare di fare una cosa. È corretto? È comune?

Grazie
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

È correttissimo, ma non piú dell’uso comune: ormai si adopera desiderare coll’infinito senza preposizione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: ma non piú dell’uso comune...
L'avrei detto anch'io, però, il fatto che l'uso sia poco comune, non sembrerebbe risultare da diversi vocabolari moderni (GRADIT, DISC 2002, Devoto-Oli 2007).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Un altro difetto di questi dizionari, che non avvertono il consultatore dei registri d’uso (nei casi di reggenza): non credo di aver mai udito «desidero di trovare un lavoro» (esempio del GRADIT). Infatti penso proprio che chi lo pronunciasse verrebbe immediatamente corretto... Questa costruzione è ormai relegata allo scritto formale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Sono d'accordo con lei.
Comunque, per la cronaca, una specificazione del tipo "non più nell'uso comune" non l'ho trovata in nessun dizionario (neanche nel Gabrielli bivolume) e neanche nella modernissima grammatica del Patota che riporta la reggenza senza commento.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Nella vecchia grammatica di Battaglia e Pernicone (Torino, Loescher, 1951 [ristampa 1984], p. 527) si trova scritto:
Per alcuni di questi verbi l’uso parlato mostra la tendenza ad eliminare la preposizione di che regge l’infinito dipendente: specialmente con desiderare, preferire, osare, sperare, ecc. Per esempio: ‘Desideriamo rivederti’; ‘Spero trovarti guarito’; ‘Osate replicare?’; ‘Preferiva aspettare’, ecc. Ma l’estensione di quest’uso è da evitare, perché l’eliminazione della preposizione di, invece di snellire l’espressione, le dà un tono burocratico e commerciale.
Tono oggi affatto sparito; infatti il ‘di’, nel parlato (tranne che con sperare), sonerebbe affettato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Aggiungo che sperare seguito dall’infinito senza ‘di’ appartiene anche alla lingua letteraria:

Provedimento
per fede e spera voler seguitare,
e retto in lui sperare
aver dè ’n quello che cotidio cria
remedi.
(Pannuccio del Bagno)

Senza ciò, aver onor no spero. (Guidotto da Bologna)

Io non ispero piú trovar conforto. (Pulci)

Cacciata son del real seggio,
dove piú ritornar non spero mai.
(Ariosto)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ladim
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Intervento di Ladim »

Avanzerei un'ipotesi (meglio una riflessione, una proposta non esattamente sorvegliata) più aggiornata di quella di Battaglia e di Pernicone.

Ma sono, queste, considerazioni 'a braccio'.

Anche qui è in questione la paratassi subordinante, che oblitererebbe la chiosa ellittica. L'ellissi, e cioè l'eliminazione di ciò che si può sottintendere, non verrebbe opportuna per descrivere l'assenza del complementatore, specie se pensiamo al comportamento sintattico ingenerato da alcuni verbi: *vedo hai ragione vs. vedo che hai ragione; *penso mangiare vs. penso di mangiare – e tuttavia penso tu abbia ragione, in cui la subordinazione è segnalata dal congiuntivo. L'omissione per ellissi risponderebbe a un criterio, per dir così, contestuale, e cioè sarebbe introdotta da un contesto 'precedente', oppure largamente sottointeso (perché, ad esempio, circostanziato dalla situazione comunicativa); per la congiunzione subordinante, non si potrebbe parlare, a rigore, di ellissi: la questione è di natura strutturale, formale e semantica (forse già 'psicologica'). L'ellissi è coerente in un contesto comunicativo in cui l'elemento sottointeso è pacificamente desumibile dal 'già detto': penso di mangiare... bere, dormire.

Alcuni verbi permettono la costruzione paratattica, altri no; azzarderei: alcuni verbi escluderebbero la congiunzione, e soltanto arbitrariamente, per analogia con quei verbi reggenti che la richiedono, siamo portati a 'normalizzarli', livellando il costrutto ipotattico.

Al riguardo, per il mio barbaro orecchio, suonerebbe scorretto il costrutto paratattico con il verbo reggente sperare: *spero trovarti guarito, o meglio, mi pare che con sperare la subordinazione richieda ad ogni modo una marca morfologica, e la paratassi sia pertanto coerente solo con la subordinazione completiva esplicita: spero stia bene, sia guarito (con l'infinitiva: spero di trovarti...).

Del tutto regolare la paratassi (per le subordinate infinitive) con preferire, osare, desiderare. Anzi, l'ipotassi qui mi sembra un poco traballante: *preferisco di mangiare (con una completiva esplicita: preferisco tu vada mi pare coerente).

Quindi, con alcuni verbi reggenti, non parlerei di un 'uso spirato' della congiunzione; semmai (quando è presente l'elemento congiunzionale) di un 'ipercorrettismo sintattico'. Alcuni verbi richiedono l'ipotassi quando reggono un'infinitiva, altri no; gli stessi verbi potrebbero richiedere ad ogni modo la paratassi quando reggono una subordinata esplicita (si pensi ai verbi d'opinione, che nella subordinazione esplicita vorrebbero il congiuntivo: il modo verbale qui oblitererebbe la congiunzione: credo sia sbagliato, ma credo di sbagliare: in un modo o nell'altro la subordinazione è segnalata morfologicamente: con le subordinate esplicite, nel modo verbale congiuntivo: paratassi; con le infinitive, nella lessicalizzazione congiunzionale, e cioè nell'uso di un complementatore: ipotassi)

Ma un'ulteriore considerazione non mi pare trascurabile. Prendiamo il verbo desiderare: richiede la paratassi con una subordinata infinitiva: desidero mangiare; richiede la paratassi con una subordinata esplicita in cui sia pacifico l'uso del congiuntivo: desidero tu venga con me, desidero veniate con me; ma desidero andiamo con loro mi suona un po' incerto (?).

Mi chiedo, infine (accantonando il modo verbale), se la paratassi non dipenda da una qualche dimensione psicologica custodita dal verbo reggente, dal significato generale veicolato dal periodo.

Ad esempio, nella subordinazione esplicita, là dove è coinvolta la volontà del parlante, sarebbe richiesto il costrutto paratattico: la subordinata equivarrebbe all'oggetto diretto della volizione. Lo stesso si direbbe per i verbi epistemici e per quelli estimativi. Diversamente, i verbi di percezione vorrebbero l'ipotassi: vedo che sei attento vs. *vedo sei attento (e cfr. l'uso impersonale di sembrare: mi sembra che tu sia attento; dubbia la forma *mi sembra tu sia attento [?]).

Nella subordinazione implicita (infinitiva) il coinvolgimento psicologico del parlante vorrebbe la paratassi coi verbi desiderativi e coi verbi volitivi: desidero mangiare, voglio mangiare; l'ipotassi, con uno stato psicologico d'incertezza: spero di mangiare (ma con le completive rette da un aggettivo: sono sicuro di mangiare; tuttavia, qui il contesto sintattico non è esattamente lo stesso).

Insomma, pare che la natura psicologica della dipendenza tra due proposizioni abbia una qualche ripercussione sulla sua espressione formale.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Ringrazio Marco per la citazione dalla grammatica di Battaglia-Pernicone e Ladim per le sue sempre profonde riflessioni. :)
Ladim ha scritto: Ad esempio, nella subordinazione esplicita, là dove è coinvolta la volontà del parlante, sarebbe richiesto il costrutto paratattico: la subordinata equivarrebbe all'oggetto diretto della volizione. Lo stesso si direbbe per i verbi epistemici e per quelli estimativi. Diversamente, i verbi di percezione vorrebbero l'ipotassi: vedo che sei attento vs. *vedo sei attento (e cfr. l'uso impersonale di sembrare: mi sembra che tu sia attento; dubbia la forma *mi sembra tu sia attento [?]).

Nella subordinazione implicita (infinitiva) il coinvolgimento psicologico del parlante vorrebbe la paratassi coi verbi desiderativi e coi verbi volitivi: desidero mangiare, voglio mangiare; l'ipotassi, con uno stato psicologico d'incertezza: spero di mangiare (ma con le completive rette da un aggettivo: sono sicuro di mangiare; tuttavia, qui il contesto sintattico non è esattamente lo stesso).

Insomma, pare che la natura psicologica della dipendenza tra due proposizioni abbia una qualche ripercussione sulla sua espressione formale.
Il Treccani dà un'altra interpretazione psicologica (a mio parere da non trascurare) all'uso facoltativo della preposizione (s. v. desiderare):
... in questa, e in altre frasi, può essere anche espressione attenuata di una volontà, di un ordine, che diventa più decisa con la prep. di: desidero di restare solo, desidero di non essere disturbato...
Ultima modifica di bubu7 in data mar, 04 set 2007 11:54, modificato 1 volta in totale.
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Ladim
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Intervento di Ladim »

Caro Bubu7, mi pare che il Treccani stia fornendo una 'bella' interpretazione, accompagnata dal desiderio sempre desto (e – perché no? – anche lusinghiero) di veder promossa la propria autorevolezza. Va da sé che la mia posizione non andrebbe difesa, ché è una bozza utile soprattutto per una cordiale conversazione. E tuttavia il testo della citazione mi sembra costruito su un abuso pragmatico, e cioè su una valutazione soggettiva, un'idea forse ancora interessante, ma direi sedicentemente ancorata a un'ipotesi, per dir così, perlocutoria. Per contro, argomenterei diversamente, sottolineando la natura giustappositiva e sintatticamente assoluta della volizione, come spesso la possiamo osservare in una sua forma tipica, qual è quella del tono imperativo: una dizione più «decisa» vorrebbe una maggiore economia d'individui sintattici, allora.

Mi sembra comunque stimolante l'idea di osservare la struttura formale della subordinazione attraverso la dimensione pragmatica del linguaggio, e cioè la sua realizzazione morfologica giusta un determinato stato psicologico – per intenderci meglio: da anni si vede nella dislocazione e nella tematizzazione, come pure nell'anacoluto, una particolare forma di emotività discorsiva; la distribuzione dei costituenti segue un determinato schema psicologico – ecco che la paratassi e l'ipotassi potrebbero ritornare di una qualche utilità: da sempre, del resto, la coordinazione paratattica avrebbe una funzione 'affettiva', quindi psicologica, e cioè, per usare un linguaggio conosciuto da secoli, retorica (e la grammatica, oggi – quella descrittiva che vuole spiegare il linguaggio –, non dovrebbe ignorare mai il proprio sguardo pragmatico).
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Ladim ha scritto: E tuttavia il testo della citazione mi sembra costruito su un abuso pragmatico, e cioè su una valutazione soggettiva, un'idea forse ancora interessante, ma direi sedicentemente ancorata a un'ipotesi, per dir così, perlocutoria.
Ho avuto anch'io quest'impressione.
Tuttavia mi è sembrato interessante che un vocabolario di tal autorevolezza si sia voluto sbilanciare in un'analisi di questo tipo.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Federico
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Intervento di Federico »

bubu7 ha scritto:Tuttavia mi è sembrato interessante che un vocabolario di tal autorevolezza si sia voluto sbilanciare in un'analisi di questo tipo.
Che del resto mi sembra coerente colle ipotesi di Ladim, secondo cui sarebbe un «ipercorrettismo sintattico», supposto che gl'ipercorrettismi servano a darsi un tono, forse quasi burocratico o giuridico, come in quel perentorio «è vietato al conducente di parlare» o qualcosa del genere citato se non sbaglio da Serianni.

Una nota marginale.
Ladim ha scritto:desidero andiamo con loro mi suona un po' incerto (?).
Può darsi che sia solo perché la prima persona plurale del congiuntivo presente spesso non è percepita come tale in quanto identica a quella dell'indicativo.
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