Scuoprire

Spazio di discussione su questioni di carattere morfologico

Moderatore: Cruscanti

Bue
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Scuoprire

Intervento di Bue »

L'altro giorno mi è capitata sottomano una edizione delle Mille e una Notte tradotta forse a inizio Novecento (le illustrazioni erano in stile anni venti) ma con un italiano decisamente ottocentesco (prima persona dell'imperfetto in -eva), e l'occhio mi è caduto, fra le tante amenità, su uno scuoprire (o forse era scuoprì) che mi ha fatto trasalire, dato che non l'avevo mai visto prima.
Arrivato a casa ho gugolato e ho trovato che non era - come avevo creduto - un errore, dato che si trova in autori antichi.
Mi domando, però: come la mettiamo con la storia del dittongo mobile? Se anche in fiorentino trecentesco si diceva "io scuopro", non credo proprio si dicesse "scuoprire". Si tratta dunque di ipertoscanismo?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Arrigo Castellani, in [i]Italiano e fiorentino argenteo,[/i] ha scritto:Nel fiorentino del Trecento il dittongamento di è e ò in sillaba libera è costante anche dopo consonante + r. Per il Boccaccio, citerò le note autografe al Teseida, che offrono brieve brievemente (varie volte), priega (due volte), prieghi sost. (varie volte) – e anche, una volta priegherò –, triema, pruova sost. (varie volte), pruovano, truova (tre volte), ritruova; e il Trattatello in laude di Dante, anch’esso autografo, in cui ho notato le forme brieve -i (varie volte), brievemente (varie volte), prieghi sost., pruova 3a e sost. (varie volte), pruovano, truovo, truova, truovano. [...]

Le forme con dittongo si son conservate, sporadicamente, fin quasi ai nostri giorni: s’incontrano talvolta, per esempio, negli scritti di certi eruditi dell’Ottocento. E l’amico Piero Fiorelli mi segnala che i giuristi napoletani hanno continuato a dir pruova invece di prova fino a pochi decenni fa. [...]

Insomma, se nell’italiano della prosa e della conversazione si son diffuse, fin dal sec. XVI, le forme senza dittongo dopo consonante + r, ciò si deve, in gran parte se non esclusivamente, alla loro presenza nel fiorentino argenteo.

(In Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, Roma, Salerno Editrice, 1980, tomo I, pp. 18-24.)
Non so, in fondo, quando sia «nata» la regola del dittongo mobile, ma è evidentemente posteriore al Trecento...
Bue
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Marco1971 ha scritto:Non so, in fondo, quando sia «nata» la regola del dittongo mobile, ma è evidentemente posteriore al Trecento...
Mah, da quello che ho letto io avevo capito che i dittonghi ie e uo sono esiti rispettivamente della E e della O breve latina in sillaba tonica, e da questo avevo dedotto che la "regola" del dittongo mobile fosse in realtà intrinseca al meccanismo stesso della formazione del dittongo e dunque sua coeva ...
Gli esempi citati dal Castellani sono tutti in sillabe accentate (pruovo, pruova, e pruovano, ma non *pruoviamo), tranne due esempi di avverbi in -mente, (per i quali azzarderei che il fenomeno si debba a un residuo di percezione dell'avverbio come locuzione composta: brievemente = brieve mente - d'altra parte nello spagnolo anche contemporaneo gli avverbi in -mente hanno un accento tonico importante sulla prima parte della parola, e se non sbaglio anche in napoletano), e l'esempio con il futuro che, se fosse raro o addirittura unico come sembra dal testo citato, potrebbe essere un caso di ipercorrettismo.

Mi vengano in soccorso i linguisti!
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Arrigo Castellani ha scritto:Nel fiorentino del Trecento il dittongamento di è e ò in sillaba libera è costante anche dopo consonante + r.
È italiano o ostrogoto? Servono sottolineature?
Bue
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Arrigo Castellani ha scritto:Nel fiorentino del Trecento il dittongamento di è e ò in sillaba libera è costante anche dopo consonante + r. Per il Boccaccio, citerò le note autografe al Teseida, che offrono brieve brievemente (varie volte)
Vedo che Castellani - per la gioia di caixine - non parla di E e O brevi latine ma di è e ò in sillaba libera. Il fatto è che almeno in italiano moderno quando la "e" non è tonica non è mai è (/E/) (es. /breve'mente/). La mia ipotesi esposta sopra (regola del dittongo mobile "intrinseca", ipercorrettismo per il futuro presente citato e/o caso speciale per gli avverbi in -mente) non ne risulta inficiata, mi pare.
Bue
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Intervento di Bue »

Marco1971 ha scritto:
Arrigo Castellani ha scritto:Nel fiorentino del Trecento il dittongamento di è e ò in sillaba libera è costante anche dopo consonante + r.
È italiano o ostrogoto? Servono sottolineature?
La prima vocale di "priegherò" è una è aperta? Lo era nel fiorentino aureo del Trecento? O lo era in ostrogoto?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Direi che è semiaperta. Intanto ricordo che una sillaba libera (o aperta) è una sillaba terminante in vocale (tipo a-ve-vo) e non di per sé tonica (= che reca l’accento tonico).
Bue
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Intervento di Bue »

La tonicità è implicita - a mio avviso - nel parlare di è e ò, che sono sempre toniche. Se la "costanza" del dittongamento di cui parla Castellani si avesse anche nelle sillabe libere non toniche, avremmo *priegare, *pruovare, *tienere, *vienire, *siedére - e perché no anche nelle e semiaperte finali, *pruovarie, *tienerie, ecc.

Ho imparato su questi forum che le forme in italiano moderno con il dittongo in posizione non accentata (prevalenti nel caso di uo, come ruotare, scuoiare, cuoiaio, fuochista, ecc.) sono dovute alla lessicalizzazione del dittongo. Presumo che nell'hapax boccaccesco priegherò si possa essere verificato - se non si tratta di svista o errore - un primo esempio del processo di lessicalizzazione di cui sopra.
Sarei quindi portato a concludere che la prassi del dittongo mobile fosse precedente, non posteriore, al Trecento.
Pensavo tuttavia venisse osservata come regola dagli scrittori ottocenteschi, ed è per questo che mi ha colpito vederla disattesa in scuoprire. Temo comunque che non si trattasse di un grande scrittore...
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Bue ha scritto:La tonicità è implicita - a mio avviso - nel parlare di è e ò, che sono sempre toniche. Se la "costanza" del dittongamento di cui parla Castellani si avesse anche nelle sillabe libere non toniche, avremmo *priegare, *pruovare, *tienere, *vienire, *siedére - e perché no anche nelle e semiaperte finali, *pruovarie, *tienerie, ecc.
Direi che il [raro] dittongamento nelle forme rizoatone (priegherò) si spiega piuttosto con l’analogia con le forme rizotoniche (priego), che è poi ciò che ha provocato la «morte» della regola del «dittongo mobile» in epoca moderna…
Bue
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Intervento di Bue »

E` quello che avevo maldestramente cercato di esprimere io, che non conoscevo aggettivi come rizoatono. :wink:
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Bue ha scritto:Mah, da quello che ho letto io avevo capito che i dittonghi ie e uo sono esiti rispettivamente della E e della O breve latina in sillaba tonica, e da questo avevo dedotto che la "regola" del dittongo mobile fosse in realtà intrinseca al meccanismo stesso della formazione del dittongo e dunque sua coeva ...
La regola che hai esposto è incompleta perché la sillaba, oltre a essere tonica, deve essere libera.

Le tue deduzioni invece sono giuste. :)
Bue ha scritto:Presumo che nell'hapax boccaccesco priegherò
Bisogna sottolineare che si tratta di un hapax solo in relazione al testo considerato (le note autografe al Teseida) e non in relazione all'autore o alla lingua italiana, perché la parola si ritrova anche nel Filocolo dello stesso Boccaccio. Quest’ultimo usa anche la forma pregherò.
Bue ha scritto:Sarei quindi portato a concludere che la prassi del dittongo mobile fosse precedente, non posteriore, al Trecento.
Infatti, è proprio così.
Bue ha scritto:Pensavo tuttavia venisse osservata come regola dagli scrittori ottocenteschi…
Su questo la Grammatica del Serianni, riportando quanto affermato nella Storia della lingua italiana del Migliorini, dice proprio il contrario (I.57):
Nella prosa dell’Ottocento la regola del dittongo mobile è spesso trascurata…
Infarinato ha scritto: Direi che il [raro] dittongamento nelle forme rizoatone (priegherò) si spiega piuttosto con l’analogia con le forme rizotoniche (priego), che è poi ciò che ha provocato la «morte» della regola del «dittongo mobile» in epoca moderna…
La quale analogia ha lavorato nelle due direzioni: mantenendo il dittongo in forme rizoatone (presièdere, presiedèndo) ed eliminandolo in forme rizotoniche (lèvo, levàre). :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

bubu7 ha scritto:
Bue ha scritto:Sarei quindi portato a concludere che la prassi del dittongo mobile fosse precedente, non posteriore, al Trecento.
Infatti, è proprio così.
Per la precisione il fenomeno del dittongamento di cui stiamo parlando (e quindi della corrispondente regola del dittongo mobile) è avvenuto nel tardo latino volgare e si può considerare concluso nel VII secolo. Cioè parole entrate successivamente nella lingua (ancora latina ma che si continuerà in quella italiana) non hanno più subito il dittongamento delle vocali e e o toniche in sillaba libera. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Bue
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Intervento di Bue »

Grazie bubu...
Approfitto per chiedere una cosa che mi turba da anni: perché bene non ha subìto il dittongamento, in italiano (in francese e in spagnolo sì)? Non credo proprio che sia entrato in italiano dopo il VII secolo! E' un caso di regressione precoce?

grazie
Avatara utente
bubu7
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Intervento di bubu7 »

Bue ha scritto:Grazie bubu...
Approfitto per chiedere una cosa che mi turba da anni: perché bene non ha subito il dittongamento, in italiano (in francese e in spagnolo sì)? Non credo proprio che sia entrat in italiano dopo il VII secolo! E' un caso di regressione precoce?

grazie
Sei fortunato perché stavo proprio scrivendo una lettera al professor Patota.
Avevo quindi sottomano il suo bel libretto Lineamenti di grammatica storica dell’italiano dal quale traggo, con qualche modifica, la seguente citazione.
Il mancato dittongamento si spiega col fatto che, nella pratica concreta della lingua, una parola come bene generalmente non si trova da sola, ma accompagnata da altre:

bĕne dictu(m) > bene detto, ben detto.

Nel contesto della frase l’accento principale tende a cadere sulla parola vicina a bene (nell’esempio la vocale su cui cade l’accento è in grassetto), e la ĕ di bĕne perde la sua qualità di vocale accentata. Questo spiega il mancato dittongamento che, come si è detto, interessa solo la ĕ tonica.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Intervento di Bue »

Bastava gugolare... e si trovava ad esempio questo
:oops:
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