«Presente» o «presenziante»?

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puer
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«Presente» o «presenziante»?

Intervento di puer »

Il participio presente del verbo "presenziare" è "presente" o "presenziante"? Grazie.
Fausto Raso
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Re: presente o presenziante?

Intervento di Fausto Raso »

puer ha scritto:Il participio presente del verbo "presenziare" è "presente" o "presenziante"? Grazie.
Presenziante.

Dall'infinito si toglie la desinenza -are e si mette quella del partcipio presente -ante.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
puer
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Intervento di puer »

Grazie. Ma "presente" allora non è il participio presente di alcun verbo?
Avatara utente
Millermann
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Intervento di Millermann »

No. In teoria, vista la sua derivazione dal latino praesens,-entis, potrebbe essere visto come il participio presente di un ipotetico verbo «*pre(s)essere» (che, chiaramente, in italiano non esiste). :)
In Italia, dotta, Foro fatto dai latini
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

puer ha scritto:Ma "presente" allora non è il participio presente di alcun verbo?
In italiano, no; in latino… quasi.

Per trovare risposta a queste domande, però, basta consultare un buon vocabolario. ;)
Ligure
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Intervento di Ligure »

Millermann ha scritto:No. In teoria, vista la sua derivazione dal latino praesens,-entis, potrebbe essere visto come il participio presente di un ipotetico verbo «*pre(s)essere» (che, chiaramente, in italiano non esiste). :)
Mi scuso per la precisazione. Se si desidera italianizzare occorre proprio scrivere «pre-essere», senz'alcun'(s). Non «pre(s)essere». Chiarisco. La radice verbale latina del verbo esse* = essere è (e)s - tradizionalmente s viene definita forma debole. E' da quest'ultima che proviene il participio originario sens,sentis. Formato dalla forma debole della radice - s - seguita dall'appropriata desinenza verbale. Come risulta confermato dalla voce sons,sontis = nocivo, ma, anche, colpevole, intepretata come "colui che lo è/che risulta tale". Quindi, non va premessa alcun's. Se mai, se così si desiderasse esprimersi, in latino manca un'e! Se, inoltre, si nutre il dubbio che præsens, præsentis possa essere derivato - ad es., per coalescenza col dittongo precedente - dalla radice es, basta riflettere sull'antonimo absens, absentis, che è, appunto, ab-sens, ab-sentis, mentre un'ipotetica forma abesens, abesentis non risulta mai attestata. Quindi, è sempre stato præ-sens, præ-sentis, esito che non è derivato da un inesistente - né mai attestato - præ-esens, præ-esentis!

* L'infinito latino esse proviene - a differenza del participio originario - dalla forma radicale piena es. Infatti, -se costituisce la desinenza originaria dell'infinito. Da amase, ad es., s'ebbe amare per successiva rotacizzazione in posizione intervocalica, ma in es - priva di vocale finale - si determinò semplicemente assimilazione (esse).

P.S.: l'ulteriore forma participiale ens, entis - di più tarda attestazione - non è ritenuta originaria, ma viene considerata dagli studiosi una sorta di calco del participio greco ὤν, ὄντος (evito d'indicare anche gli esiti femminile e neutro) - la cui radice verbale (ἐσ-) risulta identica a quella latina -. Senza indagare ulteriormente sul greco, si può notare che essere altro non è che il tentativo italiano di "regolarizzare" una forma etimologica semplicemente atematica - esse -. Passibile anche di poter essere stata interpretata come forma popolare apocopata - come, ad es., "pe' legge' tutto 'sto documento ...". In conclusione, non ha alcun senso premettere un's a essere in italiano ... In latino, invece, anche se forse non tutti sempre se ne accorgono, talvolta, nella flessione verbale - come nel caso trattato del participio originario -, manca l'e radicale. In præ-sens, præ-sentis manca un'e. Non è che sia stata premessa (e non se ne potrebbe davvero fornire una motivazione plausibile!) un's indebita a un participio - ens, entis - che, quale calco seriore, ancora non poteva esistere! Tutto qui! :wink:
Avatara utente
Millermann
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Località: Riviera dei Cedri

Intervento di Millermann »

Grazie della precisazione, davvero interessante!
Dunque, se il participio presente originario di esse è sens,sentis, le cose sono ancora piú immediate.
Vede, aver scritto quel «*pre(s)essere» con una (s) fra parentesi, quindi comunque facoltativa, non rappresentava che un... tentativo da parte mia di "regolarizzare" (come dice lei) una forma verbale italian[izzat]a che fosse (teoricamente) in grado di "produrre" il participio presente cercato (scusate il gioco di parole ;)).
Allo scopo, mi sono rifatto all'affermazione del Treccani, che parla (evidentemente erroneamente) di «inserzione di -s- eufonica». :?

A questo punto, dato che in latino un verbo praeesse esisteva veramente, mi sorge un'altra curiosità: se questo verbo fosse giunto nella nostra lingua, come sarebbe diventato? Forse «*prèssere»? E il suo participio, un "regolare" *pressente? :)
In Italia, dotta, Foro fatto dai latini
Ligure
Interventi: 402
Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Intervento di Ligure »

Approfitto della gentile risposta per chiarire due considerazioni - probabilmente evidenti - che ho, comunque, dato per scontate:

1) L'attestazione di sons, sontis quale conferma per l'esistenza di sens, sentis risulta, ovviamente fondata sul fatto che - tranne per l'intervenuta apofonia - si tratta della stessa voce.

2) L'esigenza avvertita dagli studiosi di riuscire a riscontrare una spiegazione al di fuori della lingua latina per l'esito seriore ens, entis - che, a noi, data l'abitudine alla voce colta italiana "ente", pare normale (ma normale non è per nulla nella fonologia latina) - è banalmente dovuta al fatto che, propriamente, in latino ens, entis non è una forma verbale, ma unicamente una desinenza verbale. Ovviamente, la lingua greca - pur condividendo, in questo caso specifico, la stessa identica forma radicale del latino - presentava sviluppi fonetici e fonologici specifici, non sempre condivisi dalla lingua latina.

Non sono, ovviamente, esperto degli sviluppi neo-romanzi, ma si può osservare semplicemente che essi furono governati da due principi fondamentali per quanto concerne il nostro ambito d'indagine:

1) Un aspetto correlato al registro/stile di linguaggio che caratterizzava la forma verbale;

2) Il rifiuto di trasmettere forme verbali - quali quelle atematiche del latino classico - che non presentassero possibilità di regolarizzazione analogica.

Infatti, verbi quali absum, adsum, præsum e infiniti altri vennero discontinuati in tutte le lingua neolatine e sostituiti da perifrasi - pto 1) -.

Forme atematiche latine - oltre a esse - in cui la desinenza originaria -se non potè rotacizzarsi in -re quali, ad es., fer-se>ferre, vel-se>velle o pot-se>posse vennero discontinuate e, in italiano, s'ebbero i verbi "anetimologici" portare - già attestato, per altro, anche in latino -, volere, potere ecc. ... - pto 2) -.

Lascio agl'italianisti eventuali considerazioni riguardanti i nessi tra infiniti quali potere o volere e i rispettivi participi.

Quindi, sostanzialmente, non si può ipotizzare un derivato sintetico per præsum già solo per il vincolo 1) esposto. In questi casi - come in molti altri - lo sviluppo romanzo avvenne a partire da espressioni ormai non più sintetiche, bensì già perifrastiche.

P.S.: mi permetto di far notare ulteriormente come, ad es., la voce italiana assente, d'uso comune e dovuta ad assimilazione regressiva - come nel caso di assoluto e di mille altre voci -, costituisca l'evidenza vivente del participio originario sens, sentis, senza del quale l'italiano non potrebbe presentare geminazione - determinata da assimilazione manifestatasi a partire dallo stadio evolutivo absente(m) -.
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