«Gli dèi»

Spazio di discussione su questioni di carattere morfologico

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G.B.
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«Gli dèi»

Intervento di G.B. »

Partendo da qui, chiedo provocatoriamente che cosa veterebbe di scrivere i dei o gl'iddei, se non l'uso capriccioso.
G.B.
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Marco1971
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Re: «Gli dèi»

Intervento di Marco1971 »

Si dice o non si dice è un libro scritto da Aldo Gabrielli. Sul sito del Corriere ne hanno riproposto una versione alterata da terzi. Nell’originale c’è scritto:

Ciò premesso, l’origine di quello strano articolo gli davanti a vocale è presto spiegata: è il residuo della forma articolata plurale gli iddei, apostrofata gl’iddei, fusa nella pronunzia in «gliddei». L’articolo è rimasto anche quando il gruppo iniziale id- è scomparso dall’uso.

Chi ha alterato l’originale presumibilmente non sa granché di storia della lingua.

In realtà non capisco perché non si sia riprodotto il testo integrale originale, invece di stravolgerlo con aggiunte inappropriate.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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G.B.
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Re: «Gli dèi»

Intervento di G.B. »

Sí, Marco, ho presente lo scritto originale; ha fatto bene a segnalarne la storpiatura.
G.B.
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Marco1971
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Re: «Gli dèi»

Intervento di Marco1971 »

E proprio la forma gl’iddei spiega la pronuncia (normativa) gli ddèi. Non c’è alcun sopruso né l’intervento di qualsivoglia grammatico, è il frutto dell’evoluzione per tradizione orale ininterrotta.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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G.B.
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Re: «Gli dèi»

Intervento di G.B. »

(Troppo?) ostile verso le anomalie, prediligerei la forma antica (gl'iddei), o, scoprendomi «cerusico e flebotomo della lingua», oserei un piccolo salasso e ritornerei alle origini:

«esaltato l’avea fin sopra i dèi» (Ariosto, Orlando Furioso, XXIII 29).

Ma si sa, coll'orecchio del volgo non si può discutere.
G.B.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Re: «Gli dèi»

Intervento di Marco1971 »

Scrivere oggi i dèi sarebbe considerato un errore, perché questa forma non ha corso da secoli, sarebbe come scrivere non p(u)onno per non possono. Nel caso di forme arcaiche, le nostre preferenze personali devono sempre fare i conti con la percezione dei parlanti contemporanei (e rimangono possibili in contesti particolari ma per ciò stesso marcati).

Scrivere correttamente, in qualsiasi epoca, significa avere una coscienza storica del passato e del presente della lingua (qui non si parla dei giocattoli anglomorfi), magari innovando là dove è possibile per introdurre nuove ricchezze espressive; ma nelle questioni di morfologia verbale o «articolare», c’è poco da fare.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ligure
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Re: «Gli dèi»

Intervento di Ligure »

Ovviamente, non si può che condividere ogni singola riga scritta in merito da Marco, ma mi permetto d'intervenire soltanto per porre in evidenza la particolare collocazione spazio-temporale di un autore quale l'Ariosto relativamente alla questione della lingua, estremamente sintetizzata in questo riferimento:

https://www.treccani.it/enciclopedia/lu ... aliano%29/

Quindi, nonostante il forsennato impegno dell'Autore nell'opera di correzione e di riedizione, la sua lingua non può che rimanere, in un certo modo, "ancorata" alle coordinate culturali e alle premesse storiche e geografiche che gli hanno consentito d'esprimersi.

Non tutti i "settentrionalismi" sono sempre stati espunti. Specialmente se faceva comodo - ai fini di una gestione più flessibile del metro - avvalersi, ad es., di un'articolazione meramente vocalica.

Quindi, inquadrando il verso nelle sue adeguate coordinate "storiche", sembra trattarsi di una "semplificazione" - ma ai fini "metrici", non necessariamente valevole in "prosa" (almeno, per noi) - che si avvale ancora di un registro linguistico che, con ottica moderna, potremmo definire "regionalistico".

D'altronde, l'Ariosto scriveva "il specchio" e mille altre espressioni che impediscono che, nelle attuali condizioni di lingua, l'autore possa costituire un "modello" in assoluto senza tener conto del concetto di "distanza storica" cui opportunamente e adeguatamente accennava Marco.

P.S.: mi appresterò a un'edizione critica dell'Autore quando sarò in pensione ... :wink: :)
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