*«C’ho»

Spazio di discussione su questioni di grafematica e ortografia

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Scilens
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Intervento di Scilens »

Il glottologo e filologo Gerhard Rohlfs a pag. 250 del vol. III di "Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti" (traduzione di Temistocle Franceschi e Maria Caciagli Fancelli, edizione riveduta e aggiornata dall'autore nel 1969), voce 899§ Ci, riporta questi esempii:

"lui c'à tanti soldi, quanti fratelli c'hai?, c'ho una casa in campagna".

Fu anche socio dell'Accademia della Crusca e dei Lincei.
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Carnby
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E se si «regolarizzassero» c'ò, c'ài, c'ànno?
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Infarinato
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Scilens ha scritto:Il glottologo e filologo Gerhard Rohlfs […] riporta questi esempii:

"lui c'à tanti soldi, quanti fratelli c'hai?, c'ho una casa in campagna".

Fu anche socio dell'Accademia della Crusca e dei Lincei.
E con ciò? :)

Una cosa è riportare degli esempi [nella grafia in cui sono purtroppo abitualmente scritti], un’altra è (sarebbe) legittimare tale grafia, cosa che si guarda bene dal fare la voce piú autorevole dell’ortografia italiana. ;)
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Carnby ha scritto:E se si «regolarizzassero» c'ò, c'ài, c'ànno?
Meglio, credo, lasciar tutto com'è, almeno c'è poco dubbio.
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Infarinato ha scritto:
Scilens ha scritto:Il glottologo e filologo Gerhard Rohlfs […] riporta questi esempii:

"lui c'à tanti soldi, quanti fratelli c'hai?, c'ho una casa in campagna".

Fu anche socio dell'Accademia della Crusca e dei Lincei.
E con ciò? :)

Una cosa è riportare degli esempi [nella grafia in cui sono purtroppo abitualmente scritti], un’altra è (sarebbe) legittimare tale grafia, cosa che si guarda bene dal fare la voce piú autorevole dell’ortografia italiana. ;)
Con ciò Rohlfs riporta per iscritto esempi da lui sentiti, e li riporta come sente di doverli scrivere, perché m'immagino che non li abbia rilevati dallo scritto e ancor di più li abbia scritti in tedesco per poi farli tradurre. Se nasce un uso c'è un perché e lo studioso dovrebbe cercar d'indagare la ragione, più che tentare di rendere obbligatoria una norma che come si vede, non essendo sentita, non può funzionare. E questo si nota per un lasso di tempo così lungo che dovrebbe, anch'esso, indurre a chiedersene le ragioni.
Vorrei non farne una polemica sterile di Si/No. L'uso è antico e la presunta regola non ne tien conto.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Scilens ha scritto:Con ciò Rohlfs riporta per iscritto esempi da lui sentiti, e li riporta come sente di doverli scrivere, perché m'immagino che non li abbia rilevati dallo scritto e ancor di più li abbia scritti in tedesco per poi farli tradurre.
Ecco, appunto: codesto, se l’immagina Lei. Io non ne sarei cosí sicuro…
Scilens ha scritto:Vorrei non farne una polemica sterile di Sí/No. L'uso è antico e la presunta regola non ne tien conto.
Antico quanto?

E invece, per fortuna, questo è proprio uno di quei pochi casi in cui, come ben evidenzia il DOP, si può dire un sonoro «no» a una scrizione che víola in modo palese la coerenza interna del sistema ortografico italiano.
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Scilens
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Intervento di Scilens »

Infarinato ha scritto:
Scilens ha scritto:Con ciò Rohlfs riporta per iscritto esempi da lui sentiti, e li riporta come sente di doverli scrivere, perché m'immagino che non li abbia rilevati dallo scritto e ancor di più li abbia scritti in tedesco per poi farli tradurre.
Ecco, appunto: codesto, se l’immagina Lei. Io non ne sarei cosí sicuro…
Io ne sarei ragionevolmente certo, per analogia con le altre locuzioni dialettali ascoltate e riportate, anche estranee alla Toscana, come quelle calabresi o piemontesi o venete, e perché non cita nessuno scrittore, cosa che il Rohlfs fa regolarmente quando la fonte è indiretta. E anche per l'assenza di difficoltà nel reperire quelle forme direttamente 'in natura', invece di doverle cercare nello scritto (cosa che, tra l'altro, darebbe conto soltanto dell'interpretazione fonetica dell'autore della fonte scritta).
In tre persone, e in più edizioni, hanno usato forme 'proibite' come "c'ho" e "c'hai", su un aromento che difficilmente può ammettere trascuratezze, e sia il Rohlfs che il Franceschi e la Caciagli-Fancelli (perdipiù entrambi toscani, di adozione e nascita) per i rispettivi curricula non possono esser certo considerati sprovveduti: sono più che convinto che il suono che si voleva qui descrivere non sia stato equivocato da nessuno. Infatti non avrebbero potuto utilizzare la forma "ci ho", che sebbene abbastanza corretta, non somiglia alla vera pronunzia.

- L'uso è antico e la presunta regola non ne tien conto.
- Antico quanto?

Per esempio:
"hò attentamente letto, e diligentemente considerato questo primo Libro dell'illustrazione di Firenze; nè C'ho trovato cosa alcuna contro alla S.Fede Cattolica, o buoni costumi..."
da 'Firenze città nobilissima illustrata' Di Ferdinando Leopoldo del Migliore,Pietro Antonio dell.̓ Ancisa 1684
"Ma quelli non C'hanno da essere nella Republica?"
da 'Lezioni morali sopra Giona profeta' Di Angelo Paciuchelli 1720
"Cangia favella Se pur vuoi che c'ascolti...
(Metastasio, 'Catone', atto II, scena X)
" Ghe << Avv. In quel luogo. Ci , o Vi — gh'andarii ? gh'andaròo senz'alter. C'andrete? C'andrò, oV'andrò senz'altro, cioè indubbiamente"
da "Vocabolario cremonese italiano" di Angelo Pieri 1847
e così via.

Fanno parte della stessa tendenza le schiere di esempii, anche contemporanei, di "gl'uni", "gl'altri" (insieme a "degl'altri" "agl'altri"...) e "gl'animi", "gl'occhi" e "gl'anni" e così via, che si svolgono dal '300 ad oggi e che ognuno può trovare senza fatica, il DOP condanna anche questi (gl' è ammesso solo davanti a i, nell'ortografia 'moderna').

Anche le diffusissime scritture "ch'abbia" (almeno quattro secoli), "ch'ho" (almeno cinque secoli) e "ch'hanno", con tutte le loro varianti e simili, sono conferme che testimoniano la possibilità d'uso delle forme "c'ho" e "c'hanno", le quali, essendo senza l'acca, vengono lette d'istinto 'ciò' e 'ciànno'.
Non nego che manchino d'eleganza, ma il volerle eliminare mi pare arbitrario.
Tuttavia La capisco, Infarinato; ricordo che ai miei tempi di scuola tali forme erano bandite (anche nel parlato: era proprio il 'ci' che si doveva evitare, per quanto possibile), perché la scrittura era quasi tutta formale, e lo era più spesso anche il parlato, che doveva somigliare il più possibile allo scritto. Oggi quel modo sarebbe da definirsi 'affettato', perlomeno nell'uso quotidiano.

Questo è il mio parere e queste son le ragioni che posso portare; e sia per evitare ripetizioni, e sia per non far chiudere anche questo filone, cercherò di non insistere.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Scilens ha scritto:Fanno parte della stessa tendenza le schiere di esempii, anche contemporanei, di "gl'uni", "gl'altri" (insieme a "degl'altri" "agl'altri"...) e "gl'animi", "gl'occhi" e "gl'anni" e così via, che si svolgono dal '300 ad oggi e che ognuno può trovare senza fatica, il DOP condanna anche questi (gl' è ammesso solo davanti a i, nell'ortografia 'moderna').
Esempî contemporanei? Se si tratta d’un occasionalismo giornalistico, magari sfuggito alla rilettura, direi che non è per nulla probante. Allo stesso modo, poco, o per nulla, probanti sarebbero gli esempî presi dalla rete, dove — eccettuate queste stanze e pochi altri luoghi — si tende a scrivere in fretta e male.

A me sembra, invece, che proprio l’erroneità, riconosciuta dalla maggior parte degli scriventi, di grafie come gl’anni mostri quanto sia arbitraria e incoerente una scrizione come c’ho.

Gli esempî antichi, poi, forniscono, a mio parere, un argomento molto debole: parliamo di secoli in cui la grafia non era ancora fissata una volta per tutte in tutti i suoi aspetti. Basti ricordare l’alternanza tra grafie latineggianti e grafie piú fedeli alla pronuncia.

Con Infarinato, e con l’Accademia della Crusca, continuo a pensare che una scrizione come c’ho sia scorretta e incrini la coerenza del sistema grafico italiano.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Nel libro Le parole di Firenze, edito dall'Accademia della Crusca, è stata scelta la soluzione c(i) ho, che mi pare abbastanza pesante.
marmaluott
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Intervento di marmaluott »

Perché invece non

ci ò
ci ài
ci à
ci avemo
ci avete
ci ànno

?
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Carnby
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Intervento di Carnby »

In un libro dell'Ottocento su Francesco di Giorgio Martini ho trovato la grafia agl'ultimi, che mi pare presenti gli stessi problemi di c'ho.
Ultima modifica di Carnby in data dom, 26 giu 2016 23:14, modificato 1 volta in totale.
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Intervento di Infarinato »

Carnby ha scritto:In un libro dell'Ottocento su Francesco di Giorgio Martin ho trovato la grafia agl'ultimi
Sí, allora era una grafia abbastanza usuale.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Infarinato ha scritto:Sí, allora era una grafia abbastanza usuale.
Ma oggi sarebbe proscritta come c'ho?
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Antujo
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Re: «C’ho»

Intervento di Antujo »

Marco1971 ha scritto: ven, 07 nov 2008 12:28 È stata pubblicata oggi una nuova scheda nel sito della Crusca.
Ora la scheda si trova a questo indirizzo.
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