«Ce n’è»
Moderatore: Cruscanti
Non intendo convincere nessuno, caro Andrea. Ho solo esposto il mio parere su una questione a ogni modo di poco momento, trattandosi d’un uso dialettale, o comunque sottostàndaro, estraneo all’italiano normale, e che ricorre soprattutto nel parlato informale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Iscritto in data: dom, 23 ott 2011 22:37
Certo, lo so. Lei sta esponendo la sua opinione, io la mia: perfetto!
Comunque sì, forse è un problema di poco momento, ma personalmente ho insistito perché da futuro (si spera!) traduttore mi capiterà di dover tradurre dialoghi informali, in cui dovrò usare il ci attualizzante, e quindi: che fare a quel punto?!
Comunque sì, forse è un problema di poco momento, ma personalmente ho insistito perché da futuro (si spera!) traduttore mi capiterà di dover tradurre dialoghi informali, in cui dovrò usare il ci attualizzante, e quindi: che fare a quel punto?!
Scegliere l’opzione secondo lei migliore, con una nota a piè di pagina alla prima occorrenza che spieghi al lettore le ragioni della grafia adottata.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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- Iscritto in data: dom, 23 ott 2011 22:37
Aldilà della comune riprovazione per le obbrobriose forme «c'ho» e simili, non sarebbe buona cosa trovare una soluzione condivisa?
«cj ho» può piacere o non piacere, ma di certo è improponibile in pratica.
«ciò» e «ci ho» mi sembra che siano entrambi attestati, ché ne ricordo un uso ricorrente del secondo nei Malavoglia. Una curiosità: il primo è stato mai attestato al di fuori del dialetto?
Il difetto di «ci ho» è che non sarebbe letto correttamente di primo acchito. D'altro canto, credo basti trovarsi di fronte un paio di «ci ho fame» o poco più per leggerlo bene.
Trovo la proposta di Carnby molto bella. Però presenta gli stessi svantaggi del «cj ho» o quasi.
«cj ho» può piacere o non piacere, ma di certo è improponibile in pratica.
«ciò» e «ci ho» mi sembra che siano entrambi attestati, ché ne ricordo un uso ricorrente del secondo nei Malavoglia. Una curiosità: il primo è stato mai attestato al di fuori del dialetto?
Il difetto di «ci ho» è che non sarebbe letto correttamente di primo acchito. D'altro canto, credo basti trovarsi di fronte un paio di «ci ho fame» o poco più per leggerlo bene.
Trovo la proposta di Carnby molto bella. Però presenta gli stessi svantaggi del «cj ho» o quasi.
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- Iscritto in data: lun, 09 apr 2012 1:22
Al cellulare io scrivo ciò, ciài e ciànno, ma ha senso (tra virgolette!) perché uso ò, ài e ànno al posto di ho, hai e hanno.Ferdinand Bardamu ha scritto:Ciò, invece, a me piace: non credo ci siamo molte possibilità di confonderlo col pronome, né che si pongano chissà quali questioni, per cosí dire, ontologiche sulla natura della parola (che il ciò in «ciò fame» sia un verbo credo sia fuor di dubbio). Per di piú, se non ricordo male, è suffragato da alcune occorrenze letterarie (Gadda, Pasolini, ecc.).
ci ho -> c'ho e ce lo ho -> ce l'ho
mi sembrano abbastanza chiari e diffusi da poter essere usati senza particolari problemi e riforme.
Che io -> ch'io (documentato)
Dunque se volessi contrarre "che ho" otterrei "ch'ho"; tanto brutto da non essere usato nemmeno nel parlato, non si presta ad essere confuso con la prima locuzione.
(Non uso i messaggini perché ci metto meno tempo a telefonare.)
mi sembrano abbastanza chiari e diffusi da poter essere usati senza particolari problemi e riforme.
Che io -> ch'io (documentato)
Dunque se volessi contrarre "che ho" otterrei "ch'ho"; tanto brutto da non essere usato nemmeno nel parlato, non si presta ad essere confuso con la prima locuzione.
(Non uso i messaggini perché ci metto meno tempo a telefonare.)
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
Secondo logica...
Scilens ha scritto: Che io -> ch'io (documentato)
Dunque se volessi contrarre "che ho" otterrei "ch'ho"; tanto brutto da non essere usato nemmeno nel parlato, non si presta ad essere confuso con la prima locuzione.
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
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- Iscritto in data: dom, 23 ott 2011 22:37
Piú che altro quest'eventuale ch'ho sarebbe pronunciato in modo diverso da come viene comunemente pronunciato c'ho.Scilens ha scritto:ci ho -> c'ho e ce lo ho -> ce l'ho
mi sembrano abbastanza chiari e diffusi da poter essere usati senza particolari problemi e riforme.
Che io -> ch'io (documentato)
Dunque se volessi contrarre "che ho" otterrei "ch'ho"; tanto brutto da non essere usato nemmeno nel parlato, non si presta ad essere confuso con la prima locuzione.
Il problema – ma mi pare si sia già detto diverse volte – è che c'ho, scritto cosí, non può essere letto come /tʃɔ/, ma dev'esser pronunciato /kɔ/.
- Ferdinand Bardamu
- Moderatore
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- Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
- Località: Legnago (Verona)
In piú, in un’eventuale elisione del pronome/congiunzione che — oggi rara e stilisticamente marcata nello scritto — non sarebbe necessario mantenere il segno diacritico ‹h› davanti a segni diversi da ‹i› ed ‹e›, perciò la contrazione di «che ho» è meglio scriverla «c’ho», secondo me. Nella tradizione letteraria, l’elisione di che davanti a h- si scriveva anche cosí, «c’»: «[D]opo c’hanno molto e lungo tempo praticato con istranieri» (Vico, citato nel DOP).Andrea Russo ha scritto:Il problema – ma mi pare si sia già detto diverse volte – è che c'ho, scritto cosí, non può essere letto come /tʃɔ/, ma dev'esser pronunciato /kɔ/.
Allora anche "c'è" va letto "chè" ("che è", che però dovrebbe scriversi "ch'è").Andrea Russo ha scritto:c'ho, scritto cosí, non può essere letto come /tʃɔ/, ma dev'esser pronunciato /kɔ/.
A Ferdinand: Il Vico non era toscano e secondo me gli è rimasta un'acca nella penna. Elisioni come quella dell'esempio hanno qualche giustificazione in poesia per ragioni metriche, ma non essendo comuni nemmeno nel parlato hanno poco diritto di esistere nello scritto, se non per riportare un dialogo.
Un'altra proposta per conrarre "che ho", che mi sembra sia già stata fatta, è scrivere "ch'ò". Ma è poco meno brutto.
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
L'ho trovato ora e lo riporto da http://dizionari.corriere.it/dizionario ... egli.shtml
ch’io, ch’egli, ch’altri: le elisioni di che
Che può essere eliso davanti a parola che comincia con le vocali e, i; e in tal caso diventa sempre ch’: ch’egli, ch’io: la h è necessaria per conservare la pronuncia dura, gutturale della consonante c. Ma la stessa elisione si può fare anche davanti a parole che cominciano con a, o, u: ch’altri, ch’ode, ch’urla. C’è chi, per economizzare una h, scrive c’altri, c’ode, c’urla, portando come scusa che la pronuncia gutturale della c è data naturalmente dal suo incontro con le vocali a, o, u. Economia sconsigliabile perché l’elisione riguarda solo la vocale finale di parola, cioè la e.
Altro caso: che davanti alle forme verbali ho, hai, ha, hanno. Le forme elise saranno: ch’ho, ch’hai, ch’ha, ch’hanno. Sconsigliate anche qui, per il motivo di cui sopra, le forme c’ho, c’hai, c’ha, c’hanno. Chi preferisce le forme verbali accentate senza la h (vedi h iniziale: una lettera sopravvissuta), scriverà ch’ò, ch’ài, ch’à, ch’ànno. Assolutamente da non usare le forme c’ò, c’ài eccetera.
Le stesse regole valgono anche per le elisioni di certe congiunzioni come anche, perché, finché, benché, per l’aggettivo indefinito qualche eccetera: anch’io, anch’egli, anch’oggi, bench’io, perch’io, finch’ebbe, qualch’altra. Ma salvo che per anche, tutte queste elisioni sanno di vecchio: riservate a chi ama l’antiquariato.
ch’io, ch’egli, ch’altri: le elisioni di che
Che può essere eliso davanti a parola che comincia con le vocali e, i; e in tal caso diventa sempre ch’: ch’egli, ch’io: la h è necessaria per conservare la pronuncia dura, gutturale della consonante c. Ma la stessa elisione si può fare anche davanti a parole che cominciano con a, o, u: ch’altri, ch’ode, ch’urla. C’è chi, per economizzare una h, scrive c’altri, c’ode, c’urla, portando come scusa che la pronuncia gutturale della c è data naturalmente dal suo incontro con le vocali a, o, u. Economia sconsigliabile perché l’elisione riguarda solo la vocale finale di parola, cioè la e.
Altro caso: che davanti alle forme verbali ho, hai, ha, hanno. Le forme elise saranno: ch’ho, ch’hai, ch’ha, ch’hanno. Sconsigliate anche qui, per il motivo di cui sopra, le forme c’ho, c’hai, c’ha, c’hanno. Chi preferisce le forme verbali accentate senza la h (vedi h iniziale: una lettera sopravvissuta), scriverà ch’ò, ch’ài, ch’à, ch’ànno. Assolutamente da non usare le forme c’ò, c’ài eccetera.
Le stesse regole valgono anche per le elisioni di certe congiunzioni come anche, perché, finché, benché, per l’aggettivo indefinito qualche eccetera: anch’io, anch’egli, anch’oggi, bench’io, perch’io, finch’ebbe, qualch’altra. Ma salvo che per anche, tutte queste elisioni sanno di vecchio: riservate a chi ama l’antiquariato.
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
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