Sulla norma ortografica

Spazio di discussione su questioni di grafematica e ortografia

Moderatore: Cruscanti

Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Sulla norma ortografica

Intervento di Scilens »

[Continua la discussione iniziata qui.]

Penso si riferisca alla mia scelta di non usare l'accento sul si affermativo. È semplice. Tutti sanno che 'si' deriva dal sic latino. La c se n'è andata abbastanza presto e Dante non usa l'accento, ma non voglio usare l'argomento dell'autorevolezza. Basta la logica normale. In italiano di norma non si mettono gli accenti, quasi mai, a meno che non servano a distinguere gli omofoni dai diversi significati, oppure, molto raramente, a ricordare una consonante caduta. Ma l'unica vera ragione dell'accento è facilitare la pronuncia.
Ora mi dica lei in quanti modi si può pronunciare la sillaba si e dove altro si potrebbe accentare.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Con questo lei risponde solo in parte alla mia domanda generale. Ne deduco che per lei la correttezza dipende dalla logica e non dalla storia e dalle convenzioni riconosciute dalla comunità dei parlanti una lingua e descritte nelle opere di consultazione. Ho capito male?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Ha capito benissimo.
Devo integrare la spiegazione con le direttive del mio vecchio insegnante che ci diede le basi del libero pensiero: chiedetevi sempre perché e rispondetevi secondo la logica dello schema che state usando. Poi uscitene fuori, mettetela in dubbio e cercate ogni eccezione. In questo modo avrete una visione più globale del problema. Il problema, una volta focalizzato e definito, ha in sé la soluzione.
Era saggio.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Se è conscio delle censure alle quali si espone ed è pronto a affannarsi con tutti per giustificare le sue scelte ortografiche, bene. Ma nessun editore le pubblicherebbe un testo seguendo i suoi criteri. Restando in tema ortografico, per logica, lei non accenta neanche il là/lí («in quel luogo»), il (pronome tonico), il (verbo dare) e il (congiunzione)?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
PersOnLine
Interventi: 1303
Iscritto in data: sab, 06 set 2008 15:30

Intervento di PersOnLine »

Scilens ha scritto:Tutti sanno che 'si' deriva dal sic latino. La c se n'è andata abbastanza presto e Dante non usa l'accento
Quindi il DOP cita una sorta di artefatto storico? Mi pare strano che non citi, perlomeno, il si quale grafia antiquata, come fa per quì e per se.

P.S. Una volta nel manuale di Menichetti, lessi d'una disciplina il cui scopo è risalire all'originaria formulazione di un verso, annullando le alterazioni introdotte nei secoli dagli amanuensi; qualcuno sa dirmi come si chiama?
Ultima modifica di PersOnLine in data dom, 18 nov 2012 0:20, modificato 1 volta in totale.
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Marco1971 ha scritto:Se è conscio delle censure alle quali si espone ed è pronto a affannarsi con tutti per giustificare le sue scelte ortografiche, bene. Ma nessun editore le pubblicherebbe un testo seguendo i suoi criteri. Restando in tema ortografico, per logica, lei non accenta neanche il là/lí («in quel luogo»), il (pronome tonico), il (verbo dare) e il (congiunzione)?
Come ho detto non mi capita spesso di scrivere con l'intento di far leggere ad altri, ma indipendentemente da questo, certo che accetto il là (quelli là), il sé, come à visto sopra, ma non il “se stesso”, nonostante mi risulti prescritto dalle grammatiche, perché non può dar adito a nessun dubbio.
Accetto normalmente il né, ma non il da che Lei scrive dà, essendo poco sensato. All'imperativo il verbo dare alla seconda persona singolare per me si scrive da' (dai eliso). La terza persona del presente indicativo è da. Io do tu dai egli da. Senza dubbio di ambiguità e fraintendimenti.
Concorda? anzi, concordate? Non serve la tradizione, che non è neppure univoca.

Quando parlate italiano state parlando un derivato del mio dialetto.
Riaccomodato ed uniformato secondo quel che appare di questa logica, secondo com'è stata capita, e nei secoli non è mancato il tempo per capire, eppure ci sono state esagerazioni come il "pruova" e "l'aiuola"dei testi ottocenteschi, parole che non si son mai dette e son nate soltanto per essere scritte.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

E secondo quale logica accetta e e e non ? Cerco solo di capire...
Scilens ha scritto:Quando parlate italiano state parlando un derivato del mio dialetto.
Che è anche mio, ma che c’entra?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Lo so che è anche il suo, almeno a giudicare dal giglio che indica un centro oracolare etrusco. Anche lei c'è nato dentro, per questo in questi casi mi meraviglio.
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Marco1971 ha scritto:E secondo quale logica accetta e e e non ?
Perché la pronuncia dell'articolo la (casa) non è la stessa dell'avverbio là, (laggiù-lassù) e perché "ne faccio uso" non può esser confuso con "né faccio uso"
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Scilens ha scritto:Perché la pronuncia dell'articolo la (casa) non è la stessa dell'avverbio là, (laggiù-lassù) e perché "ne faccio uso" non può esser confuso con "né faccio uso"
Ma se ne faccio uso non può essere confuso con né faccio uso, perché ci mette l’accento? La sua logica mi sfugge... Che ne pensano gli altri?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Gentile Marco, lei è senz'altro più competente di me, ma comincia ad essere tardi, almeno per me.
"né faccio uso" equivale a "e non faccio uso", mentre "ne faccio uso" vuol dire che faccio uso di qualcosa.

Se per lei va bene, vorrei che ne parlassimo domani pomeriggio, ché ora il cervello comincia ad andar per conto suo.
Mi scusi.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Perfetto. Ci pensi bene. La notte porta consiglio. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Aggiungo queste considerazioni di Giovanni Nencioni (La Crusca risponde, Firenze, Le Lettere, 1995, pp. 34-35, grassetto mio), sulle quali, naturalmente, non concorderà, ma le riporto di nuovo a beneficio di tutti:

È però vero che oggi l’ortografia è il settore della grammatica in cui la norma è piú certa e l’unità della lingua nazionale, diversamente che nella pronuncia, è piú raggiunta. E poiché la comunicazione a largo raggio, nazionale e internazionale, avviene soprattutto mediante lo scritto, non sarà difficile, e sarà utilissimo, che la lingua vi si mostri in tale unità. Un insegnante colto e giudizioso sarà dunque in grado, per l’ortografia, di dare regole sicure e d’illustrare adeguatamente i pochi punti d’incertezza e di ambiguità. Gli sarà anche facile far capire la preferibilità sociale e culturale di una scrittura, pur con qualche insufficienza, unica e costante e collettivamente memorizzata, a una riforma ortografica che rendesse piú semplice e perfetta la corrispondenza tra suoni e alfabeto, ma interrompesse l’aspetto tradizionale della lingua. Niente, certo, impedirebbe di scrivere quore come quando, ma la forma poetica core verrebbe separata da quella col dittongo pur essendo una variante della stessa parola, discesa dal latino cor. E niente impedirebbe di scrivere cuando, cuanto, cuale come cuore, ma ciò troncherebbe la continuità visiva della lingua e offuscherebbe la sua discendenza dalla lingua madre, il latino, cui essa resta piú vicina delle lingue sorelle. Sarebbe allora meglio adottare una grafia fonetica che mirasse a precisare i valori acustici dei singoli elementi, ad es. kwore, kore, kwando, indicando la natura semivocalica della u, e poi anche la posizione e la qualità dell’accento. L’errore di ortografia, come si vede nell’esempio fatto ora, non è, spesso, un errore di fonetica, cioè di corrispondenza grafico-fonica, ma la violazione di un costume grafico che assicura la costanza dell’aspetto visivo della lingua; costanza che, giova ripeterlo, costituisce un prezioso bene sociale e culturale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Avatara utente
Carnby
Interventi: 5279
Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
Località: Empolese-Valdelsa

Intervento di Carnby »

PersOnLine ha scritto:P.S. Una volta nel manuale di Menichetti, lessi d'una disciplina il cui scopo è risalire all'originaria formulazione di un verso, annullando le alterazioni introdotte nei secoli dagli amanuensi; qualcuno sa dirmi come si chiama?
Ecdotica?
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Non avevo ancora risposto a PersoOnLine:
“del bel paese là dove 'l sì suona” Dante qui mette l'accento su si (nome) per evitare l'ambiguità, non avendo le virgolette, altrimenti la frase si sarebbe potuta intendere come “del bel paese dove quello si suona”, poco comprensibile.

Non vorrei che si avesse l'impressione che io voglia rifare daccapo la grammatica. La lingua è tutta una convenzione condivisa che ha come scopo primario quello di far che la comunicazione funzioni senza essere equivoca.
Quando l'accento serve ad evitare un fraintendimento è “obbligatorio” metterlo, ma quando la frase è chiara, come “si, ho capito” diventa superfluo: quel 'si' non ha nessuna possibilità di esser preso per una nota musicale o scambiato per un si impersonale. Tantopiù che il si affermativo viene seguito da una virgola, punto, punto esclamativo o altro e comunque isolato. E poi, cosa lo distinguerebbe da così (sì)?
In definitiva considerare l'accento sul si affermativo come se fosse una regola ferrea non ha nessuna vera giustificazione.
Però se per Voi quell'accento arbitrario e superfluo fosse davvero così irrinunciabile potrei metterlo, pur malvolentieri, su questo foro.
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 18 ospiti