Forme del congiuntivo dei verbi in «-iare»
Moderatore: Cruscanti
Forme del congiuntivo dei verbi in «-iare»
Vorrei chiedervi lumi a proposito dell'ortografia del congiuntivo dei verbi in -iare.
Ci sono norme a sostegno della conservazione della -i radicale davanti a quella della desinenza? Forme come "che io studii" sono giustificate o giustificabili? Serianni, ad esempio, parla di non opportunità. Documentandomi, seppur parzialmente, ho trovato attestazioni in Boccaccio e Gramsci.
Vi ringrazio in anticipo per la cortese disponibilità e vi auguro un buon pomeriggio.
Ci sono norme a sostegno della conservazione della -i radicale davanti a quella della desinenza? Forme come "che io studii" sono giustificate o giustificabili? Serianni, ad esempio, parla di non opportunità. Documentandomi, seppur parzialmente, ho trovato attestazioni in Boccaccio e Gramsci.
Vi ringrazio in anticipo per la cortese disponibilità e vi auguro un buon pomeriggio.
Sono grafie inutili e antiquate. Per quanto riguarda la norma grafica, non valgono gli esempi dei secoli passati, e in particolare per la morfologia verbale, che si è evoluta nel corso dei secoli.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Nella grafia vigente la doppia i è riservata al plurale delle parole in -io con i tonica (non atona), come in lo zio ~ gli zii.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Mi sembra che qui la gente venga a chiedere cosa sia preferibile, secondo criteri scientifici. Altrimenti, è ovvio, ognuno si regola come vuole, non ci sono leggi in fatto di lingua.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
- Ferdinand Bardamu
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Concordo con Marco. Si possono usare forme antiquate per scrivere la lista della spesa, tenere un diario personale, ecc., ma nei testi destinati al pubblico ogni scelta che si discosti dalla norma vigente — e le doppie i e l’accento circonflesso non vi rientrano — dev’essere debitamente giustificata.
Distinto Marco1971, la regola, molto simile a quella degli accenti, è sempre stata quella di evitare quando si può la doppia i, che diventa però obbligatoria al minimo sospetto d'ambiguità.
Così se scrivo "alcuni decenni" tutti penseranno a dei ragazzini di circa 10 anni, ma la stessa frase perderà tutta l'ambiguità quando scriverò "decennii" con due i, in modo da indicare senza dubbio il plurale di decennio.
Nel caso in oggetto, il verbo studiare può essere coniugato tutto senza doppia I, senza errore, a meno che non s'incappi in un caso ambiuguo.
Perciò la regola da lei sopra enunciata non va applicata alla lettera, per non ottenere proprio il risultato che non si sarebbe voluto conseguire.
Così se scrivo "alcuni decenni" tutti penseranno a dei ragazzini di circa 10 anni, ma la stessa frase perderà tutta l'ambiguità quando scriverò "decennii" con due i, in modo da indicare senza dubbio il plurale di decennio.
Nel caso in oggetto, il verbo studiare può essere coniugato tutto senza doppia I, senza errore, a meno che non s'incappi in un caso ambiuguo.
Perciò la regola da lei sopra enunciata non va applicata alla lettera, per non ottenere proprio il risultato che non si sarebbe voluto conseguire.
Marco1971 ha scritto:Altrimenti, è ovvio, ognuno si regola come vuole, non ci sono leggi in fatto di lingua.
- Ferdinand Bardamu
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Siamo davvero sicuri? La frequenza molto bassa di una parola come decenne mi farebbe pensare il contrario.Scilens ha scritto:Così se scrivo "alcuni decenni" tutti penseranno a dei ragazzini di circa 10 anni…
Io credo che in quasi tutt’i casi immaginabili il contesto basti e avanzi a dissipare ogni dubbio, soprattutto quando le due parole appartengono a categorie grammaticali differenti; certamente, in codesto caso, il contesto è piú che sufficiente.
Per quanto riguarda il plurale di principio e principe, in genere, per disambiguare, si adopera l’accento: princípi / príncipi.
Penso anch'io che l'accento sia preferibile alla doppia vocale. Tuttavia l'esempio che ho portato, reale, potrà anche essere di uso marginale, non è l'unico in questo fòro, ma a me serviva proprio perché non è possibile discriminare trai due omografi per mezzo del solo accento. In fondo basta un solo caso contrario per invalidare una proposizione scientifica e come si vede anche dagli esempi di Marco1971, talvolta non si può fare a meno della doppia i.
- Ferdinand Bardamu
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Non sono d’accordo. La marginalità e l’improbabilità della confusione fra decenni (bambini di dieci anni) e decenni (periodi di dieci anni) fanno sí che il ricorso all’accento o a qualunque altro mezzo di disambiguazione sia del tutto inutile. Al sostantivo decenni (=bambini di dieci anni) si applicano verbi e aggettivi che si adattano ai suoi tratti di umanità, animatezza, ecc.; allo stesso modo, decenni (=periodi di dieci anni) ricorre in contesti altrettanto inequivocabili. Una frase come «Sono passati due decenni da quando sono venuto ad abitare qui» può essere ambigua solo nei monologhi di Bergonzoni.Scilens ha scritto:Tuttavia l'esempio che ho portato, reale, potrà anche essere di uso marginale, non è l'unico in questo fòro, ma a me serviva proprio perché non è possibile discriminare trai due omografi per mezzo del solo accento. In fondo basta un solo caso contrario per invalidare una proposizione scientifica e come si vede anche dagli esempi di Marco1971, talvolta non si può fare a meno della doppia i.
Insomma: se l’ambiguità fra omografi è trascurabile, perché una delle due interpretazioni renderebbe la frase altamente improbabile o goffa e innaturale, decade la necessità di distinguerli graficamente.
L'opinione di Marco si capisce meglio leggendo anche questo filone del 2009 e non è (o non era?) diversa dalla mia.
- Ferdinand Bardamu
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Mah, in realtà a me sembra che in quest’intervento sostenga esattamente la stessa cosa che sostiene in questo filone (e che sostengo anch’io): è meglio evitare la doppia i, ma è lecito usarla qualora si presentasse la rarissima necessità di disambiguare. (Sospetto però che lei e io siamo d’accordo, in fondo, se escludiamo la scelta discutibile dell’esempio di decenni.)
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