Ossequente, non ossequiente

Spazio di discussione su questioni di grafematica e ortografia

Moderatore: Cruscanti

Fausto Raso
Interventi: 1725
Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25

Ossequente, non ossequiente

Intervento di Fausto Raso »

Moltissime persone, anche quelle la cui cultura linguistica dovrebbe essere insospettabile, scrivono e dicono “ossequiente” (inseriscono quella “i” che non c’entra minimamente) credendo che questo aggettivo sia un deverbale, sia, cioè, un aggettivo derivato dal verbo “ossequiare”.
Se cosí fosse si dovrebbe dire “ossequiante” perché il participio presente (con funzione aggettivale) dei verbi in “are” ha la desinenza in “ante”: parlante; cantante; …ossequiante. La persona rispettosa, riverente, ubbidiente, che rende ossequio si dice “ossequente” (senza la “i”).
Noto, però, "con dispiacere", il fatto che non tutti i vocabolari concordano: il De Mauro in linea riporta ossequiente come variante di ossequente; il Dop dà ossequiente come voce errata; lo stesso Zingarelli, uno tra i piú “permissivi”, non ammette la “i”. Altri, meglio, riportano – in parentesi – che la forma “ossequiente” è errata. E hanno perfettamente ragione: ossequente discende dal latino “obsequente(m)”, accusativo del participio presente “obsequens” del verbo “obsequi” (ubbidire, accondiscendere). Attraverso un processo di assimilazione ‘obsequentem’ è diventato ‘ossequentem’, quindi – in italiano – “ossequente”.
L’assimilazione, sarà utile ricordarlo, è un processo linguistico per cui dall’incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda. Nel caso specifico di “obsequente(m)” la consonante “b” è stata assimilata dalla “s”.
Il verbo “ossequiare”, quindi, come si può ben vedere, non ha nulla a che vedere con l’aggettivo ossequente che è la sola forma corretta.
L’equivoco grossolano della “i”, se si esclude il verbo ossequiare, potrebbe esser nato dalla “i” di ossequio.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Sí, la forma corretta è ossequente.

Mi permetta però di farle una piccola osservazione, visto che lei tiene a tutti questi dettagli. La forma «piú corretta» sarebbe non ha nulla che vedere, senza a. ;)
Fausto Raso
Interventi: 1725
Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25

Intervento di Fausto Raso »

Marco1971 ha scritto:Mi permetta però di farle una piccola osservazione, visto che lei tiene a tutti questi dettagli. La forma «piú corretta» sarebbe non ha nulla che vedere, senza a. ;)
Ha perfettamente ragione. Ho pensato, però, che se avessi scritto, correttamente, non ha nulla che vedere sarei stato tacciato di "saccenteria linguistica".
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Non in queste stanze, caro Fausto (io lo uso da sempre e nessuno mi ha rimproverato). :)
Brazilian dude
Moderatore «Dialetti»
Interventi: 726
Iscritto in data: sab, 14 mag 2005 23:03

Intervento di Brazilian dude »

Avete contribuito alla cultura di questo povero brasiliano. Io ho sempre detto ossequiente. Grazie di averlo segnalato.
Fausto Raso
Interventi: 1725
Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25

Intervento di Fausto Raso »

A proposito dell'espressione non avere nulla a che vedere (e simili) che è forma "poco corretta", che cosa pensa, cortese Marco, della locuzione prendere atto che? A mio avviso è errata perché si prende atto "di" qualcosa, non "che": prendo atto "di" quanto hai detto; prendo atto "della" tua buona fede. Quando, per motivi fono-sintattico-grammaticali, non è possibile adoperare la preposizione "di" si ricorra - a mio modo di vedere - all'espressione prendere atto del fatto che: "prendo atto del fatto che" non hai detto la solita bugia e non, "erroneamente", prendo atto che non hai detto la solita bugia.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Il ‘che’ congiunzione può benissimo sostituire la locuzione ‘del fatto che’:

Mi sono accorto del suo errore –> Mi sono accorto [del fatto] che aveva sbagliato.

Prendo atto della tua solita bugia –> Prendo atto [del fatto] che hai detto la solita bugia.

Si pensi anche a strutture comunissime come “Sono sicuro che andrà tutto bene”, mentre sicuro richiede la preposizione ‘di’ (“Sono sicuro del successo della sua impresa”).

Un esempio dantesco:
E perché li antichi s’accorsero che quello cielo era qua giú cagione d’amore, dissero Amore essere figlio di Venere.
Per la sua antichità e presenza ininterrotta nella storia della nostra lingua, questo ‘che’ non si può considerare scorretto.
Fausto Raso
Interventi: 1725
Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25

Intervento di Fausto Raso »

Marco1971 ha scritto:Per la sua antichità e presenza ininterrotta nella storia della nostra lingua, questo ‘che’ non si può considerare scorretto.
Prendo atto che questo 'che' non si può considerare scorretto, mi sembra, però, stilisticamente poco ortodosso.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Sono curioso: a lei sembra stilisticamente poco ortodosso anche Mi sono accorto che e Sono sicuro che? Perché se è cosí capirei meglio il suo sentimento nei confronti di Prendo atto che.
Fausto Raso
Interventi: 1725
Iscritto in data: mar, 19 set 2006 15:25

Intervento di Fausto Raso »

Marco1971 ha scritto:Sono curioso: a lei sembra stilisticamente poco ortodosso anche Mi sono accorto che e Sono sicuro che? Perché se è cosí capirei meglio il suo sentimento nei confronti di Prendo atto che.
Sono espressioni che aborrisco perché mi sembrano un "aborto linguistico".
Bue
Interventi: 866
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 11:20

Intervento di Bue »

Marco1971 ha scritto:Il ‘che’ congiunzione può benissimo sostituire la locuzione ‘del fatto che’:

Prendo atto della tua solita bugia –> Prendo atto [del fatto] che hai detto la solita bugia.
Senza contare [il fatto] che "il fatto che" appesantisce spesso notevolmente le frasi, e [il fatto] che "prendo atto del fatto" è una di quelle rime "interne" che alcuni orecchi (tra cui i miei) trovano esteticamente urticanti.
Avatara utente
bubu7
Interventi: 1454
Iscritto in data: gio, 01 dic 2005 14:53
Località: Roma
Info contatto:

Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Mi permetta però di farle una piccola osservazione, visto che lei tiene a tutti questi dettagli. La forma «piú corretta» sarebbe non ha nulla che vedere, senza a. ;)
Marco1971 ha scritto:...(io lo uso da sempre e nessuno mi ha rimproverato). :)
Eccomi! :)

Ha fatto bene a mettere tra virgolette l'espressione «più corretta» infatti quella da lei preferita è solo la forma «più tradizionale», oggi variante di (estrema) minoranza della forma nulla/niente a che…
Se vogliamo dare un’indicazione precisa a chi ci legge, sarà quindi quest’ultima la forma da consigliare, cioè più corretta, per chi volesse scrivere in italiano modello. Il GRADIT, il DISC, il Devoto-Oli (1987), lo Zingarelli 2002 e perfino il Gabrielli (in due volumi) riportano solo quest’ultima forma mentre il Treccani le riporta entrambe, senza esprimere preferenze.
Tra l’altro, la forma nulla/niente a che… non è neanche completamente assente dalla nostra tradizione letteraria: una ricerca sulla LIZ 4.0 la mostra in Emilio De Marchi, Federigo Tozzi, Italo Svevo, Ippolito Nievo, Giuseppe Rovani e Luigi Pirandello.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:...perfino il Gabrielli (in due volumi) riportano solo quest’ultima forma...
Ha guardato male, perché nel Gabrielli, alla voce fare, c’è scritto:
Aver che fare (o a che fare) con una persona o cosa, averci rapporti o rapporto. Non ho niente che fare (o a che fare) con quell’imbroglione; Questo non ha nulla a che fare con quello.
Avatara utente
bubu7
Interventi: 1454
Iscritto in data: gio, 01 dic 2005 14:53
Località: Roma
Info contatto:

Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: Ha guardato male, perché nel Gabrielli, alla voce fare...
Tutto qui il suo commento? :shock:
Vedo che ha colto il nocciolo della mia obiezione… :D
Mi aspettavo maggiore larghezza di vedute considerando i vocabolari che le ho citato.
Qualcosa tipo: «Ha ragione, i vocabolari più autorevoli consigliano la forma nulla/niente a che…». :wink:

Quasi fuori tema, visto che non è questo il punto: la mia citazione del Gabrielli era preceduta da un «perfino» perché, obiettivamente, non si può annoverare tra i vocabolari più autorevoli, e riguardava proprio la frase la lei presa in considerazione: «…nulla che vedere».
Per l’uso dell’espressione con questo verbo il Gabrielli non dà alternativa: l’unica forma riportata è quella con la a.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Non si sconvolga per sí picciol cosa. Io continuerò a dire come ho sempre detto senza téma d’errare, confortato dalla tradizione, che giunge fino ai giorni nostri negli scrittori piú attenti e raffinati. Convengo che si può considerare oggi forma marcata visto che il costrutto colla a domina incontrastato al punto che molti dizionari omettono di segnalare la variante da me usata. È anche vero che alla voce vedere il Gabrielli dà solo la versione con a, ma in un suo libro dice invece (il testo integrale si può leggere qui):
Consiglierei pertanto di attenersi alla forma antica; e di dire, analogamente, «non ho nulla che vedere in questa faccenda», «non ho mai avuto che dire con lui», meglio che «a che vedere» e «a che dire». (Il museo degli errori, Milano, Mondadori, 1977, p. 111)
E il Battaglia, sotto vedere, registra solo le forme Non avere che vedere, non avere niente o nulla che vedere con qualcosa (l’unico esempio con a è di Calvino).

Io non avrei mai segnalato questo particolare se non l’avessi trovato nella penna dell’amico Fausto Raso, che appunto cita spesso il Gabrielli. Ché non ritengo errato l’uso della preposizione a in questi costrutti, sebbene io faccia scelte diverse.

P.S. Una domanda: lei aveva scritto (vedo che ora ha optato per una formulazione diversa) «visto la mole dei dizionari che le ho citato». Era un refuso o si sta diffondendo nell’uso l’invariabilità di «visto», alla francese?
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 42 ospiti