Da "Parole in corso" di G. Luigi Beccaria riporto questo periodo:
Potrebbe trattarsi di un semplice aneddoto. La spiegazione resta controversa. Probabilmente è legata al giudizio negativo che aristocratici e borghesi formulavano sui venditori di cioccolato, e anche al comportamento dei cioccolattieri che non sempre si comportavano in modo consono alla clientela aristocratica.
Mi piacerebbe conoscere il motivo per cui il linguista ha scritto cioccolattieri e non cioccolatieri.
Come si giustifica, insomma, quella doppia t?
Cioccolattiere (con due "t")?
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Cioccolattiere (con due "t")?
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
Avevo già segnalato – e con dovizia d’esempi – la poca accuratezza linguistica di Beccaria. Ma qui si salva, perché la variante cioccolattiere esiste, e si giustifica con le iniziali oscillazioni formali della parola cioccolato: cioccolatto, cioccolatte, ciocolate.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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