Etimologia

Spazio di discussione dedicato alla storia della lingua italiana, alla sua evoluzione e a questioni etimologiche

Moderatore: Cruscanti

amicus_eius
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Intervento di amicus_eius »

Un ulteriore precisazione, relativamente al dibattito di Bubu7 con Infarinato, relativamente alla trasformazione tipologica.

Esistono varii, ben attestati esempi di trasformazione tipologica totale e parziale delle lingue, nella storia delle umane favelle.

Due macroesempi sono l'egiziano antico e il cinese (le due lingue dalla storia meglio documentata su tempi millenari, insieme al greco).

Dalla sua fase arcaica fino al copto, la lingua egizia ha oscillato da una tipologia all'altra a causa di erosioni fonetiche e mutamenti di ogni tipo, che non starò qui a riassumere.

Nelle attestazioni più arcaiche del cinese, una lingua isolante, alcuni pronomi hanno forme diverse in relazione alla loro funzione logica: relitto di un precedente, non attestato, stadio flessivo.

Un esempio di trasformazione tipologica regionale dovuta a mutamento fonetico è dato dal futuro del latino prima e delle lingue neolatine poi. Alla base delle lingue neolatine c'è, inevitabilmente, il latino. In latino il futuro ha varie forme, tutte organiche: l'arcaico tipo in -so, derivato dal congiuntivo aoristo indeuropeo, il futuro senza caratteristica del verbo sum, derivato da un congiuntivo presente; il tipo in -am, altro congiuntivo presente, infine il tipo in -bo, confrontabile con il futuro in -fo dell'osco-umbro, altra lingua italica. Quest'ultima forma, flessiva, è figlia di una precedente forma analitica, costituita da un indicativo presente *bhewo preceduto da un nome astratto deverbale al locativo: monebo (<*monei *bhewo) significa: io sono sul punto di ammonire. Le forme organiche del latino classico tramontano, perché poco chiare, e sono sostituite dal praesens pro futuro o da perifrasi con l'infinito, forme analitiche come amare habeo. Queste, in virtù di mutamenti fonetici, divengono nuove forme organiche (tuttavia in aree linguistiche più conservative, come il portoghese, in presenza di pronimi clitici è ancora possibile staccare le desinenze dall'infinito, quasi fossero forme verbali a sé, e apporre sull'infinito le particelle pronominali: es. "falarle emos").

Allo stato attuale abbiamo di fronte il caso lampante dell'inglese. Lingua con alto grado di sinteticità (ma con fenomeni di erosione della flessione nel plurale dei verbi) all'epoca del Beowulf -conserva addirittura un relitto di duale nei pronomi-, si muta poi in lingua analitica, con un relitto di declinazione e coniugazione, nel middle English, per perdere infine ogni residuo di flessione, salvo il plurale, la terza persona singolare del verbo indicativo, i suffissi della -ing form, del preterito e del participio passato. Il suo grado di sinteticità (numeri di morfema per parola) è poco superiore a 1 (una parola, un morfema): è ormai quasi una lingua isolante, e certi dialetti e forme argotiche non hanno più la -s alla terza singolare del presente indicativo e usano solo il present perfect .

Come esempi di trasformazione tipologica non mi sembrano di poco conto quelli qui proposti.

Si potrebbe obbiettare che una lingua come il greco, attestata sin dal 1300 avanti Cristo, è rimasta una lingua flessiva con forme di passivo organico fino ai giorni nostri, perdendo di fatto un caso al millennio (lo strumentale non esisteva più in età classica; il dativo, già moribondo dalla fine del IV sec. a. C. era sparito in età tardoantica). Tuttavia è inevitabile che diverse aree linguistiche evolvano in modo diverso. Le comparazioni tipologiche restano dunque valide in linea di massima.
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

quasi fossero forme verbali a sé, e apporre sull'infinito le particelle pronominali: es. "falarle emos").
Solo una piccola precisione al suo magnifico intervento: falar-lhe-emos (= gli/le parleremo).

Brazilian dude
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Intervento di Infarinato »

Mi associo a Brazilian dude nel definire magnifici (nonché estremamente istruttivi) gli’interventi del nostro Amicus.

E, come Brazilian dude, colgo l’occasione per fare una piccola precisazione anch’io.
amicus_eius ha scritto:Un’ulteriore precisazione, relativamente al dibattito di Bubu7 con Infarinato, relativamente alla trasformazione tipologica.
bubu7 ha scritto:Caro amicus_eius, nella mia discussione con Infarinato egli ha sostenuto, come vedo anche lei, che il protoindoeuropeo sarebbe stata una lingua agglutinante.
Io non ho sostenuto che il protoindoeuropeo fosse una lingua agglutinante. Non sono un indoeuropeista: le mie conoscenze si arrestano alle lingue classiche e a qualche elementare nozione sulla protolingua.

Le mie considerazioni devono essere intese nel senso che, se l’indoeuropeo, lingua (in realtà, diasistema) palesemente flessiva, ha conosciuto una [precedente] fase agglutinante (ipotesi non inverosimile), allora;)
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: Io non ho sostenuto che il protoindoeuropeo fosse una lingua agglutinante. Non sono un indoeuropeista...

Le mie considerazioni devono essere intese nel senso che, se l’indoeuropeo, lingua (in realtà, diasistema) palesemente flessiva, ha conosciuto una [precedente] fase agglutinante (ipotesi non inverosimile), allora;)
Mi scuso, caro Infarinato, se troppo superficialmente l'ho associata ad amicus_eius. So benissimo che lei non è un'indoeuropeista, come del resto non lo sono io.
Quindi anche tutte le mie considerazioni devono intendersi infarcite di 'se', cosa ovvia quando si parla di questi argomenti, con in più, nel mio caso, tutti i limiti di una mal digerita dottrina da parte di un dilettante. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
amicus_eius
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Intervento di amicus_eius »

Ringrazio Infarinato e Brazilian Dude per i complimenti (immeritati, perché nemmeno io, come Bubu7, sono specificamente un indoeuropeista) e chiedo scusa sempre a Brazilian Dude per aver confuso un attimino ( :oops: ) le clitiche del portoghese con quelle dello spagnolo (in realtà non le ho confuse: non avendo niente da fare, sto giocando a creare una lingua artificiale ispano-iberica, ahr ahr! :lol: -battutaccia un po' ballista quest'ultima, of course).

Scherzacci a parte, ribadisco in ogni caso che qualunque ipotesi sulla tipologia a cui apparteneva in principio la protolingua, prima di sviluppare la sua struttura di lingua accusativa e fusiva, resta, appunto, un'ipotesi. Molte delle teorie di sistema sulla natura originaria dell'indeuropeo risentono in realtà, come è facile immaginare, del retroterra di studi linguistici e antropologici dei loro formulatori, che nell'agone delle methodenstreiten fra scuole di pensiero e correnti, si spingono ad ampliare la portata e le implicazioni di alcuni loro approcci particolari nell'ambito dell'indeuropeistica.

Prendiamo ad esempio l'orientamento che sembra affiorare dietro la prospettiva del problema quale l'ha presentato Bubu7. Alcuni suoi fondamentali punti di riferimento (l'illustre nome di Marija Gimbutas, il confronto con l'uralico, tanto per citarne alcuni) si collocano -o almeno così mi consta- all'interno di un quadro preciso e definito, i cui capisaldi sono, credo di intuire, i seguenti: 1) fisionomia degli Indeuropei come popolazione dell'età del bronzo (lasciando stare, come secondari ai fini del discorso, i connotati patriarcali e aggressivistici della loro civiltà, fra kurgani e asce da battaglia); 2) Urheimat (patria originaria) uralo-sarmatica -a monte, forse, ipotesi di un indeuropeo figlio di una remotissima protolingua eurasiatica alla base delle lingue uralo-altaiche e della stessa famiglia indo-germanica; 3) indeuropeo come lingua prevalentemente accusativa e fusiva, non scevra però dall'uso di posposizioni, e suo sviluppo da strutture verbali e nominali atematiche e relativamente semplici, a forme tematiche -regolari- più articolate e complesse -scenario quest'ultimo, che sul piano linguistico convince un po' più per i verbi che per i nomi. [Ma a proposito di questi capisaldi, mi si corregga se sbaglio: non è sempre facile interpretare le premesse implicite nei ragionamenti altrui].

L'ipotesi dell'ergatività originaria nasce invece in un contesto diverso. Gli studiosi russi Gamkrelidze e Ivanov (il primo dei due propriamente georgiano, dunque caucasico, guarda un po'), sono fra i suoi principali assertori, se mal non mi appongo. Questi due studiosi hanno fornito in primo luogo dei contributi estremamente affascinanti circa la questione dell'origine del sistema fonetico indeuropeo, relativamente a due problemi: le laringali (in particolare Gamkrelidze) e l'origine del sistema di occlusive a quattro serie (sorde, sonore, sorde aspirate, sonore aspirate: per le dentali, ad es. *t *d *th *dh) nel quale le sorde aspirate sono rare e raro è anche, rispetto ad altri suoni sonori, il fonema *b.
Gamkrelidze postula due laringali (una è la *h, l'altra, da lui non ben identificata, potrebbe essere il colpo di glottide, che un altro studioso del problema, Martinet, aveva ritenuto fosse presente nell'Urindogermanisch); le occlusive indeuropee originarie sarebbero state in realtà divise in due serie, sorde e sonore, con la variante aspirata delle sonore e quella glottidalizzata delle sorde (*t *t' *d *dh *th, dove *t' sta per una *t emessa con successivo colpo di glottide). La fusione delle sorde con il colpo di glottide avrebbe portato alla sonorizzazione diffusa con l'arricchimento, in termini di volume statistico di occorrenze, di tutte le sonore, tranne la *b, che in tutte le lingue con glottidalizzazione delle consonanti non si associa al colpo di glottide. La fusione di sonore e sorde con la spirante laringale sorda *h dà luogo alle aspirate.

Obbiezione a questa teoria delle glottidali in indeuropeo, da parte dell'orientamento più tradizionale (rappresentato, ad esempio, da Szémerenyi) è che le glottidali sono suoni fortemente sordi, di cui è difficile immaginare la sonorizzazione; inoltre esse sono proprie delle lingue caucasiche, lontane dalla Urheimat uralo-sarmatica di solito attribuita agli Indoeuropei, popolo dell'età del bronzo.

Nel frattempo, però, Renfrew propone la sua idea sulla Urheimat anatolica degli Indeuropei e sulla loro diffusione nel neolitico, non già nell'età del bronzo. In un secondo momento Renfrew sposterà nei Balcani la patria originaria, ma la concezione di una patria originaria collocata in prossimità (a nord-ovest o comunque a nord) della mezzaluna fertile, nel neolitico, trova appunto in Gamkrelidze e Ivanov nuovi e più fondati sostenitori. Questi pongono la Urheimat nel Caucaso o poco a sud di esso: e il Caucaso è appunto terra di lingue glottidalizzanti ed ergative, estremamente antiche (verosimilmente tardo-mesolitiche). La loro idea trova forse sostegno in un dato empirico, proveniente dallo studio genetico delle migrazioni umane. Negli ultimi quattordicimila (o forse sedicimila) anni, l'Europa sarebbe stata teatro di due ondate di popolamento: una, tardo-mesolitica, irradiantesi dai Pirenei e dal Golfo di Biscaglia, verso l'Europa orientale, il Circolo Artico e l'Algeria settentrionale e costituente l'ottanta per cento delle caratteristiche genetiche delle popolazioni europee attuali; l'altra, risalente a circa settemila anni fa, decisamente associabile ad una progressiva neolitizzazione, e irradiantesi dal Caucaso verso i Balcani e l'area uralo-sarmatica, nonché responsabile di circa il venti per cento del nostro tipo genetico (ben inteso: i geni sono solo traccianti di percorsi migratori, servono a seguire la linea espansiva di remote migrazioni, e non hanno alcun ruolo determinante nelle differenze culturali, niente hitlerismi di risulta: gli stessi studi dimostrano, per altra via, l'assoluta e totale inconsistenza scientifica del razzismo) - e si potrebbe aggiungere che, tutto considerato, anche la successiva diffusione in Europa della lavorazione del bronzo segue la stessa linea, a partire dalla mezzaluna fertile, verso l'area uralo-sarmatica e i Balcani.

All'interno di questo quadro, i dati etnolinguistici possono trovare collocazioni diverse. L'idea di partenza è: sovrapposizione della neolitizzazione protoindeuropea sul mesolitico preindeuropeo, a partire dal Caucaso (più, eventualmente, successiva migrazione, sulla stessa via, di altri gruppi, stavolta senza significative tracce genetiche, all'origine dell'età del bronzo in Europa). Sul piano linguistico il processo evolutivo così rozzamente definito potrebbe permettere di delineare, nelle sue tappe geolinguistiche essenziali, le fasi della trasformazione tipologica dell'indeuropeo in relazione alle tappe della marcia nomadica delle tribù indogermaniche, una volta assunto, come corollario, il carattere di diasistema tipico dell'indeuropeo stesso: 1) migrazione dal caucaso lungo la direttrice uralo-sarmatica, interazioni con lingue accusative in area uralica; 2) risultante trasformazione in lingua accusativa, sia per stabilizzazione interna del sistema, già di per se stesso in fase di ristrutturazione e riorientamento morfosintattico, sia per il peso di lingue di substrato o di popolazioni vicine. Ne consegue che l'ipotesi "tradizionale" (lingua madre fusiva accusativa con posposizioni e preposizioni, le cui varianti sono parlate in area uralo-sarmatica) descrive una fase più recente, rispetto all'ipotesi "innovativa" (lingua ergativa agglutinante glottidalizzata in fase di trasformazione tipologica, con Urheimat caucasica), che descriverebbe le origini più remote.

In realtà l'ipotesi "innovativa" (protoindeuropeo ergativo agglutinante), non manca di obbiezioni e contraddizioni. Una è, per esempio, che le lingue anticamente ergative, come il basco e i dialetti caucasici, sono rimaste tali fino ad oggi a partire dal mesolitico. Si dovrebbe perciò postulare un'eterogeneità di partenza, fra idiomi accusativi ed ergativi. A tale obbiezione si potrebbe però rispondere che biscaglia e caucaso sono isole sopravvissute a una marea, aree laterali relitto di un mondo preistorico linguisticamente ergativo, per il resto sommerso dall'inondazione accusativa (mi si perdoni la metafora ardita). Riesce inoltre non sempre facile dedurre con rigore non tanto la semplificazione progressiva del sistema e il sincretismo a partire dalle pressioni dell'erosione fonetica, quanto piuttosto (è l'obbiezione più calzante di Bubu7) la deduzione di un sistema ergativo a partire da un sistema accusativo. Se però il quadro qui delineato è almeno parzialmente vero, il riorientamento tipologico potrebbe essersi verificato in seguito a una serie di meccanismi fra di loro eterogenei epperò convergenti sul piano del mutamento linguistico (ridefinizione semantica di forme allativali ad esempio, cristallizzazione e successiva sistematizzazione di frasi con cumulazioni di assolutivi (elenchi) in concomitanza di periodi spezzati, anacoluti e fratture sintattiche tipiche dell'immediatezza del parlato, fenomeni fonetici che hanno in più punti erosa la distinzione fra ergativi e assolutivi etc.), meccanismi di mutamento innescatisi in tappe differenti.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Grazie, caro amicus_eius, di questo suo ulteriore contributo.
Spero nel fine settimana di avere il tempo per riflettere su tutto quanto ci ha scritto e poterle quindi esprimere il mio parere.

A presto.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
amicus_eius
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Intervento di amicus_eius »

Nulla di che.

Un'interessante discussione su nominativo maschile e neutro ed ergatività lo si puo trovare nel sito di cui offro qui di séguito il rimando.

http://www.humnet.unipi.it/slifo/artico ... zeroni.pdf

A presto.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

amicus_eius ha scritto:Un'interessante discussione su nominativo maschile e neutro ed ergatività lo si puo trovare nel sito di cui offro qui di séguito il rimando.
Non faccio in tempo a star dietro alla sua generosità!

Per ora quindi, dopo essermi stampato l'articolo che mi ha suggerito, posso solo puntualizzare alcuni aspetti della mia (provvisoria) posizione.

Ritengo (con la Gimbutas) che la patria originaria sia localizzata nelle steppe del sud della Russia, nella zona del basso Volga, quindi a nord del Caucaso.

Che l’espansione in Europa sia avvenuta ad ondate, con tre ondate principali (4400, 3400 e 3000 a. C.). La prima, o comunque non l’ultima di queste ondate principali, ha portato ad una migrazione, di popoli indoeuropei non in possesso di una cultura agricola stanziale, nel bacino danubiano, in cui erano già presenti popolazioni preindoeuropee neolitizzate (che avevano cioè già sviluppato un’agricoltura stanziale evoluta).

Dal bacino danubiano è partita la colonizzazione del resto dell'Europa occidentale, dopo quindi il meticciato culturale con le popolazioni preesistenti.

La patria sudcaucasica ipotizzata dai russi Gamkrelidze e Ivanov nel 1980, su basi prettamente linguistiche, soffre della mancanza di supporti archeologici: intorno al V millennio, in quella zona non vi è traccia di culture indoeuropee. Inoltre gli elementi del lessico sottolineati dagli autori, possono essere dei prestiti successivi, mentre essi sottovalutano elementi lessicali che portano ad ipotizzare una patria molto più nordica.

Comunque, la divergenza essenziale tra i due russi e la Gimbutas consiste essenzialmente nel fatto che i primi affermano che gl’indoeuropei sono partiti dal sud del Caucaso e una parte è poi passata nella zona dei kurgan mentre la Gimbutas sostiene l’opposto, con la specificazione che il ramo anatolico non sarà necessariamente quello dei popoli storici (Ittiti ed altri) ma uno precedente.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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miku
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Intervento di miku »

Mi perdoni la franchezza, caro bubu7: bisognerebbe mantere i piedi per terra, se contestare i 2 russi non è cosa agevole neanche per i maggiori indoeuropeisti. Il terreno presenta ogni tipo di trappole per gente che lavora a questo da una vita; l'amicus si mantiene prudentemente dubitoso - e non è l'ultimo arrivato; lascio dunque a lei tirare le somme, visto che dovrebbe ormai aver capito, se ha letto i riferimenti che le venivano suggeriti, quanto questa disciplina sia ardua...

P.s.
Di recente un amico linguista, con l'aria più contrita che si possa immaginare, asseriva sconsolato: "io ho una lacuna enorme: non conosco il sanscrito".

Perciò tutti a imparare il sanscrito, via, prima di smontare le tesi di Ivanov e Gamkrelidze...
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Non ha niente da farsi perdonare, caro miku, se non forse una poca attenzione ai ripetuti avvisi di cui ho infarcito i miei interventi.
Tipo:
Quindi anche tutte le mie considerazioni devono intendersi infarcite di 'se', cosa ovvia quando si parla di questi argomenti, con in più, nel mio caso, tutti i limiti di una mal digerita dottrina da parte di un dilettante. :)
Tenga comunque presente che per essere critici d'arte non bisogna essere pittori...
Le contestazioni ai due russi ovviamente non sono solo mie, ma di altri linguisti di cui io mi sono limitato a cercare di riportare le idee (linguisti che penso proprio lo conoscano il sanscrito...).

Perciò, come vede, le somme sono bell'e tirate. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
amicus_eius
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Intervento di amicus_eius »

Il Miku perde il pelo ma non il witz! :lol:

Lungi da me contestare radicalmente il quadro prospettato dalla Gimbutas, che infatti non è rifiutato in toto nemmeno da coloro che sostengono la tesi della prima Urheimat caucasica: si è del resto parlato di diasistema e di pluralità di "patrie originarie", così come anche di diverse ondate migratorie.

Il problema di rinvenire la collocazione geografica preistorica degli Indeuropei a partire dagli areali delle piante e degli animali propri del protolessico è piuttosto controverso: gli stessi lemmi assumono valori lievemente diversi per indicare animali di specie simili o affini nelle diverse aree geografiche: quale connotazione considerare come realmente originaria? L'unica è ravvisare in parole come *bhagos, o *rktòs indicazioni di massima relative a generi di piante e animali, più che a specie. In realtà, a partire da questi indizi, si è riuscito a capire soltanto che in origine gli Indoeuropei erano da qualche parte fra l'Elba e le pendici del Caucaso, con estrema punta settentrionale il Circolo polare artico. Qualcuno ha evocato scenari al limite del fantascientifico, asserendo che l'Urheimat non si trova perché... è stata inghiottita dal mare. per la precisione dal Mar Nero, elevatosi di colpo di livello alla fine del Wurm III, "spiegazione" che è stata presentata anche per i Sumeri (e "prova" di questa "spiegazione" sarebbe niente di meno che la diffusione nelle culture semitiche e indeuropee del mito del diluvio universale, che trova nella teoria del linguaggio astronomico del mito di Santillana e della Von Dechend una spiegazione molto più affascinate, ma non è questo il luogo per discuterne).

Quanto alle prove archeologiche, in effetti agli Indeuropei sono state automaticamente associate le tombe dette Kurgani e le asce da battaglia,
tanto da costituire esse stesse l'identità indeuropea come tale... Ma le identità si vengono formando nel tempo. In effetti l'idea che associa Indeuropei e neolitizzazione è piuttosto "economica" (quindi in certo modo "debole") dal punto di vista archeologico, essendo la fisionomia delle culture neolitiche tendenzialmente omogenea nel vicino oriente. Resta il fatto che quella indeuropea si configura la migrazione di gruppi sì minoritari, ma comunque tali imporre la loro lingua alle popolazioni preesistenti. Sul piano dei traccianti genetici, l'unica migrazione di tal genere sembra essere quella irradiatasi dal Caucaso nel neolitico. Il quadro è ulteriormente chiarito dal fatto che allo stato attuale gli studiosi posseggono qualche indizio sulle lingue parlate in Europa prima dell'indeuropeizzazione: molti toponimi (attestati dall'antichità ad oggi) di fiumi o di località vicine a fiumi contengono radici come is- arn- o eber-: esempi: l'Ebro in Spagna, il nome Lutetia Par-is-iorum (Parigi, Paris), l'Isar in Germania, l'Arar, l'Arno, l'Ebro in Tracia etc. tanto per citarne alcuni in ordine sparso di tempo e di luogo. La distribuzione di tali toponimi va dall'Atlantico al circolo polare artico, escludendo i Balcani e l'area circumcaucasica ed è sovrapponibile alla corrente di diffusione di popolazione irradiantesi dai Pirenei, dalla Catalogna, dall'Aquitania e dalla Provenza orientale a partire dal 17000 a. C. in poi. Queste radici, collegate al concetto di fiume o acqua, non trovano spiegazione in alcuna lingua indeuropea. Trovano spiegazione nel confronto con il basco, che evidentemente è l'ultimo relitto di una protolingua preindeuropea diffusa nel mesolitico. Una caratteristica tipica del basco è che in tale lingua le parole relative all'agricoltura sembrano essere per lo più prestiti, mentre parole semplici come "coltello", "lama", "tetto" sembrano essere, nella loro più recondita etimologia, collegate semanticamente a concetti come "selce" o "volta (di caverna)" -denunciando un'origine di collocazione temporale mesolitica-. In Indeuropeo, invece, parole come *yugòm o *agros denunciano, con la loro diffusione panindeuropea, che l'identità linguistica degli Indeuropei era già in qualche modo definita nel neolitico. Queste parole non sono riconducibili, per via comparativa, ad altre aree linguistiche non indeuropee. Ciò significa che, se mai sono state prestiti, lo sono state in un'epoca remotissima, non più raggiungibile dalla ricostruzione comparativa. Si cosideri per giunta il fatto che la radice *yug- "aggiogare", alla base di *yugom, forma, nella protolingua, un verbo atematico dalla complessa coniugazione, come *yunegmi. Questo verbo risale verosimilmente all'epoca in cui la protolingua non aveva ancora una coniugazione tematica produttiva, ma mostrava una produttiva coniugazione atematica. D'altro canto ha un presente con ampliamento nasale, dunque appartiene a una fase di ristrutturazione linguistica successiva alla formazione di verbi atematici come *esmi, *eimi *bhami *ami, *edmi, *welmi dalla struttura più arcaica ed elementare. Segno, questo, di una profonda usura semantica e morfosintattica della radice stessa, la cui flessione appare però meno stabile in diacronia di quella di verbi semanticamente più centrali come "essere", "andare", "parlare", "mangiare", "volere". Questi indizi linguistici interni, confrontati con i dati forniti dai traccianti genetici, fanno capire che: 1) altre entità etnolinguistiche differenti dai dialetti affini al proto-basco non esistevano in Europa (Balcani a parte) prima dell'indoeuropeizzazione; 2) l'indoeuropeizzazione impone la sua lingua, dunque deve essere rappresentata sì da minoranze, ma da minoranze capaci di imporsi come élite e perciò numericamente cospicue, che devono essere rintracciabili sul piano della migrazione delle caratteristiche genetiche delle popolazioni, mentre all'epoca identificata dalla Gimbutas non risale nessuna traccia significativa sul piano genetico; 3) l'unica traccia genetica significativa, che si irradia dal Caucaso verso i Balcani e verso il bassopiano sarmatico meridionale, risale a settemila anni fa; 4) indizii linguistici relativi agli areali di piante e animali i cui nomi sono panindeuropei, identificano la Urheimat solo in modo approssimativo, senza escludere totalmente l'area caucasica; 5) d'altro canto l'opposizione fra l'associazione: protobasco-connotati linguistici di cultura materiale mesolitica vs. protoindeuropeo-connotati linguistici di cultura materiale neolitica, sembra essre troppo evidente, e troppo ben sovrapponibile ai dati della genetica delle popolazioni umane, per essere un caso.

Raffrontando l'ipotesi tradizionale (se la si intende come unica possibile idea di Urheimat) con l'idea dell'irradiazione dal Caucaso, le forti evidenze archeologiche della prima sembrano poter essere contestabili, perché figlie di una petizione di principio; gli indizi apparentemente deboli a favore della seconda tracciano invece un quadro abbastanza coerente, che non è basato su un'idea preconcetta di Indeuropei (quella dei cavalieri patriarcali impugnanti asce di bronzo, che li si intenda in positivo o in negativo, come forti e puri guerrieri o come maschilisti cancellatori del linguaggio della dea), prospettiva argomentata ultima nata dell'eurocentrismo tardo-ottocentesco o del suo rovesciamento dialettico.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Grazie, caro amicus. Provo a inframmezzare qualche osservazione al suo ultimo intervento.
Quanto alle prove archeologiche, in effetti agli Indeuropei sono state automaticamente associate le tombe dette Kurgani e le asce da battaglia,
tanto da costituire esse stesse l'identità indeuropea come tale...
Interessante come obiezione, anche se per ora non so risponderle.
In effetti l'idea che associa Indeuropei e neolitizzazione è piuttosto "economica" (quindi in certo modo "debole") dal punto di vista archeologico, essendo la fisionomia delle culture neolitiche tendenzialmente omogenea nel vicino oriente.
La mia idea provvisoria è che gl’indoeuropei non sono stati portatori della cultura neolitica in Europa, ma ve l’hanno trovata.
Sul piano dei traccianti genetici, l'unica migrazione di tal genere sembra essere quella irradiatasi dal Caucaso nel neolitico
M’interesserebbe la fonte da cui ha tratto questi studi di traccianti genetici.
L’ultimo studio fresco fresco, sui traccianti genetici mitocondriali, effettuato dal paleoantropologo Haak, e riportato dalla rivista Le Scienze di questo mese, che riprende Science, parla di agricoltura introdotta in Europa nel 5500 a. C. da parte di popolazioni provenienti dal Medio Oriente, che non hanno lasciato eredità genetica ma solo culturale. Si tratta quindi di preindoeuropei come suggeriva la Gimbutas con la sua teoria della Old Europe. Ovviamente anche questi risultati sono lungi dall’essere universalmente accettati.
La distribuzione di tali toponimi va dall'Atlantico al circolo polare artico, escludendo i Balcani e l'area circumcaucasica ed è sovrapponibile alla corrente di diffusione di popolazione irradiantesi dai Pirenei, dalla Catalogna, dall'Aquitania e dalla Provenza orientale a partire dal 17000 a. C. in poi. Queste radici, collegate al concetto di fiume o acqua, non trovano spiegazione in alcuna lingua indeuropea
Se non sbaglio lei sta riportando l’ipotesi di Venneman che è comunque lontana da essere universalmente condivisa.
Invece mi sembra più condivisa l’ipotesi precedente di Krahe, della natura indoeuropea dello strato idronimico, sebbene risalente ad epoche molto successive a quelle da lei citate, ma comunque precedenti le ultime migrazioni indoeuropee.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

C'è anche la teoria della continuità di Alinei e altri.
Avatara utente
bubu7
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Intervento di bubu7 »

u merlu rucà ha scritto:C'è anche la teoria della continuità di Alinei e altri.
Ce la potrebbe esporre per sommi capi? Grazie.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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u merlu rucà
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Ecco il collegamento sulla teoria della continuità: http://www.continuitas.com/
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