Perché Firenze non è riuscita a esportare «codesto»

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atticus
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Perché Firenze non è riuscita a esportare «codesto»

Intervento di atticus »

Provo a dare una prima risposta, usando le parole di Graziadio Isaia Ascoli: «Firenze non è Parigi».
Non basta.
Avete notato che Firenze, e la Toscana, dopo aver partorito Maestri nel campo della lingua, a un certo punto pare essersi come inaridita? Non che siano mancate figure di spicco; ma non sono riuscite a proporsi come punto di riferimento...
Mi fermo qui, per dare spazio a chi vorrà intervenire.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Forse proprio perché il fiorentino trecentesco s’è imposto per via scritta — per di piú letteraria —, i parlanti non toscani hanno faticato a interpretare il valore deittico di codesto, associandolo a una variante aulica di quello — come accade ancor oggi a causa, sembrerebbe, del codesto narrativo.

Certo, Firenze, non essendo capitale come Parigi, non ha goduto dei «vantaggi» della Ville lumière, anche se da noi l’unificazione linguistica è piú un fatto letterario che politico, com’è stato invece in Francia.

Credo che se anche Firenze avesse prodotto grandi scrittori in tempi recenti, ciò non avrebbe favoreggiato l’espansione di certi usi tipicamente toscani e letterari. La raggiunta unità linguistica da una parte e i mutamenti della lingua dall'altra — arricchitasi di vocabolario piú «pregnante» (scienza, industria, ecc.) — hanno a mio avviso precluso la via a un deittico il cui valore è una sfumatura (e quindi una ricchezza espressiva) che non appare indispensabile alla comunicazione. Preciso, per gli «ospiti», che sono fiorentino e che, di conseguenza, sono legato al codesto in modo, per cosí dire, «viscerale».

Concludendo — e lasciando la parola a chi vorrà esprimersi —, mi sembra che i grandi scrittori non siano (piú? ma lo sono mai stati?) in grado di diffondere il loro uso della lingua, perché tra lingua letteraria e lingua parlata c’è un abisso considerevole. E se Manzoni, che pure seguiva l’uso fiorentino, non riuscí a imporre né il codesto né la regola del dittongo mobile, c’è da scommettere che non ci sarebbe riuscito nessun altro scrittore.
M
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"Esportare" codesto

Intervento di M »

Nel mio dialetto il corrispondente di codesto si usa ferreamente, nessuno però riversa quest'uso in italiano. Forse non è un problema di esportazione di un termine o di un uso, ma di un ambito linguistico che si è creato in Italia sganciandosi parzialmente dalle origini toscane.
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Infarinato
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«Codesto» e «codesti»

Intervento di Infarinato »

In merito alla questione generale, mi limito a dire che condivido pienamente quanto detto da Marco1971. Riguardo allo specifico del codesto, riporto invece alcune mie (per nulla conclusive) considerazioni sull’argomento tratte quasi verbatim da un mio messaggio di qualche tempo fa allo stesso Marco1971.

Il «sistema tripartito» sembra essere tipicamente ibero- e italoromanzo centromeridionale (còrso incluso) e, altrettanto tipicamente, non galloromanzo/gallo-italico o comunque italoromanzo settentrionale (...e qui ben si vede come catalogare occitano/provenzale e catalano tra le lingue iberoromanze abbia un suo senso, anche se in catalano si sta perdendo il codesto a favore del questo [per maschile e femminile], ma... viceversa per il «neutro»! [Cfr., e.g., http://www.orbilat.com/Languages/Occita ... e_Pronouns e http://www.orbilat.com/Languages/Catala ... 20Pronouns.]).

Ovviamente, questo non spiega nulla, ma rimanda solo il problema piú a monte, e cioè: perché il codesto s'è perso quasi subito nel galloromanzo, etc.?

Quanto al perché i parlanti centromeridionali (non toscani) il cui dialetto preveda un «codesto» poi non l'usino quando parlano nel rispettivo italiano regionale, l'unica spiegazione che mi viene in mente è che tutti questi «codesti» sono morfologicamente (nonché uditivamente) assai diversi dalla loro traduzione nella lingua nazionale: e.g., chissu è sicuramente piú vicino a un questo (o anche a un quello) che a un codesto, per cui -a mio avviso- il parlante si trova un po' «spiazzato» e, in italiano, finisce per ricorrere ai primi due anziché al terzo, condizionato anche dal fatto che -statisticamente- di codesti a giro se ne sentono davvero pochi (...e nello scritto sono relegati allo stile epistolare piú deprimentemente burocratico).
Ultima modifica di Infarinato in data dom, 03 apr 2005 11:26, modificato 3 volte in totale.
M
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Dialetti italici

Intervento di M »

Concordo con la differenza uditiva, sicuramente è uno dei motivi della mancata trasposizione della struttura mentale locale nell'italiano comune. Aggiungo che nel mio dialetto (molisano) esistono e sono usati ferreamente anche gli equivalenti di costì/costà, peraltro sia nella versione della stretta prossimità che della vicinanza più lata, anch'essi mai usati in italiano. Però propongo come spiegazione anche la nascita di un ambito linguistico che non usava tali termini perchè la sua struttura era implicitamente un pò diversa, subiva una lieve 'gallizzazione' e quindi portava anche parlanti sicuramente italici (nè meridionali nè galloromanzi) a pensare con due 'circuiti linguistici' differenti.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Disseppellisco questo filone per aggiungere il collegamento a una scheda del sito dell'Accademia, di recente pubblicazione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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