Origine di «dall’ago al milione»

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Ferdinand Bardamu
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Origine di «dall’ago al milione»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

L'espressione dall'ago al milione, che trova un corrispettivo, ad esempio, nell'inglese «from rags to riches», indica il passaggio dalla povertà alla ricchezza, spesso in merito a qualcuno che ha fatto fortuna rapidamente, quasi saltando le fasi intermedie. Mi chiedevo quale fosse la sua origine, giacché non si trova nulla in Rete.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Secondo me ago va inteso come ‘lavoro di cucito’ (il Treccani scrive: «campare, vivere con l’a., con lavori di cucito»), che è un’occupazione umile. Il passaggio, dunque, da una condizione di povertà a una di ricchezza.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Mi sembra una spiegazione valida, ma rimane il mistero: perché a rappresentare la condizione umile di partenza è il mestiere del sarto e non, che so, quello del contadino o del vasaio?

Ho come il sospetto che le origini risalgano a un preciso avvenimento o a una persona particolare, assunta a modello dell'imprenditore che «si è fatto da sé».

Se la Rete non aiuta a chiarire perché si dica «ago» e non «zappa» o «tornio», l'espressione non sembra avere molta fortuna nei principali quotidiani: l'archivio del Corriere della Sera ne contiene solo due attestazioni, quello della Repubblica diciassette.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Forse per l’importanza sociale dei vestiti (cfr l’analoga espressione inglese con rags [= stracci, vestiti logori])? Devo confessare che non conoscevo quest’espressione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sembra che in un articolo della Repubblica ci sia qualche schiarimento in piú:

dall'ago al milione si potrebbe dire parafrasando il titolo d'un vecchio romanzo in cui il protagonista scopre un ago in un rigagnolo, lo raccoglie, inventa la tecnica di produrlo in serie e di lì nasce la sua fortuna di plurimilionario[.]

Da un'ulteriore ricerca, si dovrebbe trattare piuttosto di un'operetta composta agli inizi del Novecento, musicata da Luigi dall'Argine con libretto di Cesare Sacchetti (entrambi non meglio noti alla prima sgugolata).
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Intervento di PersOnLine »

Qui c'è qualche informazione sulla famiglia Dall'Argine, e qui si può ascoltare qualche minuto dell'opera.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ringrazio PersOnLine del collegamento: ecco un tenore che sa cantare, voce ben impostata e che non manca di possanza; forse un po’ debole negli acuti (mi dà l’impressione d’un restringimento della voce), ma davvero uno che sa cantare.

Sull’espressione dall’ago al milione, mi conferma la mia amica Silvia, di Milano, che non è nell’uso, e infatti non la trovo nei dizionari (non che sia una garanzia, ma per dire). La traduzione dell’espressione inglese citata da Ferdinand, nel Picchi, è dalle stalle alle stelle. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Non l’ho trovata nemmeno io nei dizionari a mia disposizione. Non direi, però, che non sia nell’uso, semmai che si tratta di un’espressione assai rara, peregrina, antiquata: ancorché pochissime, alcune attestazioni si trovano nei giornali, in particolare – ma questo forse non è un dato molto significativo – nella prosa di giornalisti d’una certa età (Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari, Gianni Mura).

Ne ho trovato un esempio anche nella traduzione italiana di un romanzo di Henry Miller, Opus Pistorum, colà usata proprio per tradurre «from rags to riches». A mio parere, dall’ago al milione è, malgrado la rarità, un traducente piú preciso, perché fa uno specifico riferimento alla fortuna economica.

Comunque, in L’operetta italiana di Waldimaro Fiorentino potrebbero esserci notizie sulla trama di Dall’ago al milione. Non appena ho un po’ di tempo, mi riprometto di procurarmi il libro in biblioteca e darvi poi conto delle mie scoperte. :)
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Ferdinand Bardamu
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Re:

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Ferdinand Bardamu ha scritto: ven, 02 dic 2011 21:36Sembra che in un articolo della Repubblica ci sia qualche schiarimento in piú:

dall'ago al milione si potrebbe dire parafrasando il titolo d'un vecchio romanzo in cui il protagonista scopre un ago in un rigagnolo, lo raccoglie, inventa la tecnica di produrlo in serie e di lì nasce la sua fortuna di plurimilionario[.]

Da un'ulteriore ricerca, si dovrebbe trattare piuttosto di un'operetta composta agli inizi del Novecento, musicata da Luigi dall'Argine con libretto di Cesare Sacchetti (entrambi non meglio noti alla prima sgugolata).
La trama dell’operetta non corrisponde a quella del non meglio noto «vecchio romanzo». Sono venuto in possesso del libretto: narra di due sarte di Milano, Amalia e Amelia, le quali, dopo varie avventure in giro per il mondo, si sposano rispettivamente con un ricco imprenditore e con un principe. L’argomento sembra corrispondere al titolo, visto che l’«ago» ha che fare col mestiere di sarta e il «milione» col felice epilogo. Si potrebbe però trattare anche della ripresa di un modo di dire preesistente… :?
Ligure
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Re: Origine di «dall’ago al milione»

Intervento di Ligure »

In alcune zone della Liguria "arcaica" ci si fermava alla prima parte del detto. Almeno, nell'espressione dei vecchi. Fornisco una traduzione fedele, ma non letterale. Infatti, non siamo in un filone nettamente "dialettologico". Il significato, ai tempi, se pure ritenuto un po' "grezzo", "riduttivistico" era normalmente compreso da tutti. Cioè: "(In quella famiglia) non si avvalgono più dell'ago" o, anche, "Hanno gettato l'ago". I miei nonni l'avranno sentito dire centinaia di volte. È che i contatti diretti con le nostre radici e con la diffusa povertà di un tempo, quella che non si poteva celare, si sono offuscati. Non c'era alcun riferimento alle attività di ricamo o di sartoria. Molte famiglie umili rattoppavano gli abiti, rammendavano le calze. In casa propria. A causa della povertà. Non avevano i soldi e si sarebbero vergognate a portare quei cenci a far cucire dal sarto. E chi andava in città a eseguire lavori di cucito in casa dei benestanti o riusciva ad aprire un negozietto da sarta perdeva la vista sui punti dell'ago e sui rammendi, s'ingobbiva, ma non diventava certamente una persona ricca.

Il detto, assai probabilmente, preesisteva alla diffusione delle macchine per cucire. Ma i "veri poveri" non le possedevano e, comunque, servivano per confezionare - risparmiando - abiti nuovi, non per rammendare i calzini.

Gli aghi erano venduti anche dagli ambulanti a buona parte della popolazione. Anche direttamente al domicilio delle persone, con modalità "porta a porta". Chi li vendeva non sarebbe sopravvissuto avendo soltanto i sarti professionisti come clienti, molti dei quali, per altro, si rifornivano già dai grossisti.

Il detto significava semplicemente che quella determinata famiglia aveva fatto fortuna. Magari emigrando. E la prima cosa che facevano le vecchie e anche le giovani donne di quella casa era gettare - o, comunque, non adoperare più - l'ago, "l'uovo di legno" per i rammendi (quello che, in campagna, una volta tarlato, sarebbe, poi, stato riciclato come endice, i miei nonni ricordano ancora tutti gli "attrezzi" dell'epoca). Acquistavano camicie e abiti nuovi. Buttandoli - o usandoli come cenci - quando si logoravano.

Nelle metafore di tipo popolare l'ago non era il simbolo del ricamo, ma il simbolo dell'asservimento forzato a un riciclo continuo degli indumenti che umiliava e faceva sentire a disagio appena fuori casa nel confronto inevitabile con gli altri e a causa dei commenti delle persone.

Oggigiorno le associazioni di beneficenza rifiutano il dono di capi di abbigliamento nuovi fiammanti, mai indossati da nessuno, solo in quanto caratterizzati da piccoli difetti - praticamente invisibili a occhio nudo - riscontrati nella fase del controllo di qualità...
Ultima modifica di Ligure in data ven, 02 apr 2021 13:32, modificato 1 volta in totale.
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Ferdinand Bardamu
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Re: Origine di «dall’ago al milione»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

La ringrazio. Dunque ago per condizione di povertà (che implica un rammendo continuo e inevitabile di indumenti logori) era già una metafora consolidata popolarmente, anche al tempo in cui fu scritto il libretto di quest’opera. E la seconda parte del detto è un’aggiunta facile facile per descrivere una ricchezza acquisita partendo da umili origini. Possiamo allora ragionevolmente supporre che il titolo dell’operetta riprenda questo modo di dire, che si adatta perfettamente alla trama.
Ligure
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Re: Origine di «dall’ago al milione»

Intervento di Ligure »

Ringrazio lei per l'attenzione. Ovviamente, ho semplicemente attestato una metafora ultrasecolare, relativa, per altro, a un territorio limitato.

Nel quale, inoltre, l'ago era anche "simbolo" di "cosa da nulla", usuale, quasi priva di valore. Nel senso che costava poco, essendo destinato ad acquirenti umili. Non particolarmente complesso. Si trovava dappertutto. Chiunque ne possedeva più d'uno e l'avrebbe, senza grande difficoltà, imprestato o regalato a richiesta di chi ne avesse avuto esigenza.

Quindi, anche questa accezione potrebbe aver contribuito all'espressione stessa, quasi a dire: "Dal nulla al ...".

Il mio contributo, per ciò che può valere, si ferma qui.

P.S. In realtà, mi viene in mente anche l'associazione al concetto del risparmio, della parsimoniosità: "(Lei, lui) conserva tutto, anche gli aghi spuntati". E, risparmiando risparmiando...
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