Italiano e fiorentino argenteo

Spazio di discussione dedicato alla storia della lingua italiana, alla sua evoluzione e a questioni etimologiche

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Marco1971
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Italiano e fiorentino argenteo

Intervento di Marco1971 »

Nel suo saggio del 1967 Italiano e fiorentino argenteo (Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, Roma, Salerno Editrice, 1980, tomo I, pp. 17-35) Arrigo Castellani mostra come «il fiorentino posteriore al Boccaccio», che chiama argenteo (contrapposto a quello aureo, di matrice trecentesca), «sia responsabile di vari tratti fonetici, morfologici e sintattici dell’italiano d’oggi».

Ne propongo qui una sintesi.
  1. Il tipo trecentesco brieve, pruova (dittongamento di è e ò in sillaba libera) passa a breve, prova.
  2. L’antico ragghiare, tegghia si palatalizza in ragliare, teglia.
  3. Le forme dea(no), stea(no) diventano dia(no), stia(no).
  4. I numerali aurei diece, dicessette, dicennove, milia si trasformano in dieci, diciassette, diciannove, mille.
  5. Domane e stamane (benché quest’ultima forma si sia conservata) si mutano in domani e stamani.
  6. Il tipo lo mi è soppiantato da me lo; similmente, al posto dell’antico invariabile gliele si hanno le forme glielo, gliela, ecc.
  7. Si abbandona la trecentesca ciriegia, che diviene ciliegia; e all’aureo pippione s’è sostituito l’argenteo piccione.
  8. Sopra, che nel Trecento non determinava il raddoppiamento, diventa cogeminante intorno al Quattro-Cinquecento: sopracciglio, sopraffare, sopraggiungere.
  9. Si monottonga uo dopo palatale: fagiolo, gioco, figliolo (anticamente fagiuolo, giuoco, figliuolo).
  10. La prima persona dell’imperfetto indicativo prende –o invece che –a (io era –> io ero, ecc.).
  11. Si sostituiscono le forme dell’imperativo di dare, fare, stare, andare con le forme corrispondenti dell’indicativo (dai/da’ in luogo di da cogeminante, che però conserva la cogeminazione con le enclitiche [dammi]).
  12. L’antica pronuncia delle lettere dell’alfabeto (a, be, ce, de...) passa a (a, bi, ci, di...).
  13. Si diffonde la costruzione noi si fa (anche presso scrittori settentrionali, come Pavese, ad esempio) per noi facciamo.
Questo per rispondere a chi sostiene che «la nostra lingua, ricondotta dal Bembo e dalla Crusca ai modelli dell’aureo Trecento, rispecchierebbe solo in minima parte gli sviluppi del fiorentino piú tardo».
Bue
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Re: Italiano e fiorentino argenteo

Intervento di Bue »

Marco1971 ha scritto:9. Si monottonga uo dopo palatale: fagiolo, gioco, figliolo (anticamente fagiuolo, giuoco, figliuolo).
Ma allora il fu Paolo Valenti, che in Novantesimo Minuto parlava sempre di giuoco e fuorigiuoco, era un trecentista aureo!!!
E anche mia nonna, che diceva "Nel nome del Padre, del Figliuolo (pron. "filvòlo") e dello Spirto Santo àme".
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Paolo Valenti e la tu’ nonna, sicuramente, risentivano o della lingua aulica o del sostrato dialettale: tali forme con -uo- defunsero, se non erro, nell’Ottocento, con sporadiche riprese qua e là.
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arianna
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Intervento di arianna »

Grazie, Marco, per averci riportato una sintesi del saggio di Castellani! Très intéressant :wink:
Felice chi con ali vigorose
le spalle alla noia e ai vasti affanni
che opprimono col peso la nebbiosa vita
si eleva verso campi sereni e luminosi!
___________

Arianna
Bue
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Intervento di Bue »

Marco1971 ha scritto:Paolo Valenti e la tu’ nonna, sicuramente, risentivano o della lingua aulica o del sostrato dialettale: tali forme con -uo- defunsero, se non erro, nell’Ottocento, con sporadiche riprese qua e là.
Del sostrato dialettale dubito, nel caso della mi' nonna. In mantovano figlio si dice con l'equivalente di "figliolo" ma è "fiöl",
la U non c'è. Se parlava in italiano, mia nonna dovendo tradurre "l'è 'l fiöl ad mè fiöla" diceva " è il filio di mia filia",
l'espressione "figliuolo" era cristallizzata nella formula del segno di croce, imparata a memoria come una volta si imparavano le preghiere in latino senza capire cosa dicessero.

Paolo Valenti dic(iu)eva giuoco perché gli sembrava più italiano è più elegante. La carabinieresca tradizione è mantenuta da quasi tutti i commentatori sportivi, che usano "giungere" invece di "arrivare", "terminare" invece di "finire" ecc.: Esempio: "il giuocatore Tal dei tali termina a terra in seguito a un fallo".
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Bue ha scritto:Paolo Valenti dic(iu)eva giuoco perché gli sembrava più italiano è più elegante. La carabinieresca tradizione è mantenuta da quasi tutti i commentatori sportivi, che usano "giungere" invece di "arrivare", "terminare" invece di "finire" ecc.: Esempio: "il giuocatore Tal dei tali termina a terra in seguito a un fallo".
E che cosa ho detto prima? Influsso della lingua aulica (che, nel caso di giuocatore, contraddice l’aulicissimo principio del dittòngo mobile).

P.S. What did we say about whining? No whining! :mrgreen:
Andrea Russo
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Re: Italiano e fiorentino argenteo

Intervento di Andrea Russo »

Marco1971 ha scritto:Questo per rispondere a chi sostiene che «la nostra lingua, ricondotta dal Bembo e dalla Crusca ai modelli dell’aureo Trecento, rispecchierebbe solo in minima parte gli sviluppi del fiorentino piú tardo».
Bembo riprese il fiorentino del Trecento per costruire un primo modello di lingua normata, ma fu impossibile ignorare il fiorentino dell'uso vivo del Cinquecento, come dimostra la lista che è stata qui riportata.
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.Silvia.
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Re: Italiano e fiorentino argenteo

Intervento di .Silvia. »

Bue ha scritto: Ma allora il fu Paolo Valenti, che in Novantesimo Minuto parlava sempre di giuoco e fuorigiuoco, era un trecentista aureo!!!
E anche mia nonna, che diceva "Nel nome del Padre, del Figliuolo (pron. "filvòlo") e dello Spirto Santo àme".
Paolo Valenti era del 1922, e Mike Bongiorno del 1924. Anche Bongiorno aveva tale abitudine.
A te ricorro; e prego ché mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire,
S'io tentassi da me, sarebbe vano.
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.Silvia.
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Intervento di .Silvia. »

Bue ha scritto: Del sostrato dialettale dubito, nel caso della mi' nonna. In mantovano figlio si dice con l'equivalente di "figliolo" ma è "fiöl", la U non c'è. Se parlava in italiano, mia nonna dovendo tradurre "l'è 'l fiöl ad mè fiöla" diceva " è il filio di mia filia", l'espressione "figliuolo" era cristallizzata nella formula del segno di croce, imparata a memoria come una volta si imparavano le preghiere in latino senza capire cosa dicessero.
All'epoca però circolavano dei libricini di preghiere in cui si usava la forma "iuo". Io stessa ne ho visti e ne possiedo uno, che però al momento non trovo nella mia biblioteca.
A te ricorro; e prego ché mi porghi mano
A trarmi fuor del pelago, onde uscire,
S'io tentassi da me, sarebbe vano.
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Alcuni tratti arcaici dell'italiano aureo sembrano avere influssi meridionali. Potrebbe essere l'influenza della poesia siciliana? che il mio libro di letteratura considera come prima corrente letteraria importante in «lingua italiana», ancora prima di Dante.
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

SinoItaliano ha scritto:Alcuni tratti arcaici dell'italiano aureo sembrano avere influssi meridionali.
Quali? Si tratta di fenomeni comuni all'italo-romanzo del tempo. Sono caratteristiche diffuse in tutta la penisola (sotto la linea Massa–Senigallia) e in Corsica (alla quale bisogna aggiungere la Sardegna settentrionale).
SinoItaliano ha scritto:Potrebbe essere l'influenza della poesia siciliana?
Direi di no.
SinoItaliano ha scritto:…che il mio libro di letteratura considera come prima corrente letteraria importante in «lingua italiana», ancora prima di Dante.
Sì, è vero, ma non lo dica agli indipendentisti (o autonomisti) siciliani: per loro il siciliano è una lingua distinta dall'italiano di base toscana-mediana. :wink:
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SinoItaliano
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Intervento di SinoItaliano »

Carnby ha scritto:Quali? Si tratta di fenomeni comuni all'italo-romanzo del tempo. Sono caratteristiche diffuse in tutta la penisola (sotto la linea Massa–Senigallia) e in Corsica (alla quale bisogna aggiungere la Sardegna settentrionale).
Ha ragione. Alcuni tratti come i dittonghi, oggi appaiono come meridionali, ma erano comuni anche altrove in Italia.
Però tegghia e ragghia mi paiono molto meridionali. :)
SinoItaliano ha scritto:Sì, è vero, ma non lo dica agli indipendentisti (o autonomisti) siciliani: per loro il siciliano è una lingua distinta dall'italiano di base toscana-mediana. :wink:

Io ho visto il contrario... siciliani [non indipendentisti] che citando la poesia siciliana, sostengono che l'italiano derivi non dal toscano ma dal siciliano.

E come mai il siciliano, pur essendo la terra più lontana, è la lingua regionale meridionale più simile al toscano e quindi all'italiano?
Questo di sette è il piú gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Pugnator
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Intervento di Pugnator »

E come mai il siciliano, pur essendo la terra più lontana, è la lingua regionale meridionale più simile al toscano e quindi all'italiano?
Debbo dissentire, il siciliano (che tra l'altro ha milioni di varianti spesso incomprensibili tra loro) è completamente distante dal toscano, le presunte somiglianze tra alcune poesie e il siciliano son dovute al fatto che i principali trascrittori e copiatori delle poesie siciliane erano i toscani che avean la cattiva nomea di trascrivere male o "correggendo" a loro modo gli scritti. Inoltre devi considerare che il siciliano aulico del '200 era molto diverso da quello popolare e volutamente latineggiante e pomposo (per questo preso in giro dagli stessi siciliani).
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Pugnator ha scritto:Debbo dissentire, il siciliano (che tra l'altro ha milioni di varianti spesso incomprensibili tra loro) è completamente distante dal toscano, le presunte somiglianze tra alcune poesie e il siciliano son dovute al fatto che i principali trascrittori e copiatori delle poesie siciliane erano i toscani che avean la cattiva nomea di trascrivere male o "correggendo" a loro modo gli scritti.
Direi di no, la «somiglianza» tra toscano, veneto e siciliano è reale ed è dovuto al fatto che le varianti più conosciute di questi idiomi (fiorentino, veneziano ecc.) sono particolarmente conservative, cioè meno distanti rispetto al latino di altre parlate italoromanze più innovative come emiliano o lucano.
Pugnator
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Intervento di Pugnator »

Carnby ha scritto:
Pugnator ha scritto:Debbo dissentire, il siciliano (che tra l'altro ha milioni di varianti spesso incomprensibili tra loro) è completamente distante dal toscano, le presunte somiglianze tra alcune poesie e il siciliano son dovute al fatto che i principali trascrittori e copiatori delle poesie siciliane erano i toscani che avean la cattiva nomea di trascrivere male o "correggendo" a loro modo gli scritti.
Direi di no, la «somiglianza» tra toscano, veneto e siciliano è reale ed è dovuto al fatto che le varianti più conosciute di questi idiomi (fiorentino, veneziano ecc.) sono particolarmente conservative, cioè meno distanti rispetto al latino di altre parlate italoromanze più innovative come emiliano o lucano.
Non conoscendo approfonditamente il veneto non posso esprimere la mia opinione ma per quanto riguarda il siciliano dobbiamo essenzialmente fare delle distinzioni tra il siciliano popolare/volgare e quello poetico/colto. Come disse anche Dante nel suo "De Vulgari Eloquentia" (che però a causa dell'imparzialità e di vari errori presenti nello stesso non considero fonte attendibile) il siciliano colto e quello popolare sono molto differenti, pur se entrambi "conservatori", e si distinguono principalmente per la maggior penuria di latinismi nel siciliano popolare; inoltre ricordo che questo è dovuto anche al fatto che in Sicilia non si passò direttamente dal latino a una lingua neolatina ma si ebbe per prima una fase semantica con la lingua siculo-araba oramai sopravvissuta solamente nella sua variante/dialetto maltese (che credo debba considerarsi forma principale in quanto unica variante attualmente parlata).
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