Etimologia di «perso» (colore)

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Ferdinand Bardamu
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Re: Etimologia di «perso» (colore)

Intervento di Ferdinand Bardamu »

PaDaSu ha scritto:E' quindi possibile che "perso" significhi un colore prossimo al nero ma con sfumatura altrettanto scura.
Il fatto che tale sfumatura possa essere stata sia rossa o sia blu, probabilmente dipendeva da usi e costumi locali.
Le glosse di Reichenau fanno corrispondere persas a iacinctinas (class. hyacinthinas, acc. f. plur.), ossia ‹del colore del giacinto› (violetto, blu scuro).

È possibile che la sfumatura variasse da regione a regione; tuttavia, una certa ambiguità è già presente nello stesso colore viola, che può essere piú o meno rossiccio secondo il livello di rosso.
Brazilian dude
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Intervento di Brazilian dude »

si trova persego e persegaro = persico, pesco e persicum come nome del frutto proveniente dalla Persia, ma null'altro.
Interessante. Pesca (il frutto) in portoghese si dice pêssego.
Jonathan
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Re: Etimologia di «perso» (colore)

Intervento di Jonathan »

Ferdinand Bardamu ha scritto:È possibile che la sfumatura variasse da regione a regione; tuttavia, una certa ambiguità è già presente nello stesso colore viola, che può essere piú o meno rossiccio secondo il livello di rosso.
Esattamente. Trattandosi di un color porpora molto scuro, come confermato anche dal DEO, è inoltre possibile che alcuni ne registrassero soprattutto la nota rossa e altri quella blu; questo di là dalle possibili variazioni della sfumatura da regione a regione [fate vedere a due bravi pittori lo stesso identico colore e ve lo descriveranno in maniera diversa].
Ultima modifica di Jonathan in data lun, 29 ott 2012 7:16, modificato 1 volta in totale.
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caixine
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Intervento di caixine »

Jonathan ha scritto: Trattandosi di un color porpora molto scuro, come confermato anche dal DEO, è inoltre possibile che alcuni ne registrassero soprattutto la nota rossa e altri quella blu; questo di là dalle possibili variazioni della sfumatura da regione a regione [fate vedere a due bravi pittori lo stesso identico colore e ve lo descriveranno in maniera diversa].
Nel latino tardo, il colore porpora è detto anche blatta; vedasi la voce blattarius = oscuro.
Blatta, nella lingua italiana è il nome dello scarafaggio, delle piattole; blatta(m) in latino mi pare significhi anche tignola.

Ed è in questo ambito che forse acquista più senso l'ipotesi etimologica di G. Semerano.

Note:
Porpora
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

caixine ha scritto:Nel latino tardo, il colore porpora è detto anche blatta; vedasi la voce blattarius = oscuro.
Blatta, nella lingua italiana è il nome dello scarafaggio, delle piattole; blatta(m) in latino mi pare significhi anche tignola.

Ed è in questo ambito che forse acquista più senso l'ipotesi etimologica di G. Semerano.
A parte che non m'è ben chiaro lo sviluppo da una sequenza bl…t a una p…r…s, a me pare che non si tenga conto di quanto s'è detto sopra, cioè che:
  • persus con ogni probabilità deriva da persĭcus come poenus da poenĭcus
  • le vesti di color perso, in antichità, provenivano dalla Persia
In piú, anche se facessimo risalire persus a pressus, con metatesi, non ci sarebbe legame con l'insetto, ché pressus è il participio passato, in funzione aggettivale, di prĕmo. Potrebbe quindi spiegare come, secondo lei, l'«ipotesi etimologica di G. Semerano» si collega con l'ipotesi di derivazione da un nome geografico?

P.S. Blattarius non significa affatto ‹oscuro›. È un aggettivo di relazione: ‹relativo alle blatte›. Solo in unione con balneum, può voler dire ‹buio›, in un certo senso, perché le blatte evitano la luce. Che non significhi propriamente ‹oscuro› si può ricavare da questo brano di Seneca: «In hoc balneo Scipionis minimae sunt rimae magis quam fenestrae muro lapideo exsectae, ut sine iniuria munimenti lumen admitterent; at nunc blattaria vocant balnea, si qua non ita aptata sunt, ut totius diei solem fenestris amplissimis recipiant…» (Sen. Ep. 86, 7) [‹In questo bagno di Scipione, piú che vere e proprie finestre, ci sono fessure ricavate nel muro di pietra, acciocché la luce possa entrare senza rovinare la struttura; ma questi li chiamano bagni da blatte se non son cosí fatti da far filtrare la luce del sole attraverso amplissime finestre…›].

In Plinio c'è una spiegazione «scientifica» di quanto detto sopra («e contrario tenebrarum alumna blattis vita, lucemque fugiunt in balinearum maxime umido vapore prognatae», ‹d'altra parte, le blatte ricercano i posti bui, e fuggono la luce: si riproducono soprattutto nei bagni, dagli umidi vapori che di colà esalano›, Nat. Hist. 11, 28, 34, § 99), e poi l'attestazione dell'aggettivo blattarius: «Est similis verbasco herba, quae saepe fallit pro ea capta, foliis minus candidis, cauliculis pluribus, flore luteo. haec abiecta blattas in se contrahit ideoque Romae blattaria vocatur» (Plin. Nat. Hist. 25, 9, 60, § 108) [‹C'è una pianta che assomiglia molto al verbasco, sicché quella è sovente còlta al posto di questa per errore. Le sue foglie, però, non son cosí bianche; ha numerosi steli; il fiore è giallo. Se gettata a terra, questa pianta attrae le blatte, e per questo motivo a Roma la chiamano blattaria›]. Insomma, la caratteristica dell'«oscurità» piú che alla blatta e alla sua livrea è semmai dovuta alle abitudini di questo insetto.
Ultima modifica di Ferdinand Bardamu in data lun, 29 ott 2012 10:53, modificato 1 volta in totale.
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Il problema (scientificamente serissimo) delle proposte di Semerano è che sono fornite senza un minimo di documentazione storica che tracci l'evoluzione della parola da un presunto etimo accadico a uno latino o italiano moderno. Per fare un esempio che abbiamo già trattato, siccome San(to) Stino mi può far pensare a un ipocoristico di Agostino, ecco che, ignorando tutte le fasi intermedie che testimoniano che deriva invece da Στέφανος, lo riallaccio al latino Augustīnus. E sempre andando per «impressioni», la prima volta che ho letto aere perso in Dante, dato che la scena era ambientata all'Inferno, ho pensato che volesse dire «aria perduta», (ricordandomi bene della «perduta gente»), atmosfera buia e senza speranza di miglioramento di quella condizione.
PaDaSu
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Re: Etimologia di «perso» (colore)

Intervento di PaDaSu »

Credo possibile che il colorante usato fosse il folium impiegato unicamente per le stoffe ed i codici miniati (Ricettario di Eraclio - X secolo e Teofilo - De diversis artibus - XII secolo)
È un colorante rosso estratto dal succo di fiori e frutti di una pianta euforbiacea originaria dell’Oriente, appartenente alla specie Crozophora tinctoria il cui succo varia dal rosso-bruno (folium) al rosso violaceo (folium purpureum) al viola bluastro (folium saphireum).
Successivamente fu chiamato anche tornasole come anche l'oricello fermentato: il che ingenerò confusione.
Il folium cambia colore a seconda del PH della soluzione: è rosso in una acida, porpora in una neutra, blu in una alcalina. Come la cosiddetta "cartina di tornasole".
E' possibile che il folium non fosse troppo coprente e che quindi doveva essere mischiato a tannini di facile reperimento quali quelli provenienti dal castagno e dalla querce.
domna charola
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Intervento di domna charola »

Analogamente alla porpora ricavata dai molluschi: già Plinio segnala che cambiando le condizioni del bagno può dare sia un rosso porpora (che era appunto violaceo) sia un blu pieno. Ovviamente Plinio non parla di acidi e basi, ma si riferisce a questo; ora non ho sotto mano il testo e preferisco evitare imprecisioni sulla chimica di queste molecole tintorie, però il discorso è ben sviluppato ad esempio in P. Ball, 2006 - Colore: una biografia, BUR

Per quanto riguarda il "perso" medievale, il colore è esplicitamente definito in vari documenti come ottenibile dal bagno nel guado (Isatis tinctoria) e successivamente nella robbia (Rubia tinctorum) o nel verzino/brasile (Caesalpinia sp.)
Il risultato che ne vien fuori dovrebbe essere un blu-viola, decisamente più spostato verso i blu almeno per la sensibilità dell'uomo medievale, che come tale lo cataloga.
Il collegamento con la Persia potrebbe anche essere dovuto al fatto che, prima dell'uso del guado - che si diffonde dall'XI secolo in poi, in quanto meno costoso essendo di coltivazione locale - il colorante per il blu era Indigofera, l'indaco, di provenienza da oriente, che contiene la medesima molecola (C16H10N2O2) di Isatis.
Indigofera dà però un colore blu molto più intenso e persistente, di qualità superiore rispetto a quello che si ottiene da Isatis.

Quindi può essere, secondo me, che per riferirsi a quella tonalità di blu intenso che era caratteristica dei tessuti provenienti da oriente (indicato come Persia poiché i prodotti nel Medioevo potevano prendere la denominazione di provenienza dal mercato su cui erano acquistati), si parlasse appunto di "blu persiano", dato che nelle tintorie nostrane il blu puro e semplice che saltava fuori aveva invece componenti verdastre (qui si apre un discorso anche sulla composizione del colore finale, che risentiva della base giallastra o grigiastra di stoffe non compiutamente sbiancate).

Comunque la parentela fra la molecola dell'indaco e il dibromo-indaco che invece si forma quando si vuole tirar fuori la porpora-rossa deve essersi mantenuto anche nei coloranti sintetici attuali, dato che se butto in acqua calda certi tessuti blu scuro, per restringerli prima di lavorarli e per eliminare il colore in eccesso, l'acqua si tinge di rosso ciliegia, e non di blu...

Quanto all'ipotesi perso = nero o nerastro, il nero medievale era il risultato anch'esso di ripetuti bagni nelle succitate materie tintorie, cioè i coloranti base per il rosso e per il blu; questo nel caso del nero "da ricchi", intenso e luminoso, quello cioè che diviene di moda nel '400.
Il nero "povero", invece, cioè quello dei monaci e dei penienti, era un non-colore, e veniva ottenuto con i tannini delle galle di noce, che combinandosi a sali di ferro producevano tannati di ferro scuri, brunastri e in genere polverosi, poco stabili.
Quindi, anche a dare al termine un'accezione di "nero", si ricade sempre in un nero che è in realtà un blu privo di giallo e portato all'estremo, tanto da sembrare nero.
Ottavio
Interventi: 2
Iscritto in data: lun, 29 apr 2013 15:38

Ancora sul color perso - il colore di rimonta

Intervento di Ottavio »

Buongiorno a tutti.

Mi riferisco alla seguente affermazione: "Per quanto riguarda il "perso" medievale, il colore è esplicitamente definito in vari documenti come ottenibile dal bagno nel guado (Isatis tinctoria) e successivamente nella robbia (Rubia tinctorum) o nel verzino/brasile (Caesalpinia sp.)".

Domna Charola o qualcun altro gentilmente sa 1) in quali documenti sono citate ricette per produrre il perso; 2) se il perso si può ottenere anche al contrario, cioè tingendo col guado una stoffa rossa; 3) se nel medioevo esisteva la pratica di portare a tingere una stoffa neutra prima da un tintore (mettiamo di robbia), poi da un altro (mettiamo di guado); 4) se esiste una bibliografia specifica sul perso nel medioevo.

Nelle mie ricerche ho incontrato inoltre l'interessante concetto di "colore di rimonta", che nel caso del perso dovrebbe essere il nero. Se ho inteso bene, avendo a disposizione una stoffa rossa e immergendola in un bagno di guado, succede che il nero appunto "rimonta" a chiazze sulla stoffa e solo dopo più bagni la colora uniformemente di nero; poiché a "perdersi" è il colore sottostante, il fenomento in qualche modo potrebbe essere collegato all'uso della parola che fa Dante.

Grazie
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Zabob
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Iscritto in data: sab, 28 lug 2012 19:22

Intervento di Zabob »

Brazilian dude ha scritto:Pesca (il frutto) in portoghese si dice pêssego.
Nell'estremo ponente ligure (il Passero solitario confermerà) il pèsco si chiama pèrsegu. Come non citare la maggiorana, in Liguria (e non solo) chiamata pèrsa (cfr. Decameron)?
Oggi com'oggi non si sente dire dieci parole, cinque delle quali non sieno o d'oltremonte o nuove, dando un calcio alle proprie e native. (Fanfani-Arlìa, 1877)
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u merlu rucà
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Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41

Intervento di u merlu rucà »

Confermo.
domna charola
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Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Intervento di domna charola »

Ad esempio, riferito all'industria laniera fiorentina, che nel '300 si specializza nella tintura di panni raffinati importati da Fiandre e Brabante (subito dopo inizia ad importare direttamente la lana inglese e li produce in loco), così in Hoshino, 2001 (La tintura di grana nel basso Medioevo. in : H. Hoshino, Industria tessile e commercio internazionale nella Firenze del tardo Medioevo, 2001, Olschki):

"In genere i panni pregiati dovevano essere tinti in due fasi. Nella fase di preparazione della lana erano tinti con colore di tipo blu-azzurro, colore base per tutte le variazioni successive. A tale proposito, la gradazione dell'intensità di "blu-azzurro" può essere espressa con i seguenti termini mercantili di Firenze:

chiaro----------------------------------------------------------------------------------------------------------> pieno
(bianco), allazzato, turchino, turchino al dritto, turchino riforbito, turchino a due volte,sbiadato, cilestrino, azzurrino, perso."

e cita come fonti:
"BRF, Codice 2580, cc. 14av, 141v-142v.
Cfr. Rebora, Un manuale di tintoria; ASF, Libri di commercio."

Il Rebora appunto è un'altra fonte importante per questo periodo.

In genere ho sempre letto che la tintura in blu si fa prima, anche per i verdi si parla di "impiumaggio con il guado" e solo dopo si passa al giallo, non viceversa. Non so se sia dovuto alla sostanziale differenza chimica fra la tintura al tino e quelle normali.
Cioè, può essere che le prime resistano ad altre bolliture e tinture successive, mentre se prendo un tessuto già tinto e lo passo nel guado forse il ph del trattamento - che è specifico solo per questo colorante - danneggia il colore precedente o lo fa virare... non so, servirebbe un chimico.

Comunque, è evidente che il perso è considerato nella gamma dei blu, e dei blu provenienti da una sola tintura.
Noto inoltre - non ci avevo mai fatto caso - che prima del perso c'è il turchino, che fa pensare ad un'altra derivazione geografica del nome. Sarebbe da indagare se ci sia qualche riferimento alle terre turche.
Ottavio
Interventi: 2
Iscritto in data: lun, 29 apr 2013 15:38

Intervento di Ottavio »

Grazie per i preziosi consigli! Che io sappia, il turchino prende il nome da un marmo africano (cfr. http://www.etimo.it/turchino); consulterò comunque un libro di tintura sul discorso delle terre turche.

Agli inizi della carriera di Dante il perso è probabilmente un blu scuro: in Fiore LVI 12 "Allor sì la [la sua donna] vedrà palida e persa" si può pensare a "persa" come francesismo in dittologia sinonimica ("palida e persa" = "pallida e cupa", "terrea"). Questa accezione di "persa" però, se è giusta, resterà "completamente isolata tanto nella lingua di Dante che in quella dei testi coevi" (Enciclopedia Dantesca). Per ritrovarla che io sappia si va al 1385-1395 con Francesco da Buti su Inf. VII: "Perso è biadetto obscuro".

Che il perso però sia legato anche al rosso (secondo una ricetta che vorrei capire) sta sempre in Dante: "Lo perso dal nero discende... Lo perso è uno colore misto di purpureo e di nero, ma vince lo nero, e da lui si dinomina" (Convivio IV XX 2); ma cfr. anche Inf. V: "O animal grazïoso e benigno / che visitando vai per l'aere perso / noi che tignemmo il mondo di sanguigno". I rossi sprofondati in questo perso sembrano perciò ben due: il sanguigno ("che è colore cardinalesco", Ottimo) e il purpureo. Per entrambi si può escludere la produzione dai murici della porpora (procedimento nel '300 caduto in disuso); penserei piuttosto al rosso garanza o da chermes.

Il mio dubbio è allora sempre lo stesso: se il perso è anche "misto di purpureo e nero, ma vince lo nero", potrebbe essere che nel medioevo certi panni rossi venissero ritinti di blu e vedessero per reazione chimica apparire il nero fino a far scomparire il rosso? In questo modo alla fine ci sarebbe un nero con sfumatura rosse di cui parla il Convivio.
Alcuni esperti di tintura mi dicono che è tecnicamente possibile; tuttavia non ho supporti bibliografici per l'epoca di dante (studi moderni, ricette medievali, ecc.). In mancanza di altre indicazioni proverò a consultare i testi indicatimi da domna charola.
domna charola
Interventi: 1632
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Intervento di domna charola »

Molti panni blu attuali, quando vengono bagnati in acqua calda prima di lavorarli (sia per eliminare il restringimento al lavaggio successivo, sia per togliere via il colore in eccesso), lasciano l'acqua della vasca di un rosso acceso.
Esiste tutta una serie di molecole coloranti, sia di sintesi che naturali, che condividono questa caratteristica; fra le naturali c'è ad esempio il dibromoindaco, che se perde le due molecole di bromo - per esposizione alla luce prima che venga fissato sul tessuto - diviene indaco e vira dal porpora-rosso al blu.
Con i molluschi avviene una cosa simile in termini chimici.
Plinio parla dell'uso di molluschi diversi - identificati oggi, pare, come i generi Murex e Thais - che venivano usati uno per tingere di rosso porpora, e successivamente l'altro per avere una porpora più bluastra. E cita anche la "schiuma di porpora" che assomiglia all'indaco e che si forma alla sommità delle tinozze dei tintori... anche in questo caso, quindi, nella zona più esposta.

La garanza o robbia dà dei rossi aranciati, mattone, o comunque con una componente di giallo, in funzione della temperatura del bagno (oltre che della qualità della pianta). Il rosso del chermes invece è un altro colore, non ha quasi giallo dentro.

Resta poi la questione nomenclaturale e la percezione psicologica dei colori. Nel Medioevo "nero" è un colore non-colore che va dal bruno scuro al grigio pantegana bagnata al blu cupo. Pasoreau (Medioevo simbolico, Laterza) dice addirittura che il nero è un concetto mentale, al quale ci si avvicina con tutti i possibili colori molto scuri.
Quindi cercare il fantomatico "nero" dei testi antichi diventa ancora più difficoltoso. Probabilmente si intende che il colore è così cupo e difficilmente catalogabile, da essere percepito come "nero".
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