Indovinello veronese e latino volgare

Spazio di discussione dedicato alla storia della lingua italiana, alla sua evoluzione e a questioni etimologiche

Moderatore: Cruscanti

Avatara utente
caixine
Interventi: 139
Iscritto in data: sab, 24 dic 2005 8:31
Località: Montecio Bregansin (VI)
Info contatto:

Indovinello veronese e latino volgare

Intervento di caixine »

Citazione, dal volume di Gianfranco Cavallin, edicoes Est, Porto Allegre (2001) intitolato ESISTE LA LINGUA VENETA?

Nel 1969 il prof. Tagliavini nel suo "Le Origini delle Lingue Neo Latine" spiegò che il primo documento scritto in lingua volgare non era il Giuramento del Placito Capuano dell'anno 960 ma un indovinello scritto in Lingua Veneta a Verona tra gli anni 700 e gli anni 800.

Il documento capuano è un placito emesso dal giudice Arechisi nel marzo 960 per definire una contesa fra il monastero di Montecassino e Rodelgrimo d'Aquino. Il Placito è scritto in Latino ma la testimonianza dei Padri Benedettini viene riprodotta con le stesse parole della Lingua Volgare usata dai Padri: — "sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti" (So che quelle terre, per quei confini che li contiene, trenta anni le possedette parte di Santo Benedetto).

Questo era sempre stato considerato il primo documento scritto in Lingua Volgare, ma nel 1969 il Tagliavini dimostrò che il primo documento in Volgare era invece veneto e, precisamente, l'indovinello veronese: "Se pareba boves, alba prataglia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba". Oggi, dopo milleduecento anni, la Lingua è ancora la stessa e ben conservata e un bambino che parlasse in buon Veneto direbbe più o meno:— "El se parava i bo', bianchi prà el arava, bianco versor el tegneva, nera semensa el semenava" (Spingeva avanti i buoi, bianchi prati arava, bianco aratro teneva, nero seme seminava).

L'indovinello si riferisce allo scrivere su carta bianca ove i "bo" (i buoi) sono i fogli di carta che vengono girati per essere scritti (o meglio le dita), i "bianchi prati" sono i fogli bianchi che vengono "arati" ossia scritti con il pennino che, dove passa, lascia il segno esatta-mente come l'aratro che dove passa lascia un segno, l'aratro bianco" è appunto il pennino bianco che scrive, il nero seme è l'inchiostro che viene "seminato" ossia lasciato sul foglio: "Si tratta di un indovinello veronese [...] del secolo VIII o al più tardi del IX [...] indovinello si, non però di origine popolare, ma erudita, e non in latino volgare, ma in schietto volgare [...] che il nostro frammento sia veneto è assolutamente sicuro. Basterebbe per provarlo la forma «VERSORIO» che deriva da «VERSORIUM», che corrisponde al «VERSOR» (aratro) del Veneziano, Padovano, Veronese, e Bellunese (parola veneta introdottasi anche nel latino; anche il latino come daltronde ogni lingua umana, è pieno di prestiti da altre lingue). «VERSORIUM» occupa tutto il territorio veneto, veneto-ladino, e friulano, e penetra parzialmente in Emilia (in ferrarese: «VARSUR»). Per «ARATRO» in Italia nord-occidentale domina il tipo «PLOVUM» (in piemontese si dice «Plov») [...] «PARARE» nel senso di spingere i buoi è diffuso in alta Italia; la parola «ALBUS» non vive più nel Veneto sostituita dalla parola germanica «BLANK» da cui «BIANCO», «ALBUS» vive solo nella toponomastica al pari della parola «PRATAGLIA» da cui derivano Praglia in provincia di Padova, Pradaia in provincia di Trento" (C. TAGLIAVINI, Le Origini delle Lingue Neolatine, Bologna, 1969, pp. 524-9, 526 nota 130).


Qualcuno ha scritto:

Con la fine dell’organizzazione politica ed economica dell’impero romano, il latino si scinde in tante minuscole unità quanto sono le comunità. Ma tutti sono convinti di continuare a parlare latino, anche se i pochi che scrivono lo scrivono in modo sempre piú sgrammaticato. Questo stato di cose dura tre secoli, fino a Carlo Magno. La ripresa dell’insegnamento scolastico restituisce un certo ordine alla lingua scritta, ma rivela anche a tutti la distanza che la separa da quella parlata. Il Concilio di Tours (IX secolo) in Francia impone ai preti di predicare in volgare. Anche in Italia, col IX secolo, si può affermare che esiste la lingua italiana, anzi: tante lingue italiane.

Un testo questo che segnala, più che una grande e comprensibile ignoranza, idiozia pura!
Ultima modifica di caixine in data mar, 17 ott 2006 6:47, modificato 1 volta in totale.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Per chi desideri approfondire la questione, segnalo queste due pagine:

Dal latino al volgare;

Indovinello veronese.
Avatara utente
bubu7
Interventi: 1454
Iscritto in data: gio, 01 dic 2005 14:53
Località: Roma
Info contatto:

Intervento di bubu7 »

caixine ha scritto:Nel 1969 il prof. Tagliavini nel suo "Le Origini delle Lingue Neo Latine" spiegò che il primo documento scritto in lingua volgare non era il Giuramento del Placito Capuano dell'anno 960 ma un indovinello scritto in Lingua Veneta a Verona tra gli anni 700 e gli anni 800.
Tagliavini spiegò proprio il contrario: che l’indovinello veronese non si poteva veramente considerare un testo scritto in lingua volgare.

Egli dice in apertura di trattazione (p. 524):
Vi sarebbe però un documento anteriore [ai Placiti capuani], se pur esso può ritenersi schiettamente volgare.
E in conclusione d’esposizione (p. 527):
Tutto sommato, ho creduto necessario elencare questo indovinello veronese come primo testo del volgare italiano, ma la mia impressione […] è che questo testo non sia ancora del tutto volgare, ma «semivolgare»…
Concordo col Monteverdi nel ritenere l’indovinello di origine dotta […] ma non sono del tutto d’accordo nel ritenere che l’autore abbia qui usato il volgare materno. Penso piuttosto che l’indovinello sia nato in un ambiente di scolari (certo chierici) e composto in quel latino semivolgare che doveva essere, nel Medioevo, il mezzo di comunicazione fra i condiscepoli non troppo sicuri della grammatica e del lessico latino.
In maniera ancora più recisa negano lo status di primo documento volgare all’indovinello veronese il Devoto (Il linguaggio d’Italia) e il Migliorini (Storia della lingua italiana).

Il motivo fondamentale che non fa ritenere l’Indovinello un documento volgare, oltre alle analisi stilistiche, è quello spiegato dal Tagliavini: non traspare in esso la volontà di produrre un documento volgare quanto piuttosto una difficoltà nel maneggiare la grammatica latina. Cioè l’autore voleva scrivere in latino ma non c’è riuscito per ignoranza e ha trovato soccorso nella lingua materna.
Molto diverso è il caso dei Placiti in cui il notaio riporta volutamente delle frasi in volgare per consentire ai testimoni (che non erano padri benedettini, come dice caixine, altrimenti avrebbero compreso il latino) di capire quello che avrebbero firmato.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Avatara utente
caixine
Interventi: 139
Iscritto in data: sab, 24 dic 2005 8:31
Località: Montecio Bregansin (VI)
Info contatto:

Intervento di caixine »

Dal Latino al Volgare
ripreso dal sito citato da Infarinato:
http://www.antelitteram.com/antologia/latino.html

1) L'italiano deriva dal latino e precisamente dal latino parlato tanto che si può quasi affermare che oggi noi parliamo una lingua che è il latino modificatosi nel tempo.

2) Beninteso, latino parlato che non era quello classico usato da Virgilio, Orazio o Cicerone, ma quello usato quotidianamente dalle persone comuni che si diversificava sia per differenze territoriali, in quanto la lingua di Roma man mano che venivano conquistati i territori si combinava con le altre lingue autoctone, sia per la differenza di alcune condizioni specifiche, a seconda che fosse parlato dai militari o dai provinciali.

3) Intercorreva tra loro la differenza che esiste oggi per esempio, tra la lingua italiana parlata da dei tifosi al bar e quella di un poeta come Montale o D'Annunzio (anche se a dir la verità, l'esempio citato tratta di due registri della stessa lingua e non di due veri e propri sistemi linguistici distinti come erano il latino classico e il latino volgare).

4) Con la caduta dell'impero romano avvenne poi che il latino parlato ando' sempre più differenziandosi dal latino scritto di origine classica usato dalla cultura e dal potere e si creo' così una sorta di bilinguismo (Devoto): da una parte il latino scritto d'origine classica usato dalla cultura e dal potere, dall'altro il latino parlato o volgare usato come strumento di comunicazione quotidiana che si trasforma continuamente e che arricchisce il suo lessico con termini che riguardano il commercio, l'agricoltura e l'attivita' manuale in generale. A un dato momento pero' l'occidente europeo prende coscienza di questa differenza tra le due lingue ed è in quel momento che la differenza si istituzionalizza e nasce il volgare.
.....................................................................................................................................................................

Considerazioni e riflessioni linguistiche a partire dal testo sovracitato
(Tutto il corsivo nello trattazione sottostante è ricavato da tale testo)


a)

Perché si abusa del termine “latino” arrivando a chiamare latino le lingue prelatine da cui deriva il latino (propriamente detto) e latine le lingue volgari postlatine o neo latine, altrimenti dette anche lingue romanze?

Perché ci si ostina a chiamare latino le lingue volgari e queste si fanno derivare da un non altrimenti definito e impropriamente detto latino volgare o meglio al plurale latini volgari, pur affermando che i volgari sono lingue diverse dal latino? ... 1) L'italiano deriva dal latino e precisamente dal latino parlato tanto che si può quasi affermare che oggi noi parliamo una lingua che è il latino modificatosi nel tempo.

Nonostante si riconosca che il latino propriamente detto è una lingua diversa dalle lingue volgari (prelatine, neolatine, romanze) quelle che erano prevalentemente parlate; ... 3)sono due veri e propri sistemi linguistici distinti come erano il latino classico e il latino volgare... .

Nonostante sia, caso mai, il latino (propriamente detto) a derivare dalle lingue precedenti al latino (prelatine o “latinidi” ossia che tendono al latino, avendolo originato) tra cui quelle che continuando ad esistere parallelamente al latino, in bocca al volgo sino ai giorni nostri, che poi son state denominate volgari o latino/i volgare/i, alcune delle quali alla fine dell’epoca romana sono “emerse” e si sono sviluppate sino a diventare lingue complesse e articolate al punto da sostituire il latino stesso come lingue franche, scritte e parlate della cultura e del potere statuale (es. l’italiano, il francese e lo spagnolo ed altre ancora come il catalano e il veneto che preme).

Nonostante si affermi che : ... 2) Beninteso, latino parlato che non era quello classico usato da Virgilio, Orazio o Cicerone, ma quello usato quotidianamente dalle persone comuni che si diversificava sia per differenze territoriali, in quanto la lingua di Roma man mano che venivano conquistati i territori si combinava con le altre lingue autoctone,...

L’unica risposta plausibile a queste domande è che per tutte queste lingue, data la loro somiglianza-affinità, avendo a disposizione sino al diciottesimo secolo, come testimonianza storica delle lingue antiche, solo documenti scritti in lingua latina (classica e non volgare), gli “studiosi” hanno ritenuto-presunto-supposto, a torto, che il latino (classico-scritto e colto) propriamente detto, fosse la prima lingua, la lingua madre, la lingua parlata da tutti.
E che per tradizione secolare, inerzia culturale, ideologia statuale e di classe, si preferisca non mutare tale impostazione che andrebbe a discapito dei poteri e degli interessi costituiti, (da sempre e ovunque la lingua è strumento di liberazione e di emancipazione politica; lo è stato anche la lingua italiana o meglio il volgare di Dante usato come arma contro l’ordine costituito, oligarchico e di casta, del suo tempo che si esprimeva in latino).

b)

Perché ci si ostina ad affermare che i volgari nascono alla fine dell’epoca romana, quando in realtà essi esistono da secoli nella loro forma orante, fin da prima del latino e ciò che nasce nel “medio evo” è soltanto la versione scritta di alcune di queste lingue e un loro uso colto e franco, in alternativa ed in sostituzione del latino (propriamente detto) con cui si esprimeva l’ordine conservatore, da parte degli uomini di “cultura” o intellettuali progressisti e poi dei nuovi uomini di potere, politici e religiosi a partire dal periodo storicamente detto rinascimento?...4) Con la caduta dell'impero romano avvenne poi che il latino parlato ando' sempre più differenziandosi dal latino scritto di origine classica usato dalla cultura e dal potere e si creo' così una sorta di bilinguismo (Devoto): da una parte il latino scritto d'origine classica usato dalla cultura e dal potere, dall'altro il latino parlato o volgare usato come strumento di comunicazione quotidiana che si trasforma continuamente e che arricchisce il suo lessico con termini che riguardano il commercio, l'agricoltura e l'attivita' manuale in generale. A un dato momento pero' l'occidente europeo prende coscienza di questa differenza tra le due lingue ed è in quel momento che la differenza si istituzionalizza e nasce il volgare...

Oltretutto questa affermazione: ... 4) Con la caduta dell'impero romano avvenne poi che il latino parlato ando' sempre più differenziandosi dal latino scritto di origine classica usato dalla cultura e dal potere e si creo' così una sorta di bilinguismo... contrasta con l’altra: ... 3) sono due veri e propri sistemi linguistici distinti come erano il latino classico e il latino volgare (in altre parole “due lingue ben distinte e parallele” già in epoca romana, quindi sin da prima del “medio evo” e della fine dell’impero romano).

b1)

Quando mai sarebbe esistita un’unica lingua parlata da tutte le genti italiche ed europee (dell’area romanizzata in cui vi era “perfetta coincidenza” tra la lingua latina classica (anche scritta) e le lingue impropriamente dette latini volgari (solo parlate) come riportato nella citazione del Devoto?
È incredibile come esimi studiosi del calibro del Devoto possano lasciarsi andare a tali indebite affermazioni.
Mai è esistita questa idealizzata coincidenza, come non esiste nell’evidenza odierna della molteplicità linguistica, ch’è ben visibile sotto gli occhi e nelle orecchie di tutti.
Oltretutto nessuno ha mai potuto dimostrarlo se non ricorrendo al dogma-domma, perché indimostrabile, in quanto non vero e assurdo, se non forse per la lingua primitiva del primo gruppo umano che centinaia di migliaia di anni fa, in Africa, ha dato inizio alla lingua umana, sempreché quest’ipotesi monogenetica sull’origine dell’uomo e della sua lingua sia quella vera!

c)

Perché, pur amettendo che le lingue volgari (tutte, dialetti compresi) sono il prodotto della combinazione del latino di Roma (quello classico e propriamente detto) con le lingue autoctone-locali-naturali e storiche dei popoli italici ed europei, (...1) L'italiano deriva dal latino e precisamente dal latino parlato tanto che si può quasi affermare che oggi noi parliamo una lingua che è il latino modificatosi nel tempo. ...2) Beninteso, latino parlato che non era quello classico usato da Virgilio, Orazio o Cicerone, ma quello usato quotidianamente dalle persone comuni che si diversificava sia per differenze territoriali, in quanto la lingua di Roma man mano che venivano conquistati i territori si combinava con le altre lingue autoctone,...);

perché ci si ostina a ridurre l’apporto delle lingue locali a mero “sostrato indigeno” indegno sinanche d’un nome, preferendo valorizzare l’apporto del latino al punto che il termine latino si adopera per nominare tali lingue, chiamandole genericamente “latini volgari” e che soltanto successivamente abbiano ricevuto un loro nome specifico con la formazione degli stati nazionali moderni o poco prima (continuando tra l’altro a negare le altre lingue locali chiamate riduttivamente “dialetti” al fine di non riconoscerle come tali, al solo scopo di non riconoscere i parlanti come uomini dotati del buon diritto alla loro sovranità e autodeterminazione, un pò come si usava un tempo negando l’anima a certuni, le anime morte – servi della gleba e schiavi, per poter disporre di loro come con gli animali)?

d)

Che cos’è una lingua e che cosa caratterizza, distingue e accomuna le lingue tra loro? Tutti sappiamo piú o meno approfonditamente cos’è una lingua (e Voi, professionisti, sicuramente piú di me che sono solo un appassionato),
e sappiamo anche ciò che distingue ed accomuna le lingue tra loro come : il lessico, il loro repertorio fonetico e armonico, la grammatica (morfologia e sintassi), la semantica, ecc. ecc. .... .
Le differenze lessicali, grammaticali, fonetiche sono ciò che caratterizza l’identità, la specificità, l’originalità e l’individualità di ogni lingua, nonché il loro grado di parentela, di vicinanza, di lontananza, di miscela e fusione.


Giunti a questo punto è necessario chiedersi ma da dove arriva allora la lingua latina (propriamente detta) e da dove arrivano le lingue dette impropriamente latini volgari (dialetti compresi)?
Prendiamo per esempio il caso del lessico.
Da dove arriva il lessico del latino (propriamente detto) e da dove arriva il lessico delle lingue prelatine in area italica e delle lingue postlatine dette volgari o impropriamente anche latini volgari e dei dialetti odierni? E se il lessico di una lingua cambia con il tempo e se pur questa lingua conserva elementi sintattici particolari, una sua propria morfologia e una sua specifica fonetica, questa lingua smette di essere originale , perde la sua individualità-identità che la distingue dalle altre e che la lega a una terra, a un popolo, a una sua continuità storica e perciò anche il suo buon diritto di essere nominata con un suo nome proprio e anche la dignità di essere classificata come lingua?

Se la parte primitiva e fondante del lessico del latino (propriamente detto) deriva da lingue prelatine o da un diasistema prelatino o latinide italico e queste dal cosidetto diasistema indoeuropeo e dal nostratico, (tralascio le affinità-radici mesopotamiche ed euroasiatiche) allora anche gran parte del lessico delle lingue volgari che sono la continuazione delle lingue orali prelatine ha le stesse radici e quindi non arriva direttamente dal latino, se non per quelle parole che il latino ha preso in prestito, fatto proprie e distribuite nelle altre lingue o che sono state costruite ex novo al suo interno e prestate poi a tutte le altre lingue.
E che dire della morfologia e del repertorio fonetico delle varie lingue dette volgari (dialetti compresi), per non parlare dei modi di dire, dei proverbi, ecc., altra particolarità d’ogni lingua.

Ieri come oggi esistono le lingue parallele che a volte quà e là si intersecano, si influenzano, si prestano, si mescolano, si fondono e tutte traggono alimento dalla lingua umana che non ha confini, come l’aria, l’acqua la terra, tutte entità che sono un continuum nella biosfera.Ieri come oggi esisteva il monolingusmo, il bililinguismo e il trilinguismo (forse anche piú) e i loro miscugli e i vari registri sociali e le variazioni geografiche interne a un’etnia o a una comunità omogenea.
Mi piace la metafora del bosco o della foresta o del giardino linguistico piú che quella schematica e troppo riduttiva dell’albero con le sue ramificazioni. Visione metaforica amata anche dall’Alinei e da altri.

No c’è rasoio di Occam che tenga (spesso richiamato a sproposito), né alcun equilibrismo acrobatico nelle argomentazioni potrà ragionevolmente affermare, sostenere e dimostrare che tutte le nostre lingue odierne derivino dal latino (propriamente detto) con una piú o meno “trascurabile incidenza” delle lingue locali naturali e storiche, ridotte a “generici sostrati” al punto di far perder loro l’individualità e l’originalità che le caratterizzano, distinguono e accomunano.
Basta volgere l’orecchio e lo sguardo alle nostre lingue, negli ultimi 800 anni, che sono discretamente documentate per capire come potevano essere “le cose delle lingue” nei secoli e nei millenni precedenti al medio evo, in epoca romana e prima di Roma.

La mancanza, per le lingue orali, di storiche attestazioni documentali scritte, esistendo comunque la testimonianza in fieri, nella loro oralità presente, da cui è sempre possibile risalire (scoprendone gli strumenti) alla loro evoluzione storica, non giustifica l’ipotesi assurda fino ad oggi sostenuta e contenuta nel testo sovracitato che le nostre lingue un tempo solo orali e che poi furon chiamate volgari, arrivino dal latino (propriamente detto) testimoniato nei numerosi e antichi documenti scritti a noi giunti.

L’importante è liberarsi dal condizionamento delle ideologie sociali (di classe ) e statuali (nazionali) che pregnano e condizionano in negativo la cultura e talune “scienze” come la linguistica storica.

La lingua umana è un patrimonio universale e si manifesta nella molteplicità (storica, geografica, etnica, sociale) come tutto il creato, pur conservando uno spirito unitario. Come non ci sono le razze umane ma esiste un’umanità che si manifesta nella molteplicità etnica (fisica e culturale) così è anche per la lingua umana.

Scusate se non ho saputo essere piú chiaro, o se ho scritto delle scemenze, non sono certo un esperto ma un semplice uomo della strada che a volte ha il guizzo e la vaghezza di soffermarsi a pensare, a volte inciampando e aggrovigliandosi nei propri pensieri.
Ultima modifica di caixine in data dom, 22 ott 2006 8:01, modificato 3 volte in totale.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
Avatara utente
Decimo
Interventi: 434
Iscritto in data: ven, 18 ago 2006 13:45
Località: Modica

Intervento di Decimo »

caixine ha scritto:Perché si abusa del termine “latino” arrivando a chiamare latino le lingue prelatine da cui deriva il latino (propriamente detto) e latine le lingue volgari postlatine o neo latine, altrimenti dette anche lingue romanze?
Arduo mi è il cogliere il suo punto di vista. In altri interventi ho colto il suo spiccato senso di apparteneza al Veneto, ma non riesco a comprendere se esso si sviluppa come volontà di scisma culturale con il resto d'Italia o se lei si fa semplicemente promotore della frammentazione letterario-linguistica dell'intera penisola.
In particolare dall'espressione che ho riportato sembra che lei propenda ad affermare una diretta discendenza dall'idioma veneto moderno dalla lingua parlata dal popolo storico dei Veneti, e che le analogie con la lingua latina siano dovute alle parentela di questa con l'antica parlata del suddetto popolo, non già a stretti legami fra Roma e Venetia.
Sicuramente sono parole determinate, ma non capisco il senso dell'affemazione secondo la quale tutte le lingue *latinidi abbiano originato (sic) il latino, ma non riconosce lo stesso rapporto fra Italiano ordinario e lingue regionali (a cui viene parificato, disconoscendone invece la molteplicità di apporti dai singoli vernaculari).
Inoltre secondo il suo ragionamento potrei far emergere le differenze fra il veneto di Rovigo e quello di Belluno, e così all'infinito sino a fare d'ogni parlata comunale una lingua spiegando che le somiglianze sono dovute al fatto che i linguaggi preveneti o *venetidi partorirono l'idioma della regione adriatica quale lingua franca.
La prego, di grazia, di dare maggiori delucidazioni, così da poter apprezzare meglio gli sforzi nella dimostrazione della sua tesi.
Avatara utente
bubu7
Interventi: 1454
Iscritto in data: gio, 01 dic 2005 14:53
Località: Roma
Info contatto:

Intervento di bubu7 »

bubu7 ha scritto: ... per consentire ai testimoni (che non erano padri benedettini, come dice caixine, altrimenti avrebbero compreso il latino) di capire quello che avrebbero firmato.
Questo è falso, caro bubu7!
Lei si è lasciato prendere la mano e ha tratto una deduzione logica senza consultare i testi. Non ha ancora imparato che con questo tipo di voli si rischia di bruciarsi le penne?

I Placiti di cui parliamo sono documenti particolari.

Il Tagliavini ne accenna (Le origini delle lingue neolatine, p. 527):
I testimoni chiamati in causa, che non dovevano essere ignari del Latino…
E il Migliorini spiega (Storia della lingua italiana, cap. III, par. 8 - I placiti cassinesi):
Poiché i testimoni, tutti chierici e notai, sarebbero certo stati in grado di pronunziare in latino la formola testimoniale, si deve essere ritenuto opportuno di farne conoscere il tenore a tutti quelli che erano presenti al giudizio…
Questo perché probabilmente i Placiti di cui parliamo sono costruzioni ad hoc per prevenire future contestazioni di proprietà… :twisted: (e queste non sono deduzioni mie… :wink: ).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Avatara utente
u merlu rucà
Moderatore «Dialetti»
Interventi: 1337
Iscritto in data: mar, 26 apr 2005 8:41

Intervento di u merlu rucà »

Per «ARATRO» in Italia nord-occidentale domina il tipo «PLOVUM» (in piemontese si dice «Plov»)
Il tipo PLOVUM dovrebbe essere nord-orientale con propaggini in Emilia; in Liguria (anche se l'attrezzo non era molto usato a causa della conformazione del territorio) predomina il tipo ARATRO (arau e simili)
Avatara utente
bubu7
Interventi: 1454
Iscritto in data: gio, 01 dic 2005 14:53
Località: Roma
Info contatto:

Intervento di bubu7 »

bubu7 ha scritto: In maniera ancora più recisa negano lo status di primo documento volgare all’indovinello veronese il Devoto (Il linguaggio d’Italia) e il Migliorini (Storia della lingua italiana).
Sulle stesse posizioni ritroviamo anche Arrigo Castellani (I più antichi testi italiani. Edizione e commento):
[…] i rapporti colla tradizione enimmistica medievale e la stessa metafora della scrittura indicano chiaramente che il nostro indovinello è nato in ambiente dotto. Ci sembra, quindi, che esso debba essere stato concepito in latino medievale. E in latino medievale, sostanzialmente, è anche il testo giunto fino a noi.

A tutt’oggi queste affermazioni non sono state confutate da nessuno degli studiosi più importanti.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Avatara utente
caixine
Interventi: 139
Iscritto in data: sab, 24 dic 2005 8:31
Località: Montecio Bregansin (VI)
Info contatto:

Intervento di caixine »

Mi dispiace per Lei, gentilissimo bubu7,

ma nelle sue dotte citazioni non c'è nulla da confutare, perché si confutano da sole.

Basta un'elementare analisi logica e verificare con la prova del 9 l'assunto sotteso, fatto passare per assiomatico mentre è , questo sì più che evidente, soltanto dogmatico.

L'assunto sotteso, dato per assiomatico, è che un tempo tutti parlassero una sola lingua "il latino".

Eppoi non dimentichi quel "Ci sembra" del Castellani!

Comunque condivido in pieno questo suo fregio:
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
amicus_eius
Interventi: 131
Iscritto in data: ven, 10 giu 2005 11:33

Intervento di amicus_eius »

Testo dell'indovinello veronese:

Boves se pareba
et albo versorio teneba
et alba pratalia araba
et negro semen seminaba


Dove sia, in questo testo, una traccia nettamente riconoscibile di inflessioni ascrivibili a un qualunque dialetto veneto, con le sue peculiarità linguistiche (ad esempio, l'evoluzione fonetica della laterale l pre- e intervocalica, che in certe aree del Veneto evolve verso un suono labiovelare, per cui lingua(m) suona approssimativamente oengoa), è difficile spiegare: forse solo nella perdita totale, per erosione fonetica, della desinenza -nt (fenomeno che di per sé dice poco).

Ciò detto, il lungo intervento di Caixine/Paolo Sarpi II che vuole dimostrare? Che le lingue comunemente ricondotte al latino da quelli che lui chiama "studiosi" irrispettosamente virgolettati, non derivano in realtà dal latino? Per poi arrivare a legittimare, ideologicamente (in base a un'ideologia fessa: io parlo la lingua più antica, io parlo una lingua a sé, io parlo una lingua "spontanea", dunque è giusto che vi sbatta in qualche modo la porta sul grugno), una secessione linguistica, culturale e infine politica?

Padronissimo di dirlo.

Padronissimo di essere in errore.

Si tenga intanto presente che col notare la comune ascendenza latina dei dialetti galloromanzi e dei dialetti italoromanzi, nessuno ha mai negato che la Francia sia una nazione diversa dall'Italia.

E si tenga presente che, ammesso per assurdo gli si dia ragione in questa sede, la storia del Veneto, regione storico-geografica della nazione Italia, non cambierà per questo.

Quindi, sarebbe opportuno smettere di parlare di criptopolitica linguistica, e tornare a parlare di linguistica.

E non si venga a dire che la scienza (e dunque la linguistica) non è neutrale. La scienza è neutrale, perché controllabile e obbiettiva.

Smette di esserlo solo sotto gli stupri cetnici dell'ideologia, degli ambienti militari e del capitale... fino a quando la ragion tecnica trascurata non si traduce di fatto in errore rovinoso. E non c'è altro da dire.

______________

Nota bene -Ideologia fessa. Latinismo: ideologia debole, fragile (dal latino fessus, fenduto, lacerato, spaccato). Dunque non si invochi moderazione.
Avatara utente
bubu7
Interventi: 1454
Iscritto in data: gio, 01 dic 2005 14:53
Località: Roma
Info contatto:

Intervento di bubu7 »

amicus_eius ha scritto:Testo dell'indovinello veronese:

Boves se pareba
et albo versorio teneba
et alba pratalia araba
et negro semen seminaba


Dove sia, in questo testo, una traccia nettamente riconoscibile di inflessioni ascrivibili a un qualunque dialetto veneto, con le sue peculiarità linguistiche (ad esempio, l'evoluzione fonetica della laterale l pre- e intervocalica, che in certe aree del Veneto evolve verso un suono labiovelare, per cui lingua(m) suona approssimativamente oengoa), è difficile spiegare: forse solo nella perdita totale, per erosione fonetica, della desinenza -nt (fenomeno che di per sé dice poco).
Caro amicus, come sta?
Era un po’ che mi ripromettevo d’integrare i miei precedenti interventi sull’argomento. La ringrazio quindi per avermene offerto il destro.

Prima di tutto una curiosità: di chi è la versione dell’indovinello che ha riportato?
Conoscevo l’inversione iniziale tra boves e se pareba e anche la trasposizione fra il secondo e terzo verso ma l’integrazione di quell’et davanti ad alba pratalia la vedo per la prima volta…

Sarà meglio riportare la trascrizione diplomatica:

+ separebabouesalbaprataliaarabaetalboversoriotenebaetnegrosemenseminaba

Che non esistano tracce, nettamente riconoscibili, di venetismi ho qualche dubbio. Non posso non condividere, almeno qualcuna delle considerazioni di Aurelio Roncaglia, nel suo bellissimo Le origini della lingua e della letteratura italiana in Storia della letteratura italiana, vol. I, Le origini e il Duecento, Garzanti 2001 (ora anche in volume separato, UTET, 2006):
Volgare e tipica della regione veneto-friulana, [è] la desinenza metaplastica nella terza persona singolare dell’imperfetto pareba, da parare di prima coniugazione. Lo stesso uso di parare nel senso di «spingere innanzi buoi o pecore» rappresenta un idiotismo rustico, vivo ancora oggi in tutta l’Alta Italia; e volgarismi sono dal punto di vista lessicale-semantico versorio, come ancor si trova in veronese, per aratrum o vomerem, e pratalia, diffusissimo nella toponomastica, per pratum o anzi agrum. L’apparente plurale neutro alba pratalia sarà da intendere come femminile singolare, secondo l’uso volgare confermato appunto dai riscontri toponomastici; né v’è ragione di sorprendersi, come d’un latinismo incongruo, per la presenza di albo, a quell’epoca e in quella regione (ai cui margini pur oggi sopravvive nelle Alpi Retiche) non ancora soppiantato dal concorrente germanico blank. Nulla poi obbliga a considerare non volgare la desinenza di boves, giacché la persistenza fonetica di –s finale e quella morfologica dei plurali in –es si constatano tuttora nel Friuli, come in tutta la Ladinia e in tutta la Romania occidentale, e, giusta vari indizi, dovevano un tempo e potevano ancora nel secolo VIII estendersi su più vaste aree dell’Italia settentrionale, comprendenti anche il territorio di Verona. Ancora nella morfologia, il contrasto tra la desinenza metaplastica di pareba e quella etimologica di araba e seminaba non costituisce difficoltà, quando s’osservi che, mentre i verbi arare e seminare si conservano strettamente aderenti al significato latino, l’innovazione popolare, destinata a prevalere nel dialetto locale, accompagna l’idiotismo semantico.
Le domande che si pone Roncaglia sull’indovinello e le sue conclusioni sono degne di essere riportate per esteso come indici di quell’apertura mentale che dovrebbe sempre accompagnare ogni persona di cultura.
Intendeva egli scrivere nel tradizionale latino di scuola, e i volgarismi che gli sfuggono sono da imputare a difetto di cultura e di applicazione? O aveva consapevolmente scelto di scrivere nella lingua parlata di tutti i giorni, nel suo «volgare materno», e i residui latinismi sono da riportare alla novità dell’intento, alla mancanza di tradizione grafica del volgare, all’inevitabile prepotenza d’una lunga consuetudine a scrivere e trascrivere testi latini?
[…]
[E vista la provenienza curiale dello scriba veronese e la caratteristica di «parte libera», cioè non una trascrizione:] Può una tale libertà [nella scelta delle parole] essere considerata inconsapevole e preterintenzionale in un ambiente di cultura come quello della scuola capitolare veronese?
Roncaglia risponde di no a quest’ultima domanda e quindi propende per la seconda possibilità della prima alternativa.
Dopo un’ampia trattazione per motivare la sua risposta egli conclude:
Che i suoi volgarismi siano casuali e dovuti a mera ignoranza non appare più credibile, una volta constatato che la distinzione [cioè la consapevolezza distintiva dei due tipi linguistici, latino e volgare] ha precedenti non remoti nella sua [dello scriba] cultura specifica (glosse di Reichenau), che l’intenzione ha anch’essa precedenti nella specifica sede (note di scribi), che infine l’una e l’altra – coscienza distintiva e intenzionalità di correntezza – trovano conferme almeno tendenziali in testi della medesima epoca e del medesimo ambiente veronese.
[…]
Sono, tutti questi, passi innanzi assai notevoli nella graduale presa di coscienza del volgare; tanto da poter anche apparire sufficienti a qualificare francamente come «volgare» la lingua del nostro testo, certo non più definibile, nonché da ignoranza, nemmeno da quello spirito di compromesso fra latino scritto e lingua parlata che risponde altrove a esigenze pratiche, qui assenti. D’altra parte, se qui il volgarismo non rappresenta più un limite culturale, non si può ancora dire che il tipo linguistico in cui esso s’incarna consegua, sul piano della dignità culturale, esplicito e ufficiale riconoscimento di parità con il latino, e insomma statuto di lingua autonoma. I due tipi sono di fatto consapevolmente distinti; ma di diritto non si collocano ancora sullo stesso piano, che l’indovinello resta pur sempre una nota occasionale e privata: il divertimento e potremmo dire il capriccio personale d’uno scrivano, dal cui spirito sono assenti, come esigenze pratiche, così anche ambizioni di sostenutezza documentale e letteraria. Se in esso non ha luogo volontà di compromesso, nemmeno vi si può individuare una volontà di legalizzazione del volgare sul piano giuridico o poetico. Per questo, più che sulla definizione di «primo testo volgare» – etichetta esterna, di carattere in fondo nominalistico, e sulla quale è perciò prevedibile che si possa continuare a discutere – insisteremmo sulla novità e singolarità della prospettiva psicologico-linguistica interna al testo: prospettiva in cui, come dicevamo all’inizio, l’atteggiamento fantastico-giocoso s’incontra con quello pratico-didascalico e da esso adotta in funzione espressiva, e perciò con più libera coerenza, un sistema di forme che la tradizione scrittoria aveva sino allora saltuariamente ammesso, entro confini ristretti, solo in funzione strumentale.
Le due sottolineature sono mie.
Ultima modifica di bubu7 in data ven, 17 nov 2006 14:36, modificato 1 volta in totale.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
amicus_eius
Interventi: 131
Iscritto in data: ven, 10 giu 2005 11:33

Intervento di amicus_eius »

Il suo prezioso e puntuale intervento è illuminante, Bubu7.

Quando mettevo in dubbio le tracce di un dialetto veneto nell'indovinello veronese, semplicemente intendevo affermare che l'indovinello non presenta certo il veneto di cui Caixine fa apologia linguistica (come se per altro oggi, qui, il fatto di parlare una lingua avesse bisogno di apologie).

Evidentemente, l'indovinello veronese attesta fenomeni che fanno capo ad isoglosse tipiche dell'area dialettale del nord Italia medievale, senza che all'epoca i dialetti oggi parlati in quella zona potessero dirsi appieno configurati in tutta la loro fisionomia (del resto all'epoca nessun dialetto era configurato appieno nella sua fisionomia, e le strutture sociopolitiche dell'epoca possono solo fino a un certo punto fare luce su quelle attuali, e costituire per esse un termine di riferimento).

Quanto alla forma testuale dell'indovinello da me riportata, ammetto trattarsi di ricordo antologico (nei testi scolastici e universitari, passim si ritrovano, a seconda dei citatori, sia se pareba boves, sia boves se pareba, con "normalizzazione" della rima). Dunque nessuna pretesa di filologica esattezza al riguardo. Ciò che mi interessava stabilire, ai fini dell'altrui non scientifico discorso che aveva determinato la mia risposta, erano alcune linee argomentative di fondo definite.

In determinati contesti di discussione, non mi premuro più di ricercare né l'assoluta esattezza filologica, né l'assoluta coerenza con i dati linguistici più aggiornati. Mi attengo al minimo indispensabile di giustezza informativa.

Con determinate tipologie di interlocutori, viste le precedenti esperienze sul vecchio forum (giustamente defunto) dell'Accademia della Crusca (quando si parlava di lingue neolatine) e su Wikipedia (riguardo alle questioni sull'indoeuropeo e Semerano), non intendo perdere tempo più del necessario.

Il mio interesse era puntualizzare che:

1) bisogna smettere di colorare ideologicamente la linguistica in un senso o in un altro;

2) che quell'indovinello prefigura alcune isoglosse collegate a evoluzioni successive, senza che la scarsità di materiale documentario che esso fornisce possa autorizzarci a pensare di avere le idee chiare sul contesto più ampio delle dinamiche linguistiche in cui all'epoca i fenomeni attestati dall'indovinello stesso si attuavano;

3) stante l'una e l'altra cosa, la discussione diventa proficua se si mettono determinati paletti: se si vuole parlare di federalismo, di un problema Veneto così come ad esempio in Spagna è esistito un problema Catalogna, ciò è legittimo, ma non è linguistica: è un problema dell'agire politico e ideologico dell'oggi, in cui la linguistica può entrare solo marginalmente, a meno di non mettere su pericolosi imbrogli...
Avatara utente
bubu7
Interventi: 1454
Iscritto in data: gio, 01 dic 2005 14:53
Località: Roma
Info contatto:

Intervento di bubu7 »

amicus_eius ha scritto: In determinati contesti di discussione, non mi premuro più di ricercare né l'assoluta esattezza filologica, né l'assoluta coerenza con i dati linguistici più aggiornati. Mi attengo al minimo indispensabile di giustezza informativa.
Avevo capito bene il taglio del suo intervento. Esso è stato solo un ulteriore stimolo a spingermi a completare i miei parziali (cioè troppo di parte) interventi precedenti.

Condivido completamente le sue considerazioni [non troppo] fuori tema ma visto che questa piazza è frequentata principalmente da persone che amano la nostra lingua (pur essendo legate ben strettamente alle proprie radici dialettali) ho creduto opportuno fornire una visione più equilibrata dell’argomento.

Un caro saluto.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Avatara utente
caixine
Interventi: 139
Iscritto in data: sab, 24 dic 2005 8:31
Località: Montecio Bregansin (VI)
Info contatto:

Intervento di caixine »

Pol darsi che io sia politicamente fazioso, ideologicamente viziato e magari "culturalmente" tarato o ritardato, a volte è possibile che abbia anche allucinazioni diurne e incubi notturni che continuano da sveglio.

Ma di una cosa sono piú che sicuro che parole venete come “pare e mare” (in italiano padre e madre; in latino pater e mater; - mare,mater,madre, falisco mate, sanscrito mata, antico slavo mati, lettone mate, sumerico amatu, antico accadico watru-matru) sino a ché qualcuno non mi dimostrerà (con argomenti seri e inconfutabili!) che i miei antenati paleoveneti non le avevano e che adoperavano altre parole (con radici-morfologia e fonologia ben diverse?) al loro posto, che poi hanno sostituito con delle nuove prendendole in prestito dal latino, nessuno mi potrà piú venire a raccontare la fola della derivazione dal latino e quell’altra simpatica storiella dell’indoeuropeo, pensando di poterla far franca in eterno.
Ke bela ke la xe la me lengoa veneta, na lengoa parlà co' piaser anca dal bon Dio!
Alberto Pento
Uri Burton
Interventi: 235
Iscritto in data: mar, 28 dic 2004 6:54

TREMARELLA

Intervento di Uri Burton »

caixine ha scritto: ...nessuno mi potrà piú venire a raccontare la fola della derivazione dal latino e quell’altra simpatica storiella dell’indoeuropeo, pensando di poterla far franca in eterno.
Mio Dio che paura. Ora ci chiudiamo tutti nel gabinetto e ne usciamo domani mattina.
Uri Burton
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 9 ospiti