«Amico» è un (semi)cultismo?

Spazio di discussione dedicato alla storia della lingua italiana, alla sua evoluzione e a questioni etimologiche

Moderatore: Cruscanti

Ligure
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Intervento di Ligure »

Innanzitutto, mi scuso per non essere riuscito a scrivere in modo chiaro. Intendevo semplicemente riferire che mi sembrerebbe strana l'effettiva esistenza del fenomeno linguistico ipotizzato se unicamente desunta dallo spoglio dell'AIS.

Se davvero esistesse/fosse esistita codesta possibile alternanza, sarebbe davvero strano che qualche studioso serio dei dialetti veneti – i quali sono definiti e "collegati" agli altri dialetti settentrionali anche in base agli esiti della lenizione – non l'abbia/l'avesse riscontrata e segnalata. E, se fosse un fenomeno da ascriversi effettivamente al dialetto, dovrebbe aver "colpito" anche in altre occorrenze.

Ma ritengo, sulla base di quanto lei scrive, che la sua competenza e la sua esperienza diretta ci portino assai più vicino alla verità linguistica degli esiti contenuti nell'AIS.

D'altronde, la prassi abituale, in Veneto, di commutare con continuità incessante da un registro comunicativo "dialettale" a uno di italiano "regionale" o, a seconda dei parlanti, anche tendenzialmente più neutro (mi riferisco ai vocaboli e non alla pronuncia effettiva) risulta universalmente diffuso, noto anche a chi non è veneto e, certamente, non temporalmente recente.

Due di essi, per altro, risultano, quanto meno, incoerenti:
  1. il punto 374 ci propone, sì, "amico", ma il plurale appare "ragionevole": "amighi". Certamente, "amighi" non può essere il plurale di "amico";
  2. il punto 373 ci offre "amico", ma il plurale è, "ragionevolmente" ma incoerentemente, "amisi", con /-z-/, e non può "rimandare" ad "amico";
  3. al punto 364 il singolare "amico" e il plurale "amichi" potrebbero anche essere definiti, se pure non s'intendesse ritenerli genuini o corretti, almeno coerenti, ma questa risposta è contrassegnata ad opera degli stessi studiosi "teutonici" mediante un punto interrogativo! (Sui motivi occorrerebbe leggere – sono tutte conservate a Torino – la relativa scheda manoscritta).
P.S. Quanto ho riferito sull'AIS risulta assolutamente vero e dimostrabile, ma, ovviamente, non intendo "convincere" nessuno e, nell'ambito specifico del contenuto di questi messaggi, non esiste lo spazio per poter approfondire il discorso.

Ovviamente, le molte forme dialettali singolari (scrivo in generale) "riconiate" "successivamente" su plurali etimologici "parlano", sulla base, appunto, dei plurali, in favore, in generale, di una tradizione ininterrotta.

Se, poi, relativamente ai dialetti veneti, l'AIS risulta superiore al livello di attendibilità (talora, davvero scarso) di altre regioni, tanto meglio.

Comunque, i problemi sottesi alle nostre considerazioni sono, sostanzialmente, due:
  1. metodologicamente, l'uso di una sola fonte, fosse anche diversa dall'AIS e davvero attendibile, non può rappresentare il massimo;
  2. sembra che, ormai, almeno per quanto riguarda l'Italia settentrionale, si tratti o si scriva di "dialetti" soltanto in base alle fonti scritte e nessuno più ricerchi o risulti motivato a un "accesso diretto" anche laddove esso risulterebbe ancora possibile.
Ovviamente, parlo in generale e riconosco che, attualmente, esistono forti motivazioni anche di carattere sociolinguistico.

Però errare è umano e neppure le "fonti" ne vanno esenti. Infatti, molte considerazioni tratte unicamente a partire dalle fonti (con particolare attenzione se non si riesce a riscontrare una "replica" del dato linguistico) non corrispondono alla realtà dialettale effettiva e non consentono di pervenire a conclusioni impeccabili, mentre nell'universo della "commutazione" tra registri linguistici ci sta, per definizione, tutto e il contrario di tutto.

L'individuazione degl'informatori dell'AIS, descritta, per altro, nel relativo volumetto, condurrebbe a molte altre considerazioni, certamente interessanti, ma che esulano dall'argomento specifico trattato.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Grazie della risposta. Quanto all’osservazione metodologica, vorrei precisare che:
  1. non sono (purtroppo) un ricercatore e non faccio pertanto ricerca scientifica: ho aperto questo filone soltanto per garantire al pubblico dibattito un mio dubbio di profano;
  2. ad ogni modo, pur con tutti i difetti possibili e immaginabili, l’AIS è un’opera importante; la carta in questione destava piú di una perplessità ed è proprio tale perplessità che mi ha spinto a chieder lumi qui.
Da questo breve scambio con lei, ho capito che la carta dell’AIS mostra incoerenze di non poco conto, che a un primo sguardo, accecato dal principio d’autorità, m’erano sfuggite, ed è dunque del tutto inattendibile. Mi chiedo dunque come siano stati condotti i lavori di raccolta delle testimonianze, considerando il fatto che un quivis de populo nei primi anni del Novecento in Veneto difficilmente avrebbe potuto sfoggiare una commutazione di codice tanto disinvolta, usando l’italiano per il singolare e il dialetto per il plurale.

Per portare una testimonianza a mio parere senz’altro piú credibile, le posso citare il Lessico dei dialetti del territorio veronese di Giorgio Rigobello (Verona: «Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona», 1998), opera che si fonda sia su un’ampia base di fonti scritte (il lavoro di spoglio, descritto nell’introduzione, sembra essere stato svolto con grande acribía e obbiettività) sia sul «maggior numero possibile di registrazioni dal vivo, per le quali ci si è avvalsi di una vasta rete di informatori distribuiti sul territorio».

La voce «amigo» non riporta alcuna variante «amico», mentre al punto 360 della carta suddetta dell’AIS (Albisano) si legge amiko al singolare e amiki (!) al plurale. Nella medesima voce, i plurali sono forniti dalle testimonianze orali degli informatori: a Villa Bartolomea è stato registrato amìghi, a Zevio e Spinimbecco (quest’ultima località è una frazione di Villa Bartolomea!) amìzi. Da me è amizi, ma è evidente che il plurale oscilla tra la forma etimologica e quella analogica dovunque, imprevedibilmente.

Da tutto ciò penso sia giusto evincere che l’AIS non provi affatto l’esistenza, nella parlata piú genuina, di una forma priva di lenizione, e che amico è, ora sí senza ombra di dubbio, una parola di tradizione ininterrotta anche in Veneto.

P.S. Chiedo scusa della digressione dialettale, ma era necessaria per provare il punto del filone.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Ligure ha scritto:
  1. il punto 374 ci propone, sì, "amico", ma il plurale appare "ragionevole": "amighi". Certamente, "amighi" non può essere il plurale di "amico";
  2. il punto 373 ci offre "amico", ma il plurale è, "ragionevolmente" ma incoerentemente, "amisi", con /-z-/, e non può "rimandare" ad "amico";
  3. al punto 364 il singolare "amico" e il plurale "amichi" potrebbero anche essere definiti, se pure non s'intendesse ritenerli genuini o corretti, almeno coerenti, ma questa risposta è contrassegnata ad opera degli stessi studiosi "teutonici" mediante un punto interrogativo! (Sui motivi occorrerebbe leggere – sono tutte conservate a Torino – la relativa scheda manoscritta).
Mi sembra interessante proporvi la descrizione degli informatori dei punti interessati, tratta da AIS volume primo Edizioni UNICOPLI:

punto 374, Teolo: Inf. contadino, genitori del luogo, anni 42, 3anni di servizio militare e partecipazione alla guerra; 1 anno sterratore in Germania. Contadino molto tradizionale che vive sulla terra del padre, fuori del paese. Secondo le dichiarazioni dei vicini ha perfettamente mantenuto il dialetto arcaico. Ottimo foneticamente, etnograficamente e lessicalmente. Ha difficoltà con le frasi.

punto 373, Montebello: Inf. contadino e mediatore, genitori originari di Thiene. Il padre si è trasferito a Montebello quando l'informatore aveva 6 anni, anni 48. Ha frequentato la scuola a Montebello, è stato prima contadino sulle terre del padre, poi mediatore. Con l'eccezione di 2 anni in America è sempre stato in paese. Buone conoscenze etnografiche, ma poiché i genitori non sono indigeni di Montebello, non è forse un rappresentante del tutto valido del dialetto locale.

punto 364, Campo San Martino: Inf. bracciante agricolo, genitori del luogo, anni 43, è stato fuori del paese solo durante la guerra, sfollato per 2 anni. Nonostante la sua fedeltà non ha soddisfatto dialettologicamente ed etnograficamente le esigenze dell'inchiesta.

Insomma, due su tre non sembrano particolarmente affidabili...
Largu de farina e strentu de brenu.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Andiamo a vedere nell'Archivio digitale veneto cosa scrivono gli "Autori" nel pavano: 36 occorrenze per amico; 68 per amigo; 75 per compagno e ben 591 per compare.
Cari amighi liguri, come v'invidio il vostro desamigu. :)
We see things not as they are, but as we are. L. Rosten
Vediamo le cose non come sono, ma come siamo.
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u merlu rucà
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Re: /-k-/ ecc. nei dialetti veneti

Intervento di u merlu rucà »

Ligure ha scritto:Ma per chi non sia totalmente "profano" l'assenza della lenizione, anche nei dialetti veneti, "parla" già con piena sufficienza e ci richiede di classificare macachi, miracoli, pericoli, patate ecc. nella categoria degli italianismi.
Italianismi in senso stretto non direi; macaco proviene dal portoghese, patate dallo spagnolo, miracoli probabilmente è un latinismo ecclesiastico. Forse l'unico vero italianismo (anche se si tratta di un latinismo) è pericoli.
Largu de farina e strentu de brenu.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Grazie al Merlu per la descrizione degli informatori. Per l’informatore di Teolo — l’unico affidabile, par di capire — si può supporre un’errata trascrizione? Mi sembra davvero molto strano che un contadino «molto tradizionale», che parla un dialetto arcaico, abbia fornito una variante che con ogni evidenza è influenzata dall’italiano…

Grazie anche a Sixie. Ho dato uno sguardo ai risultati di amico: i brani in cui è inserita la parola paiono scritti in un volgare toscano piú o meno interferito dal volgare locale. Amigo, invece, compare sempre e solo in testi scritti inequivocabilmente in volgare veneto.
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Sembra impossibile, come già rilevava ligure per Genova, che, quasi cent'anni fa, in una realtà dialettofona praticamente al 100%, maestri e professori compresi, non si trovassero informatori affidabili. Capisco che un informatore di professione pescatore, per esempio, avesse problemi con la terminologia dell'aratro, ma in molti casi mancano risposte su termini che dovrebbero essere parte del lessico comune.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Intervento di Ligure »

Mi scuso per la domanda, ma dove sono finiti gl'interventi successivi? Relativi ad aspetti etimologici e ad altre considerazioni sull'AIS? S'era parlato di un filone dedicato all'AIS, ma soltanto come possibilità. Mi spiacerebbe davvero possano essere andati smarriti. :(
Ultima modifica di Ligure in data lun, 28 mag 2018 13:10, modificato 1 volta in totale.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Non si preoccupi, caro Ligure, nessuna minaccia alla libertà d’espressione, anzi: ho spostato gl’interventi qui, in modo da proseguire con il tema dell’AIS e della sua attendibilità, visto che quello della natura culta di amico è stato già sviscerato. :)
Ligure
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Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Intervento di Ligure »

Grazie della cortese precisazione e dell'opportunità, caro Ferdinand! :)
Ligure
Interventi: 402
Iscritto in data: lun, 31 ago 2015 13:18

Intervento di Ligure »

Mi permetto d'intervenire qui per esporre un'ultima considerazione relativa alla ricerca sulla coppia amico/amigo in quanto non direttamente collegata coll'argomento dell'attendibilità dell'atlante linguistico AIS, ma, ovviamente, il mio intervento può essere spostato dove ritenuto più opportuno.

Intendevo soltanto far rilevare come, a fronte di coppie di questo tipo, in cui una sola delle voci rappresenta un esito locale regolare, la probabilità a priori che si sia in presenza di un effetto di contaminazione tra il registro linguistico della lingua e quello dialettale risulta piuttosto elevata.

Le varietà dialettali, in base a un principio di economia lessicale, raramente mantengono due distinte caselle lessicali dotate dello stesso identico significato. Ciò è certamente vero per gl'italianismi che, quando entrarono nel dialetto dalla lingua italiana, risultavano anche neologismi. In quanto designavano oggetti prima sconosciuti.

Tale è il caso, ad esempio, dei veneti macaco o patate. Forme "regolari" quali magago o padade non sono mai esistite e, se anche esistessero o fossero esistite, dovrebbero la loro struttura a un'eventuale analogia con parole simili. Non certamente all'effetto "regolare" del fenomeno costituito dalla lenizione, già non più "attiva" da molti secoli nei dialetti veneti al momento dell'ingresso di queste voci nel sistema linguistico locale.

Per italianismi quali, ad esempio, miracolo o pericolo il discorso è diverso e, a seconda delle condizioni linguistico-storiche locali, potrebbero davvero esistere o essere esistiti dei doppioni.

Faccio l'esempio avvalendomi del genovese. Neppure in genovese sono mai esistite forme quali magâgu /ma'ga:gu/ o padâde /pa'da:de/ e, infatti, si dice soltanto macaccu /ma'kakku/ e patatte /pa'tatte/. Ma persone molto vecchie, per quanto utilizzino davvero soltanto voci quali miracculu /mi'rakkulu/ e pericculu /pe'rikkulu/ ricordano ancora le vecchie voci miâcu /'mja:ku/ e peigu /'peigu/. Ciò implica che, almeno a Genova, gl'italianismi miracculu e pericculu non possono che essere ritenuti storicamente recenti (resiste ancora, infatti, almeno nel ricordo degli anziani, la forma precedente).

Ovviamente, le forme ricordate dagli anziani, per quanto non sempre con grafie adeguate, sono sempre riferite nei lessici tradizionali. La curiosità (per altro, spiegabilissima in termini socio-linguistici) è che la voce miâcu, a sua volta, non può essere ritenuta forma di tradizione diretta: il fonema /-k-/ rappresenta una "spia" inesorabile.

Infatti, peigu ebbe un'evoluzione del tutto regolare - a partire dal corrispondente esito protoromanzo -: /pe'ri:kolo/ > /pe'ŕi:guŕu/ > /pe'ŕi:guŕ/ > /pe'ŕi:gu/ > /pe'i:gu/ > /'peigu/.

Ma così non fu per miâcu, che deve il fonema semplice /-k-/ alla degeminazione di /-kk-/ causata dall'allungamento della vocale precedente. Ma, se c'era /-kk-/, non può che trattarsi, nuovamente, di un italianismo. Certamente molto più antico, ma sempre italianismo, perché l'evoluzione regolare avrebbe operato diversamente. Avrebbe fornito /-g-/. Esattamente come in peigu /'peigu/…

Nelle voci genovesi di derivazione diretta non si può avere /-k-/ conservato.

Ma si ebbe, nel caso dell'italianismo in questione, la seguente transizione evolutiva: /mi'ra:kolo/ > /mi'rakkulu/ > /mi'ŕakkuŕu/ > /mi'akkuu/ > /'mja:ku:/ > /'mja:ku/.

Infatti, in genovese la voce miracolo non potè mai avere derivazione diretta a motivo della sacralità del termine lessicale. Gli antichi ridussero l'italianismo a miâcu. Voce troppo lontana dalla lingua nazionale per la sensibilità moderna (in senso lato). Allora, si fece nuovamente ricorso a un successivo italianismo, l'attuale miracculu.

Dal momento che, nonostante il trascorrere dei secoli, il termine della lingua colta non era mutato, i genovesi presero a prestito, a distanza di molti secoli, lo stesso vocabolo. E introdussero, per la seconda volta, miracculu nella loro parlata. Ma questa volta, ormai, la voce miracculu non andrà più soggetta ad alcuna evoluzione perché il capolinea del percorso linguistico risulta assai prossimo. Infatti, nessuno dei fenomeni evolutivi del linguaggio locale risulta più attivo.

Gli studiosi, almeno per quanto riguarda Genova, non hanno mai trattato questi aspetti linguistici e, quando incontrano forme difformi dai più semplici e noti paradigmi evolutivi, invocano le eccezioni o ignorano gran parte del lessico. Ma si tratta, invece, di aspetti molto fecondi, che risulta anche facile illustrare purché si accetti di fermarsi un attimo a riflettere anziché riscrivere e ripetere considerazioni su cose già ampiamente note da più di un secolo, spesso inficiate da ipotesi non corrispondenti all'effettiva realtà linguistica.
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