Pronuncia della parola «nébbia»

Spazio di discussione dedicato alla storia della lingua italiana, alla sua evoluzione e a questioni etimologiche

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Ligure
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Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di Ligure »

Qual è il motivo della pronuncia (chiusa) della parola nébbia - dal lat. nĕb(ŭ)lă(m), quindi caratterizzata da /ĕ/ etimologico come, ad es., anche "mèglio" o "pèggio", che mostrano, invece, "regolare" pronuncia aperta - ?

Vi sono, forse, ragioni di tipo analogico che possano valere a giustificarla?

P.S.: la voce nĕb(ŭ)lă(m) non è stata continuata in tutte le lingue neolatine, tuttavia il castigliano - mediante l'esito niebla, caratterizzato dalla pseudodittongazione di /ĕ/ etimologico, la quale, altrimenti, non si sarebbe manifestata - sembrerebbe confermare che gli esiti romanzi siano effettivamente derivati da /ĕ/.
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Marco1971
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di Marco1971 »

Sembra un mistero: oltre a quanto dice il DOP, trascrivo il frammento che si riesce a leggere di questo Trattato di fonetica storica dell’italiano (Aldo Rosellini, 1969):

Non è ancora stata trovata una spiegazione plausibile della pronuncia toscana nebbia - e chiusa - invece della giusta...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Ligure
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di Ligure »

La ringrazio davvero della cortese risposta.

Quanto riferito dal DOP, in effetti, potrebbe anche essere e una certa somiglianza di suono tra neve e nebbia si può pure riscontrare.

Tento d'interpretare quanto scrive il DOP e mi chiedo se una pronuncia aperta risulti davvero attestata.

Relativamente a un'eventuale voce quale nèbbia non ho dati :roll: , ma nève e nieve risultano vocaboli documentati (v. il § 51 della "Grammatica storica" del Rohlfs) in Toscana, sebbene non a Firenze - a quanto scrive l'Autore -.

Quindi, potrebbe essere intervenuta una reazione ipercorrettiva che avrebbe accomunato - secondo quest'ipotesi - esiti quali nèbbia e n(i)ève ...

Francamente non riuscirei a "immaginare" molto altro e la coppia castigliana niebla / nieve ci conferma che - oltre a nĭvĕ(m) (che è la forma "classica") >néve - dovette esistere anche nĕvĕ(m)>n(i)ève. E tutto ciò sembra ricondurci su un - per altro, possibile - percorso di circolarità: che cosa potrebbe, a sua volta, aver giustificato nĕvĕ(m) se non l'analogia con nĕb(ŭ)lă(m)? Perché no? Ipotizzando - in un "volo pindarico" - uno stadio d'evoluzione fonetica in cui un esito del tipo di neβ(u)la potesse ancora essere avvertito quale derivato di neβe ... :wink:

Grazie ancora
DON FERRANTE
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di DON FERRANTE »

Così, da non perito in quest'ambito: la sincope della "u" e la conseguente assimilazione -bl->bbj non può essere spiegazione di per sé sufficiente?
O che forse l'atteso dittongamento in sillaba libera (ĕ>iè) non sia avvenuto perché prima sono occorse la sincope e l'assimilazione e quindi nĕb(u)la>nĕbbia>nēb-bia>nébbia?
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Infarinato
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di Infarinato »

DON FERRANTE ha scritto: dom, 27 set 2020 0:51 Così, da non perito in quest'ambito…
Ma Lei deve intervenire proprio su tutto? :roll: Se non è «perito in quest’ambito», ci faccia la grazia di astenersi.

Certo che la sincope è molto antica, già del latino parlato in epoca classica, per cui a *NĔBLAM non si può applicare il «dittongamento toscano» (collocabile con sorprendente precisione tra la fine del VI sec. e la metà VII sec. d.C.), mentre la «palatalizzazione» dei nessi occlusiva + laterale si colloca tra la seconda metà del X e gli’inizi dell’XI. Ma a quest’epoca la quantità vocalica latina era ormai stramorta, tanto piú che anche in latino classico una sillaba lunga «per posizione» (cioè, per convenzione) non alterava né la quantità né il relativo timbro del suo nucleo, come ampiamente dimostrato dai vari esiti nelle lingue romanze.

Infine, come ricordava il DOP, la pronuncia aperta è attestata (perlomeno nel senese) fino a epoca molto recente, per cui l’impossibile sviluppo da Lei proposto non poteva comunque aver avuto luogo in un periodo in cui la quantità vocalica avesse ancora statuto fonologico.
Ligure
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di Ligure »

DON FERRANTE ha scritto: dom, 27 set 2020 0:51 Così, da non perito in quest'ambito: la sincope della "u" e la conseguente assimilazione -bl->bbj non può essere spiegazione di per sé sufficiente?


Per quanto mi periti - e non poco! - a scrivere alcunché dopo l'illuminante (a dir poco!) commento fornitole da Infarinato, qualora intendesse approfondire alcuni aspetti fondativi, può tenere presente che la transizione evolutiva cui lei accenna è tutt'altro (e ben altro!) di una semplice assimilazione.

Nel panorama delle lingue neolatine è uno dei tratti (inclusi gli sviluppi dei nessi consonantici cl-, gl-, pl- ed fl- etimologici) che meglio concorrono a identificare le specificità della fonologia italiana - di matrice fiorentina/toscana - rispetto agli altri idiomi nazionali di origine latina. Mutatis mutandis lo stesso vale anche nell'ambito della dialettologia italiana in relazione alle differenze fonologiche esistenti tra le parlate "geograficamente (e non solo!) centrali" e le altre.

Inoltre, andrebbe osservato che si parlava di un timbro vocalico (aperto o chiuso) e la qualità delle vocali accentate italiane dipende (e deriva) - in generale - dalla quantità (in realtà, dalla qualità già indotta, a suo tempo, dalla quantità) rispettiva dei fonemi vocalici etimologici) indipendentemente dalla condizione d'apertura (in cui alla vocale segue consonante semplice) o di chiusura (in cui a vocale segue fonema consonantico geminato) della sillaba che si riscontra - a evoluzione avvenuta - nella lingua italiana.
DON FERRANTE ha scritto: dom, 27 set 2020 0:51 O che forse l'atteso dittongamento in sillaba libera (ĕ>iè) non sia avvenuto perché prima sono occorse la sincope e l'assimilazione e quindi nĕb(u)la>nĕbbia>nēb-bia>nébbia?
Come si evince dall'inquadramento generale adeguatamente fornitole da Infarinato e dal mio tentativo di chiarimento, non si possono impiegare - neppure in una rappresentazione "amichevole" di una transizione evolutiva - i diacritici relativi alla quantità in esiti lessicali che appartengono già chiaramente alla lingua italiana.

Tutt'al più, in italiano, essendosi "allungati" i timbri vocalici in sillaba accentata aperta (com'è "naturale" che sia), si può attribuire alla quantità valore fonologico allofonico.

Permanendo il valore fonologico contrastivo della durata/geminazione consonantica. In quanto non "vincolato", cioè non "prevedibile". Ma il passaggio nĕbbia>nēb-bia travisa la realtà. Nella voce nebbia (anche se si pronunciasse in modo non neutro il timbro vocalico accentato) si avrebbe, comunque, esclusivamente valore allofonico breve della vocale.

Dal momento che la geminazione successiva impedisce tuttora quello che è stato l'allungamento quantitativo verificatosi nelle sillabe "aperte" - così lo definisce il Loporcaro -. Ma in nebbia, comunque si pronunci la vocale accentata, permane indubitabilmente una "sillaba chiusa".

Quindi, intendendo proprio esagerare e tenendo ben presente che non si tratta affatto della quantità vocalica della lingua latina, al massimo soltanto nĕbbia ... Alla luce di quanto ampiamente argomentato la rappresentazione di una sillaba italiana come nēb- costituisce una "contraddizione in termini". Essa potrebbe essere soltanto nĕb-. Altrimenti, non sarebbe italiano ...

Infatti, in italiano, la rappresentazione nĕb- risulta ridondante. Ovviamente, neb- non può che implicare "necessariamente" nĕb-. La chiusura implica quantità allofonicamente breve. Ecco esemplificato il concetto di vincolo o, se si preferisce, di prevedibilità della quantità vocalica. Collegate, in italiano, tranne in posizione finale assoluta di parola (dove la vocale può essere soltanto "breve") da una complementarità inversa tra durata/geminazione consonantica e quantità vocalica nell'ambito di un paradigma fonologico che ha fatto parlare d'isocronismo sillabico.

Quanto mi sono affannato a scrivere intende soltanto richiamare la banalità e l'evidenza delle caratteristiche fondative e fonologiche della lingua italiana di cui tutti noi - più o meno consapevolmente - non possiamo che avvalerci in ogni istante in cui si parli.

Scrivendo nel modo più semplice possibile, ma totalmente corretto - pur senza preoccuparmi di dover ricorrere a termini linguisticamente impeccabili -.

In italiano l'apertura o la chiusura di fonemi vocalici quali e oppure o non dipendono affatto dall'apertura o dalla chiusura della sillaba.

Il timbro chiuso e quello aperto si possono riscontrare tanto in sillaba aperta quanto in sillaba chiusa.

Ci mancherebbe. Altrimenti, non si tratterebbe d'italiano!

Se "scegliamo" di non esprimerci mediante una pronuncia neutra e di optare per una "variante locale", varierà la distribuzione dei timbri rispetto a una dizione corretta, ma l'associazione tra timbro vocalico e apertura/chiusura della sillaba, in generale, non appartiene alla linguistica italiana.

Perfino le varietà dialettali italiane (come, per altro, anche il cosiddetto "italiano locale" delle varie regioni e delle tante città) possono avere esiti vocalici evolutivi difformi rispetto a quelli fiorentini. Ma essi - sia pure con risultati diversi da quelli toscani - dipendono pur sempre dalla quantità del fonema vocalico latino etimologico. Che, in realtà, ne condizionava - già "allora" - la qualità.

Unica eredità - "gestita" più o meno "bene" (mi riferisco alla possibilità delle varianti di pronuncia locali e al relativo dibattito teorico, che esulano ampiamente dall'argomento affrontato) - che a noi è rimasta.

Mentre la nostra quantità, come mi pare d'aver chiarito, non discende affatto da quella latina, ma risulta determinata unicamente dalla condizione della sillaba, cioè è prevedibile e costituisce caratteristica allofonica.

Se si preferisce, un inevitabile epifenomeno dovuto alle concrete modalità d'articolazione con cui tutti noi si parla.

P.S.: come le ha scritto - con altre parole, ma relative allo stesso concetto - Infarinato, fu proprio la condizione di chiusura della sillaba a impedire la pseudodittongazione di nebbia, mentre essa poté verificarsi in nieve, pur derivando - entrambi gli esiti - da etimi caratterizzati da /ĕ/. Anche questa è una caratteristica della lingua italiana di matrice fiorentina. Come visto, essa non rappresenta un vincolo per la lingua castigliana, che ha nieve, ma pure niebla. Come si verifica anche nei dialetti italiani, ma il tema non può essere affrontato per non perdere la focalizzazione dell'intervento.
Ultima modifica di Ligure in data lun, 28 set 2020 9:39, modificato 2 volte in totale.
DON FERRANTE
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di DON FERRANTE »

Chiedo venia, Infarinato. Ho posto una domanda banale, partendo dal dubbio iniziale del signor Ligure.

Comunque, ringrazio di cuore entrambe. Troppo tempo è passato da basi minime di fonologia, ma rimane la curiosità estemporanea di entrare nei meccanismi della fonologia diacronica (dal tardo latino verso il nostro idioma).
Ligure
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di Ligure »

DON FERRANTE ha scritto: dom, 27 set 2020 15:29 Chiedo venia, Infarinato. Ho posto una domanda banale, partendo dal dubbio iniziale del signor Ligure.

Comunque, ringrazio di cuore entrambe. Troppo tempo è passato da basi minime di fonologia, ma rimane la curiosità estemporanea di entrare nei meccanismi della fonologia diacronica (dal tardo latino verso il nostro idioma).
Grazie a lei dell'interesse dimostrato. :wink:

Infarinato risulta morfologicamente "chiaro". In effetti, Ligure potrebbe risultare "ambivalente" :? .

Per altro, in questo caso specifico, si dovrebbe usare entrambi ... :wink:
DON FERRANTE
Interventi: 344
Iscritto in data: sab, 05 set 2020 17:08

Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di DON FERRANTE »

Caduta di distrazione. :roll:
È stato esaustivo. Ora mi occorreranno un po' di tempo e buona volontà per entrare in codesti meandri.
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andrea scoppa
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Re: Pronuncia della parola «nébbia»

Intervento di andrea scoppa »

Ligure ha scritto: lun, 21 set 2020 18:05 Vi sono, forse, ragioni di tipo analogico che possano valere a giustificarla?
La pronuncia canonica —nonché etimologicamente regolare— di «trebbia»? Anche «ghebbio» presenta la vocale tonica chiusa, ma ne ignoro l'etimo.
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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