Si deroga "a" o "da"?

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Moderatore: Cruscanti

Fausto Raso
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Si deroga "a" o "da"?

Intervento di Fausto Raso »

Un lettore ha posto il seguente quesito al titolare della rubrica di lingua di un importante giornale quotidiano cartaceo e in rete:

Ho un po' di dubbi circa l'utilizzo della congiunzione "e" dopo una
virgola. Da quello che ho sempre studiato so che non è corretto perché la virgola serve a separare mentre la "e" ad unire. Tuttavia mi capita spesso, rileggendo quello che scrivo, di avere la sensazione che la virgola sia necessaria per "prendere fiato". Cosa ne pensa?
(Firma)

Ecco la risposta:

L’argomento è stato già trattato in questo forum e si è osservato che in particolari situazioni espressive la congiunzione “e” dopo la virgola ci può stare tranquillamente, anzi è bene che ci stia. Si legga qualche pagina dei Promessi sposi e vedrà che Manzoni deroga da una regola che in realtà non esiste.
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Nella risposta al lettore che chiedeva "lumi" circa l'uso corretto della congiunzione "e" dopo la virgola il linguista è scivolato in un errore là dove scrive "...e vedrà che Manzoni deroga da una regola che in realtà non esiste". Il verbo derogare si costruisce con la preposizione "a", non "da". Si deroga "a" una legge, dunque. Il verbo in oggetto significa, infatti, "togliere (temporaneamente) vigore a una legge, a un contratto e simili".
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Intervento di Freelancer »

Devo confessare che mi stranizza leggere "al titolare di lingua di un importante giornale quotidiano cartaceo e in rete" invece di "al linguista Giorgio De Rienzo, titolare della rubrica di lingua sull'edizione in rete del Corriere della Sera".
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Freelancer ha scritto:Devo confessare che mi stranizza leggere...
Stranizza? :?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

Marco1971 ha scritto:
Freelancer ha scritto:Devo confessare che mi stranizza leggere...
Stranizza? :?
Su "stranizzare" (non attestato, credo, nei vocabolari), gogulando ho trovato
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” FACOLTÀ DI LETTERE E ...Formato file: Microsoft Word - Versione HTML
Si tratta di neoformazioni, di parole costruite senza una grossa spinta da parte del dialetto (per es. scarrozzo, stranizzare)...
Potrebbe essere accettabile :idea:

PS: "Scarrozzare", però, è già attestato nel Dizionario Etimologico del Pianigiani...
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ma cosa vorrebbe dire mi stranizza, se non «mi fa un effetto strano» e quindi «mi stupisce»? Tecnicamente, mi pare che «-izzare» si adoperi nel senso di «rendere, ridurre»: vivacizzare > «rendere vivace»; atomizzare > «ridurre in minutissime goccioline», ecc. Dunque stranizzare, a rigor di logica, varrebbe «rendere strano»: In questo romanzo la realtà è stranizzata mi sembrerebbe accettabile e conforme alla semantica degli elementi costitutivi.

Vero è che il GRADIT aggiunge (voce -izzare):

...per formare verbi fattivi [...] che esprimono i valori rendere, ridurre, o indicano relazione generica con il sostantivo o l’aggettivo di base...

Ma possiamo, nel nostro caso, parlare di verbo fattivo (sinonimo di verbo causativo), ossia che esprime un’azione che il soggetto fa compiere ad altri?

Naturalmente l’uso è l’uso e se questo modo di dire si consoliderà potremo solo accettarlo, anche se ben formato, a mio modo di vedere, non è.

P.S. Gugolando... ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Ma cosa vorrebbe dire mi stranizza, se non «mi fa un effetto strano» e quindi «mi stupisce»?
Guardando (velocemente) alcuni esempi dell'uso in rete, sembrerebbe per l'appunto che molti dicano mi stranizza con il semplice significato di mi stupisce. Io invece l'ho voluto usare con il significato di mi fa un effetto strano, che secondo me non è esattamente la stessa cosa di mi stupisce, perché lo stupore implica la diversità rispetto a qualcosa di inatteso, ossia a un'aspettativa può seguire lo stupore ("mi ha stupito che sia stato bocciato agli esami, sembrava così preparato!"), mentre è possibile non avere alcuna aspettativa ma provare un certo straniamento al manifestarsi di qualcosa (ad esempio, se uno ha già letto qualcosa di Gadda potrebbe rimanere stranizzato da certo suoi artifici linguistici non ancora incontrati, ma non certo sorpreso).
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non è tutto questo un eccessivo arzigogolare? Intanto il verbo stranizzare non è lemmatizzato né in quel senso né in quello che dovrebbe essere. Nell’esempio «se uno ha già letto qualcosa di Gadda potrebbe rimanere stranizzato da certo suoi artifici linguistici non ancora incontrati» io direi semplicemente «rimanere colpito/perplesso». Insomma, non credo che il verbo stranizzare venga a colmare alcuna insufficienza della lingua e lo considero una creazione popolare da evitare in buon italiano.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Sono d'accordo con lei; è familiare e va evitato in un registro più sorvegliato. Secondo lei quando si scrive in questo forum bisogna cercare di sorvegliare sempre il proprio registro o ci si può saltuariamente permettere deviazioni dalla norma?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Le dirò, caro Roberto, che io non ero a conoscenza di stranizzare, e per questo ne rimasi stranito. :D

Naturalmente siamo liberi, qui, di adoperare anche il registro familiare; tuttavia, da lei, che sorveglia sempre la lingua, non mi sarei aspettato un tale colloquialismo non ufficiale. ;)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Le dirò, caro Roberto, che io non ero a conoscenza di stranizzare, e per questo ne rimasi stranito. :D

Naturalmente siamo liberi, qui, di adoperare anche il registro familiare; tuttavia, da lei, che sorveglia sempre la lingua, non mi sarei aspettato un tale colloquialismo non ufficiale. ;)
Ammetto di averlo gettato lì perché volevo saggiare le reazioni.

Le avevo teso una trappola nel mio messaggio precedente ma lei ne è sfuggito con arguzia. O forse sono stato troppo criptico. :wink:
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Forse è stato criptico, o forse si riferisce ai miei scarti dalla norma, che sono sempre di registro alto, non colloquiale? :roll:
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Sono pur sempre scarti dalla norma.
:wink:

Però sono deliberati, quindi sono un'affermazione del suo stile. A ognuno poi gradirlo o no.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ma il discostarsi dalla norma tendendo verso l’alto (talvolta con accorgimenti grafici) è un po’ diverso dall’introdurre forme non registrate e mal formate; o almeno per me le due cose vanno poste su piani linguisticamente differenti.

Non le sto rimproverando nulla, sia chiaro, ché il suo italiano è, a parer mio, quasi sempre esemplare. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Marco1971 ha scritto:Ma il discostarsi dalla norma tendendo verso l’alto (talvolta con accorgimenti grafici) è un po’ diverso dall’introdurre forme non registrate e mal formate; o almeno per me le due cose vanno poste su piani linguisticamente differenti.
Direi che non c'è dubbio sull'ultima parte della sua affermazione, mentre farei qualche appunto sulla prima parte, anche se temo che rischiamo di imboccare strade già percorse: più importante ancora del fatto che lo scarto dalla norma vada verso l'alto anziché verso il basso, è che esso non introduca interferenze nella comunicazione.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Potrei allora dirle che il suo mi stranizza è stato un lievissimo intralcio alla comunicazione, ma questo lo sa già, e anche il fatto che io non amo la lingua sclerotizzata e scontata.

La comunicazione efficace, sí; il costante avversare la novità nel timore che ciò possa creare incomprensione, no: non è ragionevole, infatti, sottovalutare le facoltà intellettuali dei nostri interlocutori, che poco dopo capiscono: facciamo lavorare le loro capacità intellettive, e questo non è certo un male.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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