La guru

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

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Brazilian dude
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La guru

Intervento di Brazilian dude »

Guru è giusto come sostantivo femminile? Il dizionario Garzanti in linea dice di no. Mi sono sorpreso un po' quando l'ho visto in questo articolo:

IL GAP GIOVANI - In un’intervista alla Cnn trasmessa mercoledì mattina, un’autorevole guru dell’informatica si è chiesta se Hillary abbia abbastanza tempo per colmare «il gap giovani». !

Ma se si voleva sottolineare che il guru è femmina, quale sarebbe stata una buona alternativa che tenesse in conto la grammatica? Un autorevole guru donna dell'informatica si è chiesto? (non mi piace molto) Una donna, autorevole guru dell'informatica, si è chiesta? (un po' migliore dell'opzione anteriore)

Grazie dei vostri commenti.

Brazilian dude
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Guru è di genere esclusivamente maschile. Si tratta pertanto d’un errore di grammatica (come dire *la sosia per il sosia o *la capo per il capo). Per indicare che si tratta d’una donna, si ricorre alle soluzioni da lei indicate (meglio la seconda).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Si tratta pertanto d’un errore di grammatica (come dire *la sosia per il sosia...
Sosia è anche femminile invariabile (GRADIT, DISC 2002, Devoto-Oli 2007, Garzanti in linea) e guru è riportato come invariabile di entrambi i generi nel Devoto-Oli 2007.

Non parlerei quindi di errore di grammatica. La variabilità di genere, in queste denominazioni, ammette una certa elasticità non sempre registrata dai dizionari.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Va bene, alcuni dizionari registrano questo tralignamento. Ma tralignamento resta, ché questo mutar di genere non ha ragion d’essere, e incoraggiando siffatti capricci si finisce coll’accettare tutto, anche il giraffa e simili. Il miglior uso consiglia il guru, il sosia, anche riferiti a donne. Non verrebbe in mente a nessuno di maschilizzare la guardia in il guardia per sottolineare che si parla d’un uomo. Almeno spero!
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Daniele
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Intervento di Daniele »

Marco1971 ha scritto:Il miglior uso consiglia il guru, il sosia, anche riferiti a donne.
Ehm, mi permetto di intervenire dagli abissi della mia ignoranza… A me non parrebbe affatto strano dire: «Hai visto Marisa? È la sosia di Nilla Pizzi! Identica!» Mi par di capire che invece lei, Marco, sostenga che bisogna dire Marisa è il sosia di Nilla Pizzi. È così?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, caro Daniele. Riporto le parole del solito Gabrielli (Si dice o non si dice?, Milano, Mondadori, 1976, pp. 88-89).
Quante volte ho letto e sentito frasi come queste: «Anna è la sosia di sua madre», «Quell’attrice non è certo la sosia della Garbo», parlando di due persone che si somigliano come due gocce d’acqua o non si somigliano affatto. E tutte le volte mi vien da dire: che erroraccio! Erroraccio perché? Ma perché sòsia è un nome maschile, e maschio ha da restare, anche se da nome proprio una trasformazione l’ha già fatta divenendo nome comune.

Infatti questo Sosia, per chi non lo ricordasse, è il nome del servo di Anfitrione, nella famosa commedia di Plauto. (Di nomi maschili in -a ce n’è parecchi, basterebbe ricordare Enea, Leònida, Bàrnaba e Bàbila: vero è che a Milano il popolo dice naturalmente santa Babila!) Nella commedia plautina accade che un giorno Mercurio, mandato sulla terra da Giove, assume l’identico aspetto di Sosia, allo scopo di giocare alcune beffe diciamo piccanti all’infelice Anfitrione. Questo soggetto fu poi ripreso dal Molière nella commedia intitolata appunto Amphytrion; e il nome del servo, divenuto subito popolarissimo in Francia, da proprio si trasformò in comune, venendo a indicare persona somigliantissima a un’altra al punto da essere scambiata con questa. Noi riprendemmo il termine dal francese in questa accezione figurata verso la metà dell’Ottocento. Ma sempre come termine maschile, si capisce. Perciò dobbiamo dire il sosia, nel plurale i sosia, sia con riferimento a uomo sia con riferimento a donna. Non possiamo dare a Sosia una sorella dallo stesso nome! Diremo quindi correttamente: «Anna è il sosia di sua madre», «Quell’attrice non è certo il sosia della Garbo». Stona quel maschile accostato a un femminile? Ma stona forse dire «Anna è il ritratto, il doppione, il modello, lo stampo di sua madre»?

Una volta una signora mi scrisse press’a poco cosí, a proposito appunto di questo sosia: «Lei sostiene che sosia resta sempre maschile anche se riferito a donna. Ma con la parola mecenate, per esempio, come ci si deve regolare? Si deve dire che la signora tale è il mecenate degli artisti? Non sente ch’è una stonatura?»

Non sento; la sentirei se si dicesse «la mecenate». Mecenate era un fior di cavaliere romano, fors’anche con tanto di barba, e non vedo perché, trasformandosi il suo nome in comune, dovrebbe cambiar di sesso. Non tutti i nomi, che diamine, possono avere i due generi. D’altra parte questi accostamenti di due generi opposti, in similitudini e paragoni, sono frequentissimi. Di una donna che veste con colori sgargianti e male accostati si dice che è un arlecchino e non già «un’arlecchina»; cosí come si dà del pappagallo, e non della «pappagalla», a donna che imita pose e abiti di altra persona; un uomo che ha modi e arti raffinate di seduzione può essere definito una sirena e mai «un sireno», ché di sireni maschi non s’è mai vista l’ombra in nessuna mitologia. Certe lanciatrici russe di peso o di disco, massicce e muscolose, sembrano altrettanti ercoli, nome che piú maschile di cosí non si potrebbe. Voglio dire che quando si vuole usare un vocabolo bisogna usarlo a dovere senza forzature di sorta, specialmente di sesso. Che se poi all’orecchio certi accostamenti stonano, c’è sempre il modo di girare l’ostacolo: per sosia, s’è già visto che il ritratto, il modello e simili vanno benissimo; per mecenate anche piú semplice: diciamo che quella tal signora è la protettrice, la benefattrice, la sostenitrice degli artisti e l’orecchio sarà accontentato.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Daniele
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Intervento di Daniele »

Grazie! Quante cose sto imparando grazie a lei e a Cruscate! E Gabrielli! Oh, Gabrielli! (Troppi punti esclamativi?) :wink:
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Va bene, alcuni dizionari registrano questo tralignamento. Ma tralignamento resta, ché questo mutar di genere non ha ragion d’essere, e incoraggiando siffatti capricci si finisce coll’accettare tutto, anche il giraffa e simili. Il miglior uso consiglia il guru, il sosia, anche riferiti a donne.
Le cose non mi sembra che stiano proprio così.
A parte il suo giudizio personale, non condivisibile, che si tratti di un tralignamento, la maggior parte (e non solo alcuni) dei nostri migliori vocabolari, almeno su sosia, la pensa diversamente da lei. Alla lista che ho fornito in precedenza aggiungo il Battaglia e il Garzanti 2007 (cur. Patota); quest’ultimo dà anche il femminile di guru, naturalmente sempre senza riprovarne l’uso.
Da questa panoramica si può desumere che il femminile di sosia è indiscutibilmente consolidato e accettato (perché probabilmente di attestazione più antica); quello di guru, è registrato solo in alcuni autorevoli lessici più recenti ma ha tutte le carte in regola per seguire la sorte di sosia.

Se vogliamo dare un’indicazione equilibrata a chi ci segue dobbiamo dire che, riferendosi a una persona di sesso femminile, possiamo oggi usare entrambi i generi delle parole sosia e guru.
L’uso del genere maschile è quello più tradizionale ma l’uso del genere femminile non è affatto errato.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Forse non è possibile dare un'indicazione univoca sia su sosia sia su guru.
Serianni indica sosia come maschile, ma Sabatini-Coletti lo registra come s.m e f. inv., mentre per guru solo s.m. inv. (Lo stesso fa il De Mauro).
Il Devoto-Oli 2008 registra sia sosia sia guru come s.m. e f. inv., avallando l'uso recente.

Quello che mi sentirei di contestare è la diversità di trattamento tra i due termini che fanno Sabatini-Coletti e De Mauro. O si considerano entrambi s.m. o entrambi s.m. e f. Che ragione c'è di distinguerli?

Sicuramente, considerarli esclusivamente m. è piú in linea colla tradizione, ma usarli anche al femminile non lo definirei errato.
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Ladim
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Intervento di Ladim »

Di passaggio, e ripetendo il già detto, qui e altrove: i fautori dell'«analogia» avrebbero gli stessi titoli di quelli dell'«asianesimo» – l'Uso impera. A chi ama la conversazione rimangono i criteri. Se «sosia» vuole essere comunque un 'predicativo antonomastico diminuito' (nella consonante iniziale), il genere andrebbe salvato e mantenuto (ma è qui il criterio analogico, che pensa alla trasparenza grammaticale; l'asianista allora direbbe che è più trasparente accordare il genere etc.).

L'animus, però, mi chiede di conservare ['filologicamente'] la memoria del povero servo plautino...
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Ladim ha scritto: L'animus, però, mi chiede di conservare ['filologicamente'] la memoria del povero servo plautino...
E la sua è una scelta possibile e rispettabile (mentre in altri casi una simile forma di rispetto filologico sarebbe inaccettabile).
Ma non si può, a mio parere, parlare di tralignamento o, peggio ancora, di errore per chi optasse per l'altra possibilità ammessa dai dizionari.
Chiunque conosca un po' di storia delle lingue noterebbe che cambiamenti ben più significativi hanno portato alla norma attuale (cambiamenti oggi accettati, più o meno consapevolmente, anche dai puristi più intransigenti): se la maggior parte dei nostri migliori lessici indica una possibile variabilità di genere, noi cultori dilettanti [parlo per me, naturalmente] della lingua dovremmo prenderne atto (con un po' d'umiltà) e non giudicare in base a nostri modelli teorici lontani dalla realtà della lingua viva.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non mi fondo su alcuna teoria ma sull’osservazione dell’uso dòtto. Una persona cólta (chiamo cólte, in ambito linguistico, soprattutto le persone che per lunga frequentazione hanno grande dimestichezza colla letteratura) non scriverebbe mai, credo, la sosia, che, come la soprano, appartiene a una lingua meno sorvegliata (si dice il soprano Maria Callas nell’uso formale). Ora non sto piú dicendo che sia errato la sosia, visto che è ammesso da molti vocabolari che si credono in dovere d’essere imparziali; sto dicendo che se mi si chiede quale tra le due sia la forma da preferire, non c’è dubbio che sia quella maschile. Poi ognuno parla e scrive come vuole, anche se chi s’affaccia sulla nostra piazza, generalmente, sembra desideroso di esprimersi nel miglior italiano possibile e chiede consigli su quanto non detto dai dizionari.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
methao_donor
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Intervento di methao_donor »

E questa mi pare una risposta lucidissima e intelligente. Anche perché, se il punto stesse nel sapere ciò che riportano i dizionari, basterebbe consultar questi e non avremmo neanche una discussione attiva. :D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Procedendo sulla strada di sosia dovremo dire allora anche una cicerone, una barabba, un’anfitrione, una catone, una pigmalione, una carnèade, una maramaldo, e cosí via? Se non vi stona, non so che dire... :?
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: Poi ognuno parla e scrive come vuole, anche se chi s’affaccia sulla nostra piazza, generalmente, sembra desideroso di esprimersi nel miglior italiano possibile e chiede consigli su quanto non detto dai dizionari.
Bene. Messa in questi termini la questione si riduce a un’accettabile divergenza su quali siano i limiti del «miglior italiano possibile». :)

Mi sembra utile riportare quanto sosteneva, già nel 1927, Bruno Migliorini nel suo fondamentale Dal nome proprio al nome comune (Appendice, pp. 332-3; sottolineatura mia):
Naturalmente solo con i nomi di persona, sia propri che appellativi, ha luogo la cosiddetta mozione. Scarse sono le coppie regolari paragonabili ad Antonio-Antonia o autore-autrice, molto più numerose quelle create per un movente affettivo, più o meno scherzoso (paragonabili ad avvocato-avvocatessa). Per questa femminilizzazione di nomi usualmente maschili o mascolinizzazione di nomi usualmente femminili si ricorre a vari espedienti: ora la semplice desinenza: una cerbera, una minotaurail ninfo Egerio, un santippo…, ora nomi o aggettivi da cui risulti il genere (signorina Edipo, un Nerone femmina…).
Il valore affettivo di queste creazioni è tanto meno sensibile quanto più il vocabolo ha preso salde radici nel vocabolario comune: una beniamina può essere usato anche fuori di scherzo.
E in qualche caso, anche il fattore formale può avere la sua importanza: una sosia o una mecenate non urtano, o, in altri termini hanno minore efficacia affettiva, perché hanno desinenze che possono valere anche per il femminile.
E questa è la trattazione sul Nuovo DOP in linea (la vecchia edizione riportava solo il genere maschile).

Come si vede, anche qui non si trova alcuna osservazione negativa sulla variante femminile di sosia ma solo una considerazione sulla sua frequenza.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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