Cosa leggi?

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

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Daniele
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Cosa leggi?

Intervento di Daniele »

Ricordo di aver letto (su Come parlare e scrivere meglio di Gabrielli, credo) che la forma "Cosa leggi?", così come "Cosa fai?" e simili, è da considerarsi errore, essendo la forma corretta: "Che cosa leggi?"
Mi pare però che la forma considerata errata sia entrata largamente nell'uso. È dunque ancora da considerarsi errata la forma senza il che, oppure no? È accettabile, per esempio, nei dialoghi televisivi o cinematografici? E nello scrivere?
Evito di aprire un altro filone, e faccio qui le stesse domande per Ho fatto sia questo che quello: è ancora da considerarsi errore o no?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Riguardo all’uso di sia...sia/che la rimando a questa scheda dell’Accademia, che condivido.

In italiano stàndaro la forma preferibile è che cosa o che (quest’ultima va bene in tutti i registri). Il solo cosa interrogativo è della lingua familiare, sta bene nel parlato e nello scritto informale, ma non si può usare in scritti di stile sostenuto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Eviterei le affermazioni perentorie come "non si può usare" e inoltre mi sembra esista una contraddizione tra "scritti di stile sostenuto" e una forma che sostituisce un pronome in una interrogativa diretta. Cosa al posto di che cosa fa parte di quell'italiano dell'uso medio che, come scrive Michele Cortelazzo in Italiano d'oggi, "...si caratterizza, rispetto all'italiano standard, per la risalita verso la norma (certamente orale, in gran parte anche scritta) di esiti, in genere riscontrabili da tempo nella lingua italiana, fino ad ora considerati non standard, normativamente non accettabili."

Ecco cosa scrive Luca Serianni nella sua Grammatica italiana:
Che si alterna, tanto nelle interrogative dirette quanto nelle indirette, con che cosa e con l'ellittico cosa. Le tre forme sono tutte molto comuni nell'uso, al più possiamo notare (con Sabatini 1985:165) che, specie nelle interrogative dirette, "ha perduto terreno che cosa e si va affermando sempre più il semplice cosa, di provenienza settentrionale, mentre il che di provenienza meridionale, e ovviamente predominante da Roma in giù, a livello nazionale si è fissato, più che altro" in talune formule (come che so? 'ad esempio', che dire? 'che importa? ecc.)
Cosa invece di che cosa fu spesso osteggiato dai grammatici del secolo scorso, ma si diffuse ampiamente grazie al largo impiego fattone dal Manzoni nell'edizione definitiva dei Promessi sposi.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Nessuno, che abbia un minimo di cultura, userebbe cosa interrogativo, diretto o indiretto, in uno scritto formale. Parlavo di registri, e cosa, in questo senso, è sentito come colloquiale. Manzoni stesso, infatti, lo adopera nel discorso diretto.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

La domanda iniziale chiedeva se era da considerarsi errore l'uso di cosa. La risposta è che non lo è. Per utili indicazioni sul suo uso, oltre a quanto ho riportato si può leggere la voce "Cosa o "che cosa"? nel Museo degli errori di Aldo Gabriell, sempre tenendo presente che lo si userà in interrogative dirette o indirette e che quindi con lo scritto formale ha ben poco (o nulla) che vedere.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Condivido completamente gl’interventi di Roberto.

Davvero non capisco come si possano sollevare obiezioni del tipo: “Nessuno, che abbia un minimo di cultura…” dopo la puntuale citazione tratta dalla Grammatica del Serianni (VII.256).

Vorrei anche sottolineare la posizione del Sabatini che registra il semplice cosa come forma predominante nell’italiano dell’uso medio (da altri definito neostandard); varietà d’italiano non identificabile con quella colloquiale.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Daniele
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Intervento di Daniele »

Vediamo se ho capito: sto scrivendo un dialogo per un film, o un racconto. Se il commendator Frescobaldi si rivolge al giovane praticante è preferibile che io gli faccia dire: "Che cosa hai fatto? Ti avevo detto di riordinare sia le pratiche del 2006 sia quelle del 2007!"
Se invece la signora Marisa, fruttivendola del popolare quartiere Gratosoglio, alla periferia di Milano, si rivolge alla sua apprendista, le posso far dire: "Cosa hai fatto? Ti avevo detto di prezzare sia i peperoni che le zucchine!"
Ma se in un film sento il commendator Frescobaldi rivolgersi al suo inserviente con: "Cosa hai fatto? Ti avevo detto di riordinare sia le pratiche del 2006 che quelle del 2007!" devo ritenere questa forma poco consona al personaggio, oppure va bene lo stesso? Trattandosi di dialoghi, quindi di italiano parlato, devo fare delle distinzioni, oppure anche il commendatore può usare l'italiano dell'uso medio?
Chiedo scusa se i due esempi non sono forse precisamente rappresentativi, ma spero di aver reso l'idea del dubbio che spesso mi si presenta, specialmente leggendo dialoghi per la televisione.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Daniele ha scritto: ... se in un film sento il commendator Frescobaldi rivolgersi al suo inserviente con: "Cosa hai fatto? Ti avevo detto di riordinare sia le pratiche del 2006 che quelle del 2007!" devo ritenere questa forma poco consona al personaggio, oppure va bene lo stesso?
In questo caso non ci sono dubbi: va bene lo stesso. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sí, nel parlato vanno bene tutte e tre le forme. Scrive Gabrielli (Il museo degli errori, Milano, Mondadori, 1977, pp. 180-181):

...chi ha buon orecchio sa quando sia da preferire l’una e quando l’altra. Cosa appare piú sciolto, piú sbrigativo, che cosa piú lento, piú incisivo, piú netto. Ma non dimentichiamo una terza forma, quella del semplice che, pronome interrogativo di valore neutro che spesso a un buon orecchio non pare sostituibile né con cosa né con che cosa... [...] ...appare chiaro che tutt’e tre le forme fanno comodo a chi, sapendo scrivere, non mette le parole a caso come vien viene.

Ribadisco tuttavia che in testi formali il solo cosa stona, come forma non in chiave con la necessaria sostenutezza della lingua formale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Freelancer »

Daniele ha scritto:…Se il commendator Frescobaldi si rivolge al giovane praticante è preferibile che io gli faccia dire: "Che cosa hai fatto? Ti avevo detto di riordinare sia le pratiche del 2006 sia quelle del 2007!"
Se invece la signora Marisa, fruttivendola del popolare quartiere Gratosoglio, alla periferia di Milano, si rivolge alla sua apprendista, le posso far dire: "Cosa hai fatto? Ti avevo detto di prezzare sia i peperoni che le zucchine!"
Ma se in un film sento il commendator Frescobaldi rivolgersi al suo inserviente con: "Cosa hai fatto? Ti avevo detto di riordinare sia le pratiche del 2006 che quelle del 2007!" devo ritenere questa forma poco consona al personaggio, oppure va bene lo stesso?…
Va bene Cosa in tutti i casi, perché si tratta di parlato, e se si vuole riprodurre fedelmente il parlato, allora si fa parlare la gente in modo realistico, a meno che non si stia caratterizzando una persona che parla, per l'appunto, come un libro stampato e si voglia raggiungere un certo effetto stilistico. Insomma chiunque, parlando colloquialmente, userà molto probabilmente Cosa.

Vorrei però rispondere all'obiezione di Marco, che capisco. Il fatto è, mi sembra, che il Che cosa dia ormai un tono molto sostenuto al discorso, anche scritto. Immaginiamo di tradurre il titolo di un opuscolo di argomento informatico che reciti What is an agent-less PC architecture? L'italiano, si sa, userebbe un registro un po' più formale dell'inglese in un opuscolo, ma se comunque si decidesse che la resa del titolo debba pure essere "a domanda", mi sembra che un Che cosa è un'architettura PC che non fa uso di agenti? conferirebbe al tutto un tono alquanto inamidato rispetto a un più sciolto Cos'è...

Si può richiamare a tale riguardo quanto scrive Giovanni Nencioni in Il destino della lingua italiana:
"...c'è un italiano scritto che, sotto la pressione del parlato, va semplificando le strutture sintattiche e spogliandosi di arcaismi, di forme elette, di varianti sinonimiche per avvicinarsi a quel livello di lingua media comune cui il parlato tende. Siamo in una fase di sperimentazione non riflessa, ma collettiva e spontanea; nella quale - per fare qualche esempio - ci accorgiamo a un tratto che se diciamo, o anche scriviamo, 'Considerandoli amici, ho fatto loro questa proposta' invece di '...gli ho fatto questa proposta" [...] ci sentiamo in pace con l'aurea grammatica, ma nel numero di coloro (non già di quelli) che parlano distinto. Tanto ormai è galoppante il ritmo della lingua. E l'acuita sensibilità di quel ritmo e delle sue implicazioni ci conferma che una diffusa coscienza linguistica va sorgendo anche in Italia.
Ultima modifica di Freelancer in data ven, 06 giu 2008 18:47, modificato 1 volta in totale.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non sono molto d’accordo sul tono «inamidato»: Che cos’è un’architettura...? (con la normale elisione di cosa davanti a è) non mi pare né artificioso né estremamente formale: Che cos’è? si usa tuttora anche nel parlato.

Sarà forse una mia ubbía, ma per me Cos’è? appartiene a un registro medio-basso, e in un testo di stile sostenuto sarebbe, sempre per me, una caduta di stile.

Grazie, Roberto, per la citazione di Nencioni. :)
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Intervento di bubu7 »

A proposito del fatto che la forma cosa non appartenga necessariamente a registri medio-bassi (il Gabrielli non fa alcun cenno a questa restrizione) riporto alcune posizioni di puristi ottocenteschi riprese dal luogo citato da Marco.
Aldo Gabrielli ha scritto:Il rigidissimo Fanfani, confortato dal fatto che il semplice cosa è comunissimo in Toscana, gli apriva volentieri le braccia, e aggiungeva che «anzi, in taluni casi, può tornar bene ed elegante, in ispecial modo nella poesia». Il Fornaciari così si esprimeva: «il vietare come novità queste maniere quando siano usate con parsimonia e con garbo, pare a me soverchio e ingiustificato rigore».
Direi quindi che la forma che cosa è sicuramente più frequente in registri formali ma che la più snella forma cosa non ne è bandita.
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V. M. Illič-Svitič
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:Direi quindi che la forma che cosa è sicuramente più frequente in registri formali ma che la più snella forma cosa non ne è bandita.
Non ne è bandita, si tratta di stile. In documenti ufficiali credo però che lo scrivente opterà piú facilmente per che cosa in contesti come questo: Da che cosa dipende l’artisticità di un’opera?. Da cosa dipende...? suona, come dice Gabrielli, piú sbrigativo, cioè meno formale. Son quisquilie, ma se si parla di registro formale, si parla solo di quello.
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