«Li si conta» o «li si contano»?

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

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Ferdinand Bardamu
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«Li si conta» o «li si contano»?

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Buonasera a tutti. Mi chiedevo quale delle due forme, «li si conta» o «li si contano», sia quella corretta.

So che, sulla scorta del Serianni, se un verbo transitivo in forma impersonale ha un oggetto espresso, il valore della particella «si» passa da impersonale a passivante, con conseguente adeguamento della flessione dalla 3° alla 6° persona: «non si mangia», «non si mangiano cibi grassi».

Tuttavia, nel caso in cui l'oggetto sia espresso da un pronome personale atono in posizione proclitica, non è obbligatorio mantenere il «si» impersonale e la 3° persona?

Grazie in anticipo delle vostre risposte.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Premesso che questo lo/li/la/le andrebbe evitato in buon italiano perché inutile (la discussione è qui), direi che la forma normale prevede l’accordo, quindi si contano.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Anche a me la sequenza «li si + verbo», sentita da non so che personaggio in tv, suona come trascurata (e adesso grazie a lei ne ho una prova).

Ho pensato subito a «si contano», senza l'inutile «li», come forma corretta (anche perché il «li», in questo caso, dovrebbe avere la funzione di soggetto, cosa grammaticalmente inaccettabile); poi, però, m'è venuto un dubbio.

Come sempre grazie, gentile Marco. :D
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Prego, caro Ferdinand. :) Mi sembra utile anche qui riportare la trattazione della GGIC (vol. I, I.6.2., p. 102):

Quando nella costruzione con il si impersonale abbiamo un verbo transitivo con il suo complemento oggetto (581), esiste una variante in cui il compl. oggetto diventa soggetto del verbo (e quindi si accorda con esso). Il nuovo soggetto può trovarsi prima o dopo il verbo (582):

(581) Si mangia le mele. (le mele = compl. oggetto)
(582) Si mangiano le mele. / Le mele si mangiano. (le mele = soggetto)

Questa variante, che chiameremo del si passivo, è obbligatoria in molte varietà dell’italiano se il compl. oggetto non è un pronome clitico; in altre varietà, specialmente toscane, è facoltativa. In altre parole, la frase (581) è accettabile solo per una parte degli italofoni, mentre (582) è accettabile per tutti. Se il compl. oggetto è un pronome clitico, per tutti gli italofoni sono accettabili le due varianti: quella con il compl. oggetto (583) e quella in cui il compl. oggetto diventa soggetto (584):

(583) Le si mangia.
(584) Esse/Ø si mangiano.

(Per l’espressione o meno [:evil:] del pronome soggetto in (584), cfr. XI.1.4.). In alcune varietà è accettata anche la forma Le si mangiano.


Meglio evitare questi clitici riempitivi ed esser sicuri di non sbagliare. ;)
Ultima modifica di Marco1971 in data ven, 03 set 2010 19:17, modificato 1 volta in totale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Decimo »

La GGIC ragionevolmente notifica l’accettabilità e la diffusione della variante col clitico oggetto («le si mangia») —pure tanto invisa ai puristi— rammentandocene la continuità logica con il costrutto del si impersonale (toscano e letterario, dunque pur sempre normale).

Perciò, caro Marco, contrariamente a quanto fa lei, proscriverei solo la [illogica e agrammaticale] variante di compromesso citata in calce («le si mangiano»), che non esiterei a far precedere dall’asterisco.
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non detengo alcun potere di proscrizione, né desidero essere considerato un «dittatore» della lingua: i miei sono semplici consigli dettati da un certa dimestichezza con il buon uso della lingua. Poi ognuno si regola come vuole. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Decimo »

Marco1971 ha scritto:i miei sono semplici consigli dettati da un certa dimestichezza con il buon uso della lingua.
Non mi permetto certo di dubitarne, Marco, —figuriamoci— ma per quale ragione il si passivante con clitico oggetto paleserebbe un cattivo uso della lingua?
V’ha grand’uopo, a dirlavi con ischiettezza, di restaurar l’Erario nostro, già per somma inopia o sia di voci scelte dal buon Secolo, o sia d’altre voci di novello trovato.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Non ho tempo ora per fare ricerche puntuali nella letteratura. Chiarirò dunque per sommi capi solo il mio principio di accoglimento nel buon uso.

Personalmente, considero che il buon italiano non debba, in linea di massima, contrastare troppo con la tradizione letteraria – per certi usi moderni, anche solo di Otto e Novecento.

Nel caso oggetto di questo filone, non reputo che la consuetudine, invalsa nell’uso in maniera sistematica, dell’inserimento dei clitici nella costruzione lo/la/li/le si rientri nel campo del buon gusto, per solito estraneo a ogni tipo di automatismo.

Con questo non esprimo alcuna condanna, visto che non stride apertamente con le strutture dell’italiano; ma non lo ritengo elegante.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Decimo »

Marco1971 ha scritto:Personalmente, considero che il buon italiano non debba, in linea di massima, contrastare troppo con la tradizione letterari…
Che la prosa letteraria e —piú in generale— il buon uso della lingua siano il felice esito di rispetto della tradizione e attenzione per la contemporaneità credo sia pacifico. L’italiano di ogni secolo diverge naturalmente dall’italiano del secolo precedente, a causa dell’introduzione [piú o meno cauta] di novità lessicali e sintattiche (e nel caso in oggetto non si tratta nemmeno di una vera e propria «novità»): mi sovviene a esempio la censura del purista Petrocchi, che riprovò del Manzoni l’uso «neanche veramente toscano» del costrutto pron. procl. + v. copul. (e.g. «lo è»), proponendo —nel suo commento a I promessi sposi— rielaborazioni a suo avviso piú eleganti.

È chiaro che atteggiamenti simili, al vaglio della posterità, lasciano il tempo che trovano.
Marco1971 ha scritto:– per certi usi moderni, anche solo di Otto e Novecento.
Mi trova d’accordo, ma quando fa finire lei il Novecento? Se le sue ricerche si fermano al primo decennio del secolo scorso, e non tengono conto, per esempio, dei romanzi di Umberto Eco, non è possibile intavolare un discorso serio. Io, per scrupolo, e per fornire la tanto cercata «legittimazione» letteraria, riporto una ricorrenza del costrutto incriminato da Il nome della rosa (cors. mio):

Avevo sempre creduto che la logica fosse un’arma universale e mi accorgevo ora di come la sua validità dipendesse dal modo in cui la si usava. (Umberto Eco, Il nome della rosa, Quarto giorno, Laudi)
Marco1971 ha scritto:…nel buon gusto, per solito estraneo a ogni tipo di automatismo.
Il buon gusto è probabilmente estraneo all’abuso —conveniamo— ma non alla spontaneità. Diversamente, diremmo «automatismo» tutto il lessico e tutta la sintassi di alto uso.
Marco1971 ha scritto:Con questo non esprimo alcuna condanna, visto che non stride apertamente con le strutture dell’italiano; ma non lo ritengo elegante.
Non solo non stride con le strutture dell’italiano, ma salvaguarda dall’estinzione un costrutto altrimenti confinato all’italiano regionale toscano. Quanto alla presunta ineleganza, credo di aver argomentato a sufficienza perché un tale giudizio sia [ormai] scongiurato.
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Intervento di Infarinato »

Decimo ha scritto:Non solo non stride con le strutture dell’italiano, ma salvaguarda dall’estinzione un costrutto altrimenti confinato all’italiano regionale toscano.
In realtà si tratta di due costrutti sintatticamente e storicamente ben distinti (il che spiega anche perché il secondo, [molto] piú recente [e di probabilissima origine settentrionale], urti il sensibilissimo orecchio di Marco: il secondo costrutto, di toscano, non ha proprio nulla): si veda il secondo punto di questo mio vecchio intervento, e soprattutto l’illuminante articolo del Salvi ivi citato.
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Intervento di Decimo »

Infarinato ha scritto:In realtà si tratta di due costrutti sintatticamente e storicamente ben distinti…
Oh, perbacco. :oops:

Ora è tutto piú chiaro, ma mi resta un dubbio sulla conclusione del Salvi: dall’articolo si desume che storicamente l’italiano conosce solo il si passivo (con mancato accordo col soggetto quando quest’ultimo segue il verbo), ma se si ammette di essere di fronte a un si impersonale [solo] quando il sintagma nominale è sostituibile da un clitico accusativo (caso questo di tutti i verbi [potenzialmente] transitivi), non si rischia di stravolgerne la corretta interpretazione?

P.S. Leo Pestelli vorrebbe il costrutto dedotto «per una falsa analogia dal costrutto dell’on francese». Ma non assicuro circa l’attendibilità…
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Intervento di Infarinato »

Decimo ha scritto:…ma se si ammette di essere di fronte a un si impersonale [solo] quando il sintagma nominale è sostituibile da un clitico accusativo (caso questo di tutti i verbi [potenzialmente] transitivi), non si rischia di stravolgerne la corretta interpretazione?
In che senso, scusi? Potrebbe esplicitare il suo pensiero?
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Intervento di Decimo »

Sí, certamente. Nel secondo punto del suo intervento lei conclude:
Infarinato ha scritto:Secondo il Salvi, quindi, solo quando il sintagma nominale è sostituibile da un clitico accusativo, siamo di fronte a un vero «si impersonale»
Il che pare in contraddizione con quanto si evince dal corpo dell’articolo, e cioè che anche nei casi in cui il presunto sintagma nominale (in realtà vero soggetto della frase) è apparentemente sostituibile da un clitico accusativo, siamo ancora in presenza di un si passivo con mancanza di accordo, e non con un si impersonale.

Quindi, nell’esempio «si mangia le mele» abbiamo in realtà un costrutto con si passivo, non riducibile a «le si mangia» —«le mele» è soggetto, non complemento oggetto—, contrariamente a quanto si deduce dall’esposizione della GGIC (dalla quale ho preso le mosse per il mio errato giudizio) o dalla conclusione riportata, di cui chiedo delucidazioni.
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Intervento di Marco1971 »

Decimo ha scritto:...(e nel caso in oggetto non si tratta nemmeno di una vera e propria «novità»)...
Sí, si tratta di una novità: questo costrutto è recente (nessun esempio nella LIZ[a], nemmeno in Pirandello e D’Annunzio). Novità, dico, su scala secolare.
Decimo ha scritto:Se le sue ricerche si fermano al primo decennio del secolo scorso, e non tengono conto, per esempio, dei romanzi di Umberto Eco, non è possibile intavolare un discorso serio.
Non tutta la letteratura ha lo stesso peso, e Umberto Eco – visto che si parla di lui – non è immune da pecche linguistiche. Ma anche questo, secondo ogni evidenza, è scherzo o follia.
Decimo ha scritto:Il buon gusto è probabilmente estraneo all’abuso —conveniamo— ma non alla spontaneità. Diversamente, diremmo «automatismo» tutto il lessico e tutta la sintassi di alto uso.
Senza probabilmente. Non mi son fatto capire: con automatismo intendo il ricorso alla stessa formulazione sintattica ogni volta che vi siano diverse possibilità di scelta. La spontaneità, nel parlante medio, tende appunto a un appiattimento dovuto a formule piú o meno fisse e ripetute meccanicamente per abitudine.
Decimo ha scritto:Quanto alla presunta ineleganza, credo di aver argomentato a sufficienza perché un tale giudizio sia [ormai] scongiurato.
Il buon gusto e l’eleganza derivano dalla lettura, dall’esperienza, dalla maturità, dalla sensibilità, e variano sensibilmente da persona a persona; non vi sono argomentazioni atte a «scongiurare» (!) un giudizio tutto mio e che non ho mai imposto a nessuno. È mio diritto esprimere un parere su cose delle quali non sono del tutto digiuno.

Concludo citando, una volta ancora, questo passo di Giovanni Nencioni, studioso che non si può certo accusare d’ignoranza o di cattivo gusto:

Vorrei però, se mi è lecito, dare un altro consiglio, buono per tutti i casi di incertezza: di evitare, quando è possibile, il gioco del caso limite, del rebus grammaticale, gioco piccante che ha deliziato molti grammatici. Se c’è, nella lingua, un principio di correttezza, ce n’è anche uno, importantissimo per il dovere sociale della trasparenza e quindi sicurezza della comunicazione, di correntezza: si adotti, insomma, tra due forme possibili, quella piú nota e meno macchinosa. Nel caso in esame, invece del contorto li si vede si scriva si vedono o li vediamo, e invece di la si è vista diciamo si è vista, è stata vista, fu vista, l’abbiamo vista, l’hanno vista, e cosí anche quando un cumulo di particelle (come si chiamavano un tempo) costringerebbe a costruzioni corrette ma virtuosistiche: “Nessuno direbbe – si legge nella Grammatica italiana di L. Serianni e A. Castevecchi – ‘la dattilografa ha chiesto le ferie anticipate: gliele si daranno’ invece di ‘gliele daremo’, ‘le avrà’ e simili”. (La Crusca risponde, Firenze, Le Lettere, 1995, p. 114)

Mantengo quindi il mio giudizio iniziale: li si vede, sebbene ormai accettato, non è elegante perché, come dice Nencioni, «contorto». E chi lo reputasse elegante è libero di continuare a avvalersene.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Decimo »

Marco1971 ha scritto:Sí, si tratta di una novità: questo costrutto è recente…
Di questo siamo già al corrente: non sarebbe stata una vera e propria «novità» (virgolettata) se la trattazione della GGIC non si fosse rivelata —da ultimo— semplicemente errata, poiché il si impersonale con clitico oggetto non sarebbe stato che un tipo [nemmeno troppo] particolare di si impersonale. Invece, come abbiamo appena appurato grazie all’intervento di Infarinato, ambo gli esempi (581) (582) sono casi di si passivo, quindi non convertibili in si impersonale con clitico oggetto (come a torto sostiene la suddetta grammatica).

Sia chiaro: ho peccato di fiducia nell’esposizione della GGIC (beh, che motivo avrei avuto di dubitare del contenuto?), poiché, poste le premesse condivise dagl’interlocutori —ovvero l’affidabilità del brano da lei riportato per dirimere la questione—, mi sono limitato ad arguire con coerenza.

Si è poi soffermato a confutare la (già confutata) parentesi, saltando a piè pari il primo capoverso del mio intervento: avrebbe potuto perlomeno confrontarsi col precedente di Petrocchi, che —come lei con Eco— riprese la «pecca» linguistica del Manzoni, reo di aver impiegato una costruzione oggi [come allora] normale (ancorché aborrita dai puristi).
Marco1971 ha scritto:Non tutta la letteratura ha lo stesso peso, e Umberto Eco – visto che si parla di lui – non è immune da pecche linguistiche. Ma anche questo, secondo ogni evidenza, è scherzo o follia.
Anche qui, non ha risposto alla domanda esplicita: quanti decenni conta il suo Novecento? Eco mi è sembrato un esempio di letteratura alta (e fortunata e riconosciuta)… non è cosí?
Marco1971 ha scritto:Senza probabilmente. Non mi son fatto capire: con automatismo intendo il ricorso alla stessa formulazione sintattica ogni volta che vi siano diverse possibilità di scelta. La spontaneità, nel parlante medio, tende appunto a un appiattimento dovuto a formule piú o meno fisse e ripetute meccanicamente per abitudine.
Ora si è fatto capire: ma siamo altresí consapevoli che la critica generica dell’abuso non può essere un’argomentazione contro l’uso di un particolare costrutto, poiché essa è applicabile anche alla piú antica, radicata e elegante delle costruzioni sintattiche.
Marco1971 ha scritto:Il buon gusto e l’eleganza derivano dalla lettura, dall’esperienza, dalla maturità, dalla sensibilità, e variano sensibilmente da persona a persona; non vi sono argomentazioni atte a «scongiurare» (!) un giudizio tutto mio e che non ho mai imposto a nessuno.
Ce ne sono invero che possono far ricredere su un giudizio, soprattutto sui pregiudizi. Ovviamente non parlo del suo, notamente granitico. È però vero che esistono antipatie per cosí dire «tattili», ma, affinché esse siano trasmissibili, anche solo nella forma del consiglio, necessitano di un buon apparato di argomentazioni.
Marco1971 ha scritto:È mio diritto esprimere un parere su cose delle quali non sono del tutto digiuno.
Quando lei scrive (testualmente) «Meglio evitare questi clitici riempitivi» fa della proscrizione senz’altro argomento che il suo gusto. Io ho piuttosto cercato di dimostrare, col richiamo a precedenti celebri, che l’estraneità alla piú «genuina» tradizione letteraria —a maggior ragione se la si chiude arbitrariamente a D’Annunzio († 1938), cioè piú di settant’anni fa— non è [realisticamente] un criterio stringente per il buon uso della lingua: andrebbe tenuto conto della prosa degli uomini di cultura dal secondo dopoguerra in poi, come appunto di un Eco, di un Bodei o di un Canfora. Cosa che —mi pare— qui non si vuol fare.
Marco1971 ha scritto:Concludo citando, una volta ancora, questo passo di Giovanni Nencioni, studioso che non si può certo accusare d’ignoranza o di cattivo gusto:
È l’osservazione di un insigne linguista, ma pur sempre vecchia tre lustri. Ben venga la variatio, a evitare l’abuso, e ottime tutte le proposte di sostituzione. Non parlerei tuttavia di macchinosità: ricordate la condanna dei francesismi sintattici «al di là di», «è questo che ci suggerisce…», «è questo a suggerirci…»? o del summenzionato «lo è»? o ancora di stare + cong.? Sono oggi tutte forme normali, che nessuno si sognerebbe di proscrivere, né di tacciare d’ineleganza, soprattutto se funzionali all’espressività.
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