Ausiliare con verbi servili che reggono infinito pronominale

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Ho spulciato la LIZ[a] con questa ricerca: potuto/dovuto/voluto andarci/andarvi/entrarci/entrarvi e i risultati confermano che in questi casi si usa avere: con essere c’è un solo esempio, di Manzoni, ma si tratta d’un costrutto col si impersonale:

La strada era allora tutta sepolta tra due alte rive, fangosa, sassosa, solcata da rotaie profonde, che, dopo una pioggia, divenivan rigagnoli; e in certe parti più basse, s’allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in barca. (Manzoni, I Promessi sposi, cap. 11)

Qui sarebbe agrammaticale *si avrebbe potuto andarci perché il si impersonale seleziona essere.

Tutti gli altri esempi sono con avere:

...perciò smontando lì i miei compagni tutti ristretti seguitorono gl’Indiani, e arrivammo allo scoglio così presto che non ebbero tempo di rompere i ponti, perché levandoli non averemmo potuto entrarvi. (Ramusio, Relazioni sul Guatemala, Relaz. 2)

Occorreva ch’egli facesse una corsa a questa villa, di cui da un poco gli parlava il Botola, posta in una bellissima posizione, in pieno mezzodì, già ammobiliata, con un giardino ombroso fino al lago; e avrebbe potuto andarci quando Arabella cominciasse ad uscir dal letto. (De Marchi, Arabella, I, 13, «Prime scaramucce»)

Il mio cardinale è andato a’ bagni: io non ho potuto andarvi; e poi m’è sopraggiunta la febre, da la quale non sono ancora libero. (Tasso, Lettere, G1135)

...la risposta del qual re era che lodava la celebrazione del concilio, ma non approvava il luogo di Trento, allegando per raggioni che i suoi non averebbono potuto andarvi, e proponeva per luoghi opportuni Costanza, Treveri, Spira, Vormazia o Aganoa. (Sarpi, Istoria del Concilio tridentino, libro 5, 32)

Lelio Fornari, conoscendo il marito solamente di vista, non avrebbe potuto andarvi senza un invito speciale: aveva portato le due carte da visita al palazzo il giorno dopo la presentazione, e tutto era rimasto lì. (Oriani, Oro Incenso Mirra, Oro, 2)

Ei andava a visitare il carcame del grigio in fondo al burrone, e vi conduceva a forza anche Ranocchio, il quale non avrebbe voluto andarci... (Verga, Vita dei campi, «Rosso Malpelo»)

Scappò di corsa verso il mare, come se sull’Emilia avesse voluto andarci a nuoto. (Zena, La bocca del lupo, 16)

Mi pare dunque consigliabile seguire tale uso e lasciare essere a un italiano alquanto innaturale.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Benissimo, gli esempi letterari sono sempre molto utili. Grazie. :)
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Giusto per riequilibrare un po' le posizioni ricordo che la sintassi di una lingua evolve come le altre sue parti: basta confrontare libri di grammatica appartenenti a diversi periodi storici. È per questo che va dato il giusto peso sia alle indicazioni tratte da grammatiche del passato sia, naturalmente, agli esempi tratti dalla nostra tradizione letteraria. Molti dei costrutti del passato apparterrebbero oggi a un italiano alquanto innaturale; viceversa, molti costrutti oggi completamente accettabili si troverebbero con difficoltà nella nostra tradizione letteraria e nelle grammatiche coeve che ne descrivono le regole.

Aggiungo che ho sottoposto i miei dubbi sulle indicazioni della GGIC alla professoressa Cordin, autrice del capitolo nel quale sono riportati gli esempi in cui il costrutto è definito agrammaticale, suggerendole che sarebbe stato più opportuno definire le frasi "leggermente anomale" e che sarebbe stato più opportuno contrassegnarle, conseguentemente, con un singolo punto interrogativo (secondo le convenzioni adottate dalla GGIC).
Ella ha convenuto che era eccessiva la definizione di agrammaticale e ha condiviso le mie valutazioni nel considerare la frase solo leggermente anomala. Ha aggiunto infine una considerazione di grammatica spaziale, affermando che la frase sembrerebbe più anomala a un parlante del Nord.

In conclusione, per valutare l'innaturalità di un costrutto valgono più le indicazioni di una grammatica moderna e attenta all'uso come la GGIC che [la mancanza di] esempi tratti dalla nostra tradizione letteraria: perché può essere quest'ultima, a volte, la condizione innaturale nell'uso moderno.
Questo non toglie che anche le indicazioni della GGIC possano essere contestate come ho fatto in questo caso con la professoressa Cordin. :wink:
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Dunque «non sono potuto entrarci» è piuttosto "leggermente anomalo" che "agrammaticale". Quindi può essere tollerato in contesti informali?

La ringrazio molto del suo intervento, Bubu7.

Io non sono affatto un esperto – semmai un semplicissimo appassionato – ma direi che l'ideale è una integrazione di un approccio normativo e di uno descrittivo. L'appoggio e la conferma della tradizione letteraria serve a formare un modello d'italiano universalmente accettato, salvo che non vi siano casi di costrutti ritenuti obsoleti o desueti dalle grammatiche dell'uso.

Da "non addetto ai lavori" sento comunque il bisogno del sostegno dei "grandi autori", dei classici; e ciò soprattutto di fronte al livellamento verso il basso della lingua dei mezzi di comunicazione e persino della letteratura contemporanea.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Ferdinand Bardamu ha scritto: Dunque «non sono potuto entrarci» è piuttosto "leggermente anomalo" che "agrammaticale". Quindi può essere tollerato in contesti informali?
Sì.
Ferdinand Bardamu ha scritto:La ringrazio molto del suo intervento, Bubu7.
Di niente. Grazie a lei per aver aperto questa discussione. :)
Ferdinand Bardamu ha scritto:Io non sono affatto un esperto – semmai un semplicissimo appassionato – ma direi che l'ideale è una integrazione di un approccio normativo e di uno descrittivo. L'appoggio e la conferma della tradizione letteraria serve a formare un modello d'italiano universalmente accettato, salvo che non vi siano casi di costrutti ritenuti obsoleti o desueti dalle grammatiche dell'uso.

Da "non addetto ai lavori" sento comunque il bisogno del sostegno dei "grandi autori", dei classici; e ciò soprattutto di fronte al livellamento verso il basso della lingua dei mezzi di comunicazione e persino della letteratura contemporanea.
Il suo mi sembra un ottimo approccio che condivido pienamente. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:In conclusione, per valutare l'innaturalità di un costrutto valgono più le indicazioni di una grammatica moderna e attenta all'uso come la GGIC che [la mancanza di] esempi tratti dalla nostra tradizione letteraria: perché può essere quest'ultima, a volte, la condizione innaturale nell'uso moderno.
La valutazione della naturalezza o innaturalezza d’un costrutto, mi pare, è fatto che dipende dalla cultura, dal retroterra e dalla sensibilità personale; tant’è vero che persone che dobbiamo ritenere “addetti ai lavori” non avvertono in modo uguale la costruzione di cui si parla.

Non condivido (ma comprendo) una posizione come la sua, che sembrerebbe attribuire maggior peso allo studio della lingua che alle sue manifestazioni concrete [e cólte] (...valgono piú le indicazioni di una grammatica moderna e attenta all’uso... che... esempi tratti dalla nostra tradizione letteraria...). La grammatica, come sappiamo, trae le sue regole da un uso certo; non essa détta le regole dal proprio incerto laboratorio.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: La valutazione della naturalezza o innaturalezza d’un costrutto, mi pare, è fatto che dipende dalla cultura, dal retroterra e dalla sensibilità personale; tant’è vero che persone che dobbiamo ritenere “addetti ai lavori” non avvertono in modo uguale la costruzione di cui si parla.
Quello che dice è vero in molti casi ma in altrettanti casi è indiscutibile l'innaturalezza di costrutti, forme, termini del passato più o meno remoto. Come è indiscutibile che certe costruzioni mutuate dal parlato siano oggi naturali nello scritto sebbene non siano attestate nella nostra tradizione letteraria. Ricordo, di passaggio, il frequente scollamento tra la lingua letteraria e la coeva lingua parlata anche in Toscana.
Marco1971 ha scritto: Non condivido (ma comprendo) una posizione come la sua, che sembrerebbe attribuire maggior peso allo studio della lingua che alle sue manifestazioni concrete [e cólte] (...valgono piú le indicazioni di una grammatica moderna e attenta all’uso... che... esempi tratti dalla nostra tradizione letteraria...). La grammatica, come sappiamo, trae le sue regole da un uso certo; non essa détta le regole dal proprio incerto laboratorio.
Si figuri se intendo sottovalutare le manifestazioni concrete della lingua! :)

Lo studio della lingua è fondamentale per dare il giusto peso alle citazioni letterarie o grammaticali ma queste vanno sicuramente temperate con esempi tratti dalla lingua attualmente parlata e scritta nei diversi contesti della comunicazione.

Una grammatica come la GGIC, a differenza delle comuni grammatiche normative, non riporta solo gli usi consolidati ma analizza la tensione limite alla quale può essere sottoposta la struttura sintattica nell'italiano moderno. Nel fare questo naturalmente si rifà a regole più o meno esplicite ma certamente più vicine al mondo reale di quelle seguite da una comune grammatica normativa (ad esempio, tornando al nostro caso particolare, la professoressa Cordin mi diceva che le sue origini settentrionali avevano probabilmente condizionato la valutazione di agrammaticalità negli esempi su riportati...).
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Avevo previsto il contenuto, lo stile e l’andamento di quasi tutte le sue frasi, prima che lei le scrivesse (e nessuno qui ha mai messo in discussione l’importanza dello studio della lingua o d’una grammatica come la GGIC; si parla dell’innaturalezza di certi costrutti).

Le conclusioni alle quali si è giunti riflettono l’uso effettivo della lingua, a meno che lei ci possa citare anche un solo esempio (autorevole o no) che esemplifichi il contrario. E vorrei qui invitarla a seguire un metodo piú rigoroso: le cose vanno dimostrate con gli esempi; dire «è indiscutibile» e simili implica la sua sola opinione e valutazione dei fatti di cui si discorre.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di PersOnLine »

Però bisognerebbe anche arrivare a capire come degli studiosi autorevoli arrivino a considerare naturale e legittimo un costrutto che non ha precedenti nella lingua letteraria.
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Intervento di Infarinato »

PersOnLine ha scritto:Però bisognerebbe anche arrivare a capire come degli studiosi autorevoli arrivino a considerare naturale e legittimo un costrutto che non ha precedenti nella lingua letteraria.
La risposta è semplice: consultando opportuni corpora d’italiano scritto e parlato e/o con indagini sul campo.

Piú difficile, però, è circoscrivere gli esempi rinvenuti ai soli utili a definire la «norma attuale», e prima ancora stabilire criteri sicuri per l’individuazione di tale norma.

Insomma: è relativamente facile stabilire la legittimità di forme e costrutti ben radicati nella nostra tradizione letteraria, cosí definendo una «norma» talora antiquata, ma sostanzialmente «sicura» (e l’attualità d’un costrutto può esser verificata confrontando la frequenza del medesimo nelle opere letterarie via via piú vicine a noi e, questo sí, nei detti corpora); intrinsecamente [e quindi inevitabilmente] piú complicato determinare il grado d’accettabilità di costrutti «emergenti»…
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto:Avevo previsto il contenuto, lo stile e l’andamento di quasi tutte le sue frasi, prima che lei le scrivesse (e nessuno qui ha mai messo in discussione l’importanza dello studio della lingua o d’una grammatica come la GGIC; si parla dell’innaturalezza di certi costrutti).

Le conclusioni alle quali si è giunti riflettono l’uso effettivo della lingua, a meno che lei ci possa citare anche un solo esempio (autorevole o no) che esemplifichi il contrario. E vorrei qui invitarla a seguire un metodo piú rigoroso: le cose vanno dimostrate con gli esempi; dire «è indiscutibile» e simili implica la sua sola opinione e valutazione dei fatti di cui si discorre.
Non penso che siano necessari degli esempi per dimostrare che vi sono costrutti, forme, termini del nostro passato che oggi risulterebbero innaturali.

Mi dispiace, caro Marco, ma stasera non ho voglia di polemizzare con lei e di adottare il suo stesso tono.

Magari la prossima volta! :wink:
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: Insomma: è relativamente facile stabilire la legittimità di forme e costrutti ben radicati nella nostra tradizione letteraria, cosí definendo una «norma» talora antiquata, ma sostanzialmente «sicura» (e l’attualità d’un costrutto può esser verificata confrontando la frequenza del medesimo nelle opere letterarie via via piú vicine a noi e, questo sí, nei detti corpora)…
Infatti, questo è il rovescio della medaglia: molti costrutti e forme adottati dalla nostra passata tradizione letteraria continuano ad essere più o meno validi anche oggi mentre molti altri risultano superati e risulterebbero decisamente innaturali se usati in uno scritto moderno...
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Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:Non penso che siano necessari degli esempi per dimostrare che vi sono costrutti, forme, termini del nostro passato che oggi risulterebbero innaturali.
E invece sí, perché la valutazione del grado di naturalezza di forme e costrutti dipende dal contesto e dal registro. Parole e costruzioni non sono naturali o innaturali di per sé, ma in rapporto a quel che le circonda.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Infatti, questo è il rovescio della medaglia: molti costrutti e forme adottati dalla nostra passata tradizione letteraria continuano ad essere più o meno validi anche oggi mentre molti altri risultano superati e risulterebbero decisamente innaturali se usati in uno scritto moderno...
E su questo —credo— siamo tutti d’accordo. Il mio punto (e presumo anche quello di Marco) è che:
  1. il linguista [serio] non si può fondare [solo] sul suo «orecchio» per stabilire l’accettabilità/«naturalezza» d’un costrutto [recente] (orecchio che è comunque influenzato [anche] dalla passata tradizione letteraria oltre che dalla provenienza geografica del nostro linguista, e piú in generale dalla di lui «storia personale»: è facile dire che «vado la scuola» è agrammaticale [oggi come ieri], ma, come ben dimostra il caso della Cordin di cui sopra, le cose cambiano [e di molto] quando il costrutto è meno frequente [e il grado d’accettabilità meno evidente]), ma dovrà procedere come ho indicato sopra;
  2. non basta dire che un costrutto è oggigiorno accettabile per dire che esso costituisce la «norma [attuale]» (cioè, banalizzando, un modello di scrittura/parlato [per bambini, stranieri, giovani autori, etc.], ovvero il costrutto preferibile [perché preferito (v. infra)] per questa o quella situazione comunicativa [registro, etc.]): bisogna vedere se è effettivamente prevalente/preferito [rispetto a costrutti di analogo significato, e in analoghi contesti] negli scritti e/o nel parlato delle «persone cólte» (concretamente: dei parlanti nativi con un certo grado d’istruzione, etc.).
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: ...il linguista [serio] non si può fondare [solo] sul suo «orecchio» per stabilire l’accettabilità/«naturalezza» d’un costrutto [recente] (orecchio che è comunque influenzato [anche] dalla passata tradizione letteraria oltre che dalla provenienza geografica del nostro linguista, e piú in generale dalla di lui «storia personale»: è facile dire che «vado la scuola» è agrammaticale [oggi come ieri], ma, come ben dimostra il caso della Cordin di cui sopra, le cose cambiano [e di molto] quando il costrutto è meno frequente [e il grado d’accettabilità meno evidente]), ma dovrà procedere come ho indicato sopra;
Non credo che i linguisti seri si affidino solo al loro orecchio... anche se quest'ultimo è educato da ricerche sul campo e da conoscenze letterarie. Ciò non toglie che anche i linguisti seri possano sbagliare valutazione...
Infarinato ha scritto: ...non basta dire che un costrutto è oggigiorno accettabile per dire che esso costituisce la «norma [attuale]» (cioè, banalizzando, un modello di scrittura/parlato [per bambini, stranieri, giovani autori, etc.], ovvero il costrutto preferibile [perché preferito (v. infra)] per questa o quella situazione comunicativa [registro, etc.]): bisogna vedere se è effettivamente prevalente/preferito [rispetto a costrutti di analogo significato, e in analoghi contesti] negli scritti e/o nel parlato delle «persone cólte» (concretamente: dei parlanti nativi con un certo grado d’istruzione, etc.).
Io dicevo una cosa leggermente diversa. Affermavo che, rispetto alla norma attuale, il costrutto considerato agrammaticale dalla Cordin (e dal nostro Marco) era da considerare solo leggermente anomalo (non la norma, quindi...).
All'esplicita domanda del nostro Ferdinand:
Ferdinand Bardamu ha scritto: L'esempio della GGIC che lei cita piú sopra sembra contrastare con l'esempio di Serianni. «Sono potuto entrarci» è agrammaticale allo stesso modo di «sono potuto lavarmi»?
rispondo: no: i due esempi non sono sullo stesso piano; il primo è oggi solo leggerrmente anomalo, mentre il secondo è un esempio agrammaticale costruito in laboratorio. Questo a differenza di quanto affermava Marco:
Marco 1971 ha scritto:Per me, sí, è agrammaticale e mi stupisco anch’io che Serianni lo reputi corretto.
Il mio stupore era piuttosto per la definizione della GGIC...
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