Ho fatto un incubo

Spazio di discussione su questioni di carattere sintattico

Moderatore: Cruscanti

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Daniele
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Ho fatto un incubo

Intervento di Daniele »

Scusate il dubbio forse un po' sciocco (e che non so neanche se sia di pertinenza di questa sezione): un'amica mi dice che un incubo non si fa, si ha. Si fa un sogno, ma si ha un incubo. Insomma, sostiene che si dice: ho avuto un incubo, e non ho fatto un incubo. Sui dizionari non ho trovato lumi, ed eccomi qui.
Grazie!
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

I dizionari riportano solo avere un incubo; ma visto che si dice fare un sogno, non si capisce che cosa potrebbe apparire sospetto in fare un incubo.

Attendo tuttora la nuova versione della LIZ[a], compatibile con Windows 7, ordinata di recente, che contiene aggiunte di testi piú recenti (e ora si chiama BIZ[a], ossia Biblioteca Italiana Zanichelli). Appena mi arriverà, farò la ricerca per sapere come stanno le cose in prospettiva diacronica. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Fausto Raso
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Intervento di Fausto Raso »

Google libri riporta tre occorrenze di fare un incubo.
«Nostra lingua, un giorno tanto in pregio, è ridotta ormai un bastardume» (Carlo Gozzi)
«Musa, tu che sei grande e potente, dall'alto della tua magniloquenza non ci indurre in marronate ma liberaci dalle parole errate»
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

E 42 di fatto un incubo (ma tutte recenti).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Freelancer
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Intervento di Freelancer »

A me sembra che la spiegazione del motivo per cui si sia codificato l'uso di avere un incubo vada cercata "nell'aspetto" del verbo avere, che in questo caso conferisce duratività all'azione - perché un incubo provoca uno stato di angosciosa oppressione che in genere persiste quando ci si sveglia - mentre fare un sogno ha più caratteristica di istantaneità; spesso un sogno lo si è dimenticato quasi del tutto quando ci si sveglia.

Aggiungo che per quanto sopra ho preso spunto da un articolo di Giacomo Devoto comparso nel 1940 in Lingua Nostra, L'"ASPETTO DEL VERBO", in cui Devoto illustra con vari esempi i due aspetti, di duratività e istantaneità, del verbo.
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Daniele
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Intervento di Daniele »

Grazie per l'aiuto, anche se per la verità rimane la curiosità di capire perché si debba dire ho avuto un incubo. Mi piacerebbe leggere l'articolo di Devoto di cui parla Crivello, e spero comunque di avere ulteriori notizie quando Marco avrà la BIZ[a] Windows 7-compatibile.
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Freelancer
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Intervento di Freelancer »

Ho solo la copia cartacea, ma ho appena fatto richiesta tramite il servizio di prestito interbibliotecario e appena mi manderanno la copia PDF se vuole gliela inoltro. Intanto può leggerne un breve estratto che avevo copiato qui.

Se questa fosse una traccia giusta per risolvere il problema, potrebbe indagare ulteriormente, ad esempio vedo al volo qui vari riferimenti a considerazioni di questo tipo.
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Infarinato
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Intervento di Infarinato »

Freelancer ha scritto:Ho solo la copia cartacea, ma ho appena fatto richiesta tramite il servizio di prestito interbibliotecario e appena mi manderanno la copia PDF se vuole gliela inoltro.
Eccolo qui per tutti in formato «cercabile». :D (Grazie, Roberto.)
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Daniele
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Intervento di Daniele »

Grazie mille! :D
Bue
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Intervento di Bue »

Daniele ha scritto:Grazie per l'aiuto, anche se per la verità rimane la curiosità di capire perché si debba dire ho avuto un incubo.
Mah, io ingenuamente l'avrei fatto derivare dall'origine della parola incubo, relativa alla "visita" sgradita di un demone opprimente e sessuomane. Un tal demone non lo si "fa", lo si "subisce"...
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u merlu rucà
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Intervento di u merlu rucà »

Non mi sembra campata per aria tale ipotesi.
Bue
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Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 11:20

Intervento di Bue »

Comunque, ripensandoci, mi pare piú anomalo lo status di "fare un sogno" (forse c'è di mezzo l'uso molto piú popolare), perché si dice avere una visione, un'apparizione, una premonizione, un presentimento, una sensazione, un ricordo.
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Infarinato
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[FT] Accenti?!

Intervento di Infarinato »

Bue ha scritto:…piú… c'è… piú… perché…
:shock: Da quando in qua ti degni di digitar gli accenti, o Bue, e per di piú quelli «giusti»?!! :D

T’hanno finalmente sostituito il VAX? :P
Bue
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Re: [FT] Accenti?!

Intervento di Bue »

Sono quelli giusti solo perche' (tie`) ho copincollato. Dipende da quale tastiera uso.
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Marco1971
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Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Ho fatto la ricerca nell’archivio BIZ[a]. Incubo ricorre molto, ma soprattutto in comparazioni o con altri verbi, come liberarsi da, sottrarsi a, ecc., e si presenta spesso con la preposizione sotto (sotto l’incubo del...). Del caso qui discusso si rinviene una sola occorrenza, che pende a favore di avere:

Non tardai ad assopirmi, ma passai una notte terribile; ebbi l’incubo; un fantasma spaventevole s’era buttato sopra di me e mi stringeva, mi soffocava col suo peso; sentivo un affanno, un caldo, una sete, un’oppressura da non dirsi... (Tarchetti, Fosca)

Rarissime le occorrenze di fare un incubo nei grandi quotidiani, ma, come s’è visto sopra, la locuzione è discretamente attestata in romanzi, tradotti o no, quasi tutti posteriori al 2000, segno che quest’uso, sull’analogia con fare un sogno, sta prendendo piede nell’uso. Specie nel parlato, dove la necessità di maggior carica espressiva e emotività manifesta spesso la propria presenza, tale uso non pare condannabile (si pensi alla maggior pregnanza e al maggior coinvolgimento di fare rispetto a avere). Forse, un giorno neanche troppo lontano, l’affermarsi di fare un incubo in senso concreto acuirà i confini semantici con avere un incubo, avere l’incubo di in senso figurato. Mera congettura, non profezia. :)
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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